Novara, Arengo del Broletto, Génération Baroque 2019
“GLI ASTROLOGI IMMAGINARI”
Opera buffa in due atti, libretto di Giovanni Bertati
Musica Giovanni Paisiello
Clarice VALERIA LA GROTTA
Cassandra CRISTINA MOSCA
Giuliano THOMAS HANSEN
Petronio NICOLA CIANCIO
Coro di discepoli Georgia Tryfona, Fernanda de Araujo, Léonard Schneider, Elias Juan Ongay
Orchestra barocca Le Parlement de Musique
Maestro al cembalo Iason Marmaras
Drettore Martin Gester
Regia, scene e costumi Carlos Harmuch
Aiuto regista Fernanda de Araujo
Disegno luci Christian Peuckert
Novara, 27 luglio 2019
Da oltre dieci anni il laboratorio Génération Baroque viene gestito da Martin Gester, fondatore dell’orchestra barocca Le Parlement de Musique con sede a Strasburgo. L’edizione 2019 ha scelto di rimettere in scena l’opera buffa Gli astrologi immaginari che Paisiello scrisse alla corte di Caterina II nel 1779 destinandola a un cast composto da due soprani e due baritoni. Petronio è innamorato della filosofia e vorrebbe maritare le sue due figlie – Cassandra, colta e a sua volta infatuata dagli studi, e Clarice, dichiaratamente ignorante – con degni intellettuali. Il furbo Giuliano, innamorato di Clairce, si travestirà da anziano filosofo per far siglare con l’inganno il contratto nuziale a Petronio. Il parvenu messo alla berlina è il protagonista di questa snella opera comica che sa compattare i topoi del genere con eccezionale freschezza, facendo leva su un continuo gioco di travestimenti (anche verbali, basti pensare al lungo “latinorum” del dialogo tra Petronio e Giuliano) e di allusioni metateatrali. Il regista brasiliano Carlos Harmuch, curatore anche delle scene e dei costumi (di taglio moderno e ben coordinati cromaticamente), ha magistralmente interpretato la dimensione ludica dell’operina paisielliana, pensandola in uno spazio astratto congeniale all’esaltazione di oggetti simbolici. Durante la sinfonia avanti l’opera i cantanti e i quattro coristi allestivano una serie di scatoloni da trasloco, dai quali durante il quartetto iniziale venivano estratti gli oggetti di scena allusivi alla smania conoscitiva del protagonista: binocoli, cannocchiali, un mappamondo, alambicchi vari e un uccello profeta. Man mano che la vicenda progrediva le scatole venivano ruotate, esponendo il lato dipinto che raffigurava delle nuvole, esplicito rimando a quell’iperuranio intellettuale cui ambiva Petronio. Alla fine dell’opera, quando egli si vedeva gabbato e costretto ad abbandonare il progetto di maritare almeno una delle due figlie con un filosofo, le scatole tornavano ad essere tali e a richiudere (per sempre) al loro interno i simboli stessi di quel sogno irrealizzato (a dir poco struggente il momento in cui Petronio riponeva nello scatolone l’uccello profeta). Harmuch con pochi tocchi ha dunque reso la mestizia che segna il finale di un’opera tesa a sconfinare al di fuori del recinto del proprio genere. Paisiello era infatti abile nel parodiare le atmosfere serie all’interno dei suoi drammi giocosi e anche in questo caso trovò l’occasione per farlo: il rituale del ringiovanimento di Giuliano finto filosofo metteva alla berlina nientemeno che lo stile di Gluck (operazione già compiuta da Paisiello a Napoli nel 1775 con il suo Socrate immaginario, poi riciclato a Pietroburgo nello Sposo burlato). Ad aumentare la discrasia tra parti buffe e “semiserie” è giunto il lavoro ben condotto sulle luci da Christian Peuckert: memorabile il rosso che invade lo spazio scenico quando Clarice canta le sue ambasce amorose o i toni algidi e lunari che accompagnano l’aria notturna di Cassandra. Il giovanissimo cast, selezionato tramite audizioni a Milano, Parigi e Strasburgo, ha palesato una maturità interpretativa notevole. Valeria La Grotta è stata una Clarice deliziosa sia per l’unicità del suo timbro che la staglia tra i giovani soprani dediti all’operismo barocco – la voce è uniforme nei passaggi di registro, sgrana i passaggi di coloratura con precisione estrema e si staglia per volume nei concertati – sia per aver saputo restituire con grande verve la natura duplice del personaggio, oscillante tra lo struggimento amoroso e l’infantilismo capriccioso. Grande la sintonia tra lei e il baritono, dalla corda quasi tenorile, Thomas Hansen, ugualmente raffinato quanto a colore vocale e a doti attoriali. Ottima la Cassandra di Cristina Mosca nei panni (ominili) della sorella secchiona, ben incarnata da un colore sopranile più scuro ma disposto anche a svettare con scioltezza verso l’acuto. Perfetto per proiezione della voce, volumetria sonora, dizione recitativa, maturità attoriale, il baritono Nicola Ciancio, un Petronio spassosissimo e al tempo stesso venato dalla malinconia tipica di certi vecchi goldoniani. Magistrale è risultata anche l’interpretazione dell’orchestra barocca (anch’essa assemblata sulla base di audizioni internazionali e coinvolta nel laboratorio Génération Baroque) diretta da Martin Gester che ha staccato i giusti tempi, senza allentare i momenti più languidi (presenti soprattutto nelle difficili arie di Clarice) o velocizzare le code dei duetti e dei pezzi d’assieme. Particolare plauso va a Iason Marmaras in grado di offrire un sostegno al cembalo di straordinaria ricchezza e costellato di idee divertenti non solo nei recitativi ma anche durante i concertati (un esempio: quando durante il rito semiserio i personaggi imponevano il silenzio, il cembalista era pronto a infrangerlo con motivetti opportuni). Allestita il 25 luglio al Teatro Romano di Aosta, l’opera-laboratorio terminerà le recite in gennaio a Strasburgo.