Giacomo Meyerbeer è stato una delle figure più influenti della cultura musicale europea del XIX secolo. Questo figlio dell’alta borghesia ebraica prussiana, allievo di Salieri e Vogler sarebbe divenuto nel corso degli anni il padre padrone della vita musicale parigina, il geniale despota capace di imporre a intere generazioni di compositori le proprie teorie estetiche e teatrali e destinato a influenzare – per assimilazione o per contrapposizione – l’intera cultura musicale ottocentesca.
La romanza da salotto italiana dell’Ottocento si può considerare non a torto un genere minore. Nonostante l’impegno di musicisti di primissimo livello essa non ha mai saputo ricavarsi una propria sfera espressiva analogamente a quanto è avvenuto in Germania ma anche in Francia e in Russia rimanendo una sorta di sorella minore dell’opera; essa è comunque da conoscere per comprendere la realtà musicale di quella stagione. Negli ultimi anni si è notato un certo interesse per questo tipo di repertorio, dopo le registrazioni di Mironov e D’Aguanno dedicate alla stagione di Rossini e dei Dioscuri arriva ora questa nuova registrazione tutta dedicata alle romanze da salotto di Giuseppe Verdi con protagonista un trio vocale che vede una primadonna assoluta come Diana Damrau affiancata dal tenore César Augusto Gutiérrez e dal baritono Paul Armin Edelmann. Quello che subito colpisce è l’equa suddivisione del programma, i tre cantanti si cimentano in un numero sostanzialmente analogo di brani senza che la Damrau monopolizzi la registrazione lasciando agli altri un mero ruolo di contorno.
Ad accompagnare i cantanti è il tocco brillante di Friedrich Haider, forse solo troppo presente rispetto alle voci per questioni di registrazione. I primi cinque brani vedono protagonista la Damrau, di questi solo uno è di carattere più drammatico e melanconico – “Perduto ho la pace” chiusa da una strepitosa mezzavoce – mentre gli altri sono di taglio leggero e brillante, al più popolaresco – “Lo spazzacamino” – appositamente scelti per permettere alla Damrau di scatenare autentici fuochi d’artificio in cui si apprezza non solo la prodigiosa tecnica ma una leggerezza, una gioia nel far musica, una spontaneità comunicativa che rende semplicemente irresistibili brani come “Stornello” o “Brindisi”. La parte centrale del programma è affidata al baritono Edelmann. Materiale vocale interessante, di bel colore e di buona omogeneità dimostra di possedere una linea di canto elegante e curata e una dizione nitida e chiara pur con qualche imprecisione inevitabile per un cantane non madre lingua. Ovviamente siamo lontani dallo scavo analitico di un Fischer-Dieskau o dalla naturalezza con cui Bruson ha reso indimenticabili alcune di questi brani ma quello offerto è un ascolto nell’insieme pienamente godibile. I brani di questa sezione sono fra i pochi relativamente noti della produzione cameristica di Verdi – “More, Elisa, lo stanco poeta”, “Non t’accostare all’urna” – la vocalità è nobilmente patetica molto prossima a quella delle grandi pagine baritonali del Verdi operistico. La vicinanza con l’opera raggiunge il suo massimo con “L’esule” autentica scena tripartita negli schemi della “solita forma” del melodramma italiana primo-ottocentesco. E forse qui è il maggior limite di questa produzione, l’incapacità di trovare un proprio linguaggio alternativo a quello dell’opera così che molti brani sembrano arie operistiche non orchestrate piuttosto che momenti musicali autonomamente compiuti.
La scelta dei brani tenorili conferma questa lettura. Qui prevalgono brani dal tono più eroico, caratterizzati da una vocalità che è quella tipica delle opere del primo periodo verdiano. Ritroviamo qui brani più leggeri come la prima versione del Brindisi ad altri di taglio più romantico o eroico – “Deh, pietoso, oh, addolarata”, “Ad una stella”. Gutiérrez ha un timbro piacevole anche se non personalissimo e il giusto impeto per affrontare con convinzione i brani che gli sono destinati.
Robert Schumann (1810-1856): Myrthen op.25 Nr.1-26:“Widmung”, “Freisinn”, “Der Nußbaum”, “Jemand”, “Sitz’ ich allein” “Setze mir nicht, du Grobian”, “Die Lotusblume”, “Talismane Lied der Suleika”, “Die Hochländer-Witwe”, “Lied der Braut 1 e 2”, “Hochländers Abschied”, “Hochländisches Wiegenlied”, “Mein Herz ist schwer,” “Rätsel”, “Venetianisches Lied 1 e 2”; “Hauptmanns Weib”, “Weit, weit”, “Was will die einsame Träne, “Niemand”, “Im Westen”, “Du bist wie eine Blume”, “Aus den östlichen Rosen”, “Zum Schluß” Diana Damrau (soprano), Ivan Paley (baritono), Stephan Matthias Lademann (pianoforte). 1 Cd Profili Hännsler PH14048
Tutto dedicato a Robert Schumann il secondo CD che vede protagonista Diana Damrau, Il titolo “Robert und Clara Schumann songs and letters” non deve ingannare, tutti i brani proposti sono di Roberti e non sono presenti composizioni di Clara. Il titolo riprende quello dell’originario ciclo di concerti dove i brani cantanti erano alternati alla lettura di una serie di lettere private dei due sposi.
Si tratta sostanzialmente di un’esecuzione integrale a due voci di “Myrthen” op. 25, ciclo fra i più celebri di Robert e che comprende alcuni dei suoi lieder più amati e suggestivi ma proprio per questo oggetto di infinite esecuzioni che rendono difficile dire qualche cosa di originale nella proposta interpretativa.
L’ottima qualità della ripresa sonora e il buon accompagnamento pianistico di Stephan Matthias Lademann permette di apprezzare le innegabili qualità vocali della Damrau e del baritono argentino Ivan Paley che si alterna con lei nell’esecuzione di lieder.
Forse proprio Paley è l’elemento più interessante della proposta, cantante poco noto almeno in Italia ma dotato di una voce molto bella, calda, omogenea, dizione nitida, accento caldo e partecipe. Certo non si trovo lo scavo espressivo di certi grandi interpreti del passato ma si ascolta comunque con gusto per piacevolezza timbrica e spontaneità espressiva. Prevale in lui una cantabilità nobile e aulica, un accento liricamente aristocratico che sembra la sua cifra più tipica ma anche in brani caratterizzati da violenti scarti drammatici come “Hauptmanns Weib” si disimpegna in modo più che convincente.
Chi in parte delude è invece la Damrau che canta in modo sublime e con una radiosità vocale che raramente capita di ascoltare ma in molti momenti sembra bearsi fin troppo di questa meraviglia vocale restando un po’ in superfice sul piano espressivo. E’ il caso di “Die Lotusblume” dove la voce vola sulla melodia con la grazia di un petalo mosso dal vento ma sotto non si sente nessun fremito, nessun palpito che muova l’estatica contemplazione. Anche un brano espressivamente ricco come “Im Westen” è troppo omogeneo, con troppa poca differenza tra le due distinte sezioni. In “Widmung” brano di apertura del ciclo su testo di Rückert la voce della Damrau cerca dinamiche d’effetto, a volte quasi spiazzanti ma nonostante questo resta più l’impressione di un raffinato esercizio di stile che di un autentica partecipazione emotiva.
Il risultato finale è un prodotto elegante, valorizzato ulteriormente dall’ottima qualità tecnica, di piacevole ascolto ma che non riesce a lasciare un segno nella sterminata storia discografica di questo ciclo liederistico.