Venezia,Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2018-2019
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Jonathan Webb
Pianoforte Francesco Granata
Sara Caneva: “Fondale mobile”
Wolfgang Amadeus Mozart:Concerto per pianoforte e orchestra n. 17 in sol maggiore KV 453
Ralph Vaughan Williams: A London Symphony
Venezia, 7 giugno 2019
Decimo concerto della Stagione 2018-2019, ormai prossima alla conclusione, nonché terza e ultima prima assoluta, nel quadro dell’attuale rassegna, relativa al progetto “Nuova musica alla Fenice”. Questa volta – dopo Simone Maccaglia e Gianni Bozzola – era alla ribalta la promettente Sara Caneva, una musicista a tutto tondo che, oltre al diploma in composizione, può vantare anche quelli in direzione d’orchestra e pianoforte, tutti e tre conseguiti col massimo dei voti e la lode. Della giovane compositrice è stato eseguito Fondale mobile, un breve brano orchestrale – commissionatole con il sostegno della Fondazione Amici della Fenice e lo speciale contributo di Sonia Guetta Finzi –, che prende spunto dall’assunto secondo il quale “Tutto il mondo può essere un fondale”, in quanto la sua percezione dipende dall’altitudine del nostro individuale punto d’osservazione. Vi risaltano, in primo piano, gli strumenti gravi, che con le loro intense sonorità evocano, appunto, oscuri sommovimenti di un paesaggio così percepito. L’autrice dimostra, tra l’altro, interesse per un uso anticonvenzionale degli ottoni, ai quali talora è richiesta l’emissione di un semplice soffio, privo di timbro e intonazione. Pienamente all’altezza si è dimostrata l’orchestra nelle sue varie sezioni, forte di una solida esperienza maturata nel campo della musica nuova, che ne fa una delle compagini più ferrate in questo repertorio, a livello non solo nazionale. Il che ha contribuito al successo riportato da questa pagina suggestiva, seppur di non facile decodificazione rispetto al suo contenuto concettuale.
Anche per quanto riguarda il Concerto per pianoforte e orchestra n. 17 in sol maggiore KV 453 di Mozart era di scena una promessa di spicco nel panorama musicale nazionale: il pianista milanese Francesco Granata – già brillante allievo del Conservatorio Giuseppe Verdi – vincitore del Premio Venezia 2017. Il giovanissimo interprete ha brillato per la nitidezza di tocco, il giusto accento sobrio e, nel contempo, pregnante, la padronanza tecnica sempre al servizio dell’espressione, nell’esecuzione di questo capolavoro del Salisburghese – dedicato all’allieva Barbara Ployer –, brillante e sentimentale insieme, il cui tono da commedia viene accentuato dalla scrittura degli strumenti a fiato, che spesso dialogano con il solista, che si configura quasi come un primus inter pares, cosicché il lavoro assume un carattere “concertante”. Nel primo movimento si è apprezzata la varietà di sfumature espressive, corrispondente all’abbondanza delle proposte tematiche; nell’Andante la cantabilità semplice e pensosa; nell’Allegretto – insolitamente, in forma di tema con variazioni, culminante in una stretta travolgente, simile a certi finali di opera buffa – la leggerezza, insieme alla verve. Ragguardevole la prestazione dell’orchestra, che ha saputo passare dalle ricercate e talora aspre sonorità del pezzo di Sara Caneva, a tutt’altro ambito estetico, dando prova di un impeccabile stile mozartiano, complice ovviamente l’approccio misurato e sensibile di Jonathan Webb. Successo travolgente con un fuoriprogramma dalle bachiane Variazioni Goldberg.
Un ulteriore, deciso cambiamento di clima si è colto nel corso dell’esecuzione di A London Symphony di Vaughan Williams, che può essere ritenuta un vero e proprio atto d’amore del compositore per la città, in cui trascorse gran parte della sua vita. L’autore appartiene a quella generazione dei musicisti inglesi – a partire da Elgar –, che acquistarono notorietà anche fuori dai confini nazionali. A London Symphony – che Vaughan Williams penso anche di definire come Sinfonia di un londinese – è la seconda delle sue nove sinfonie. La prima versione, risalente al 1912-14, fu eseguita con successo, in prima assoluta, il 27 marzo 1914, presso la Queen’s Hall, sotto la direzione di Geoffrey Toye. Poco dopo il compositore inviò in Germania, al direttore d’orchestra Fritz Busch, la partitura, che malauguratamente andò perduta nello sconvolgimento provocato dallo scoppio della Prima guerra mondiale. Vaughan Williams ricostruirà la sinfonia e successivamente la sottoporrà a varie modifiche. La Londra da cui trae ispirazione è ancora quella del gaudente Edoardo VII, scomparso nel 1910: una realtà urbana in cui convivevano tradizione e modernità, la capitale di un impero sterminato, ma anche la città della nebbia e della Torre dell’Orologio, i cui quattro carillon suonano ogni quarto d’ora il tipico motivo. E la nebbia cala su una parte della Sinfonia. E il carillon della Torre si sente all’inizio di essa, intonato dall’arpa, per ritornare alla fine: poche note, che diventano il sigillo di tutta la composizione. Nel momento in cui, superando il radicalismo del secolo scorso, si sta riscrivendo la storia della musica novecentesca, anche Vaughan Williams ha diritto di essere rivalutato come artista che aveva scelto la continuità fra passato e presente, accanto a Richard Strauss, Rachmaninov e Šostakovič. Di forte presa sul pubblico per la varietà dei colori e l’icastica espressività dei temi è apparsa l’interpretazione di Webb, sostenuto dalla brillante prestazione dell’orchestra: dalle lente battute battute “notturne”, che aprono il primo movimento, percorse a un certo punto dai rintocchi di Westminster, seguite da due temi carichi di energia – di cui il secondo, dominato dagli ottoni, rappresenta il parco di Hampstead Heath in un agosto festivo –, al languore del successivo Lento, con gli archi in sordina, a rappresentare Bloomsbury Square in un pomeriggio di novembre; dallo Scherzo evocante il Westminster Embankment di notte, circondato dai suoni lontani di The Strand e del New Cut, al tono allegro e leggero del movimento finale, che si apre con un tema di marcia, ed è seguito da una sezione piena di forza e di passione, fino al ritorno dei Westminster Chimes, che suggellano la partitura. Grandi applausi per il direttore e l’orchestra..