Drame lyrique in quattro atti su libretto di Edouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann. Juan Diego Flórez (Werther), Anna Stéphany (Charlotte), Mélissa Petit (Sophie), Audun Iversen (Albert), Cheyne Davidson (Le Bailli), Martin Zysset (Schmidt), Yuriy Tsiple (Johann). Philharmonia Zürich. Cornelius Meister (direttore). Philharmonia Zürich, Kinderchor der Oper Zürich und Soprani der Oper Zürich. Ernst Raffelsberger (direttore). Regia Tatjana Gürbaca, Scene e luci Klaus Grünberg, Costumi Silke Willret. Registrazione: Opernhaus Zürich, aprile 2017. T. Time 137′ 36″ (sottotitoli in tedesco, inglese e francese) 1 DVD Accentus Music ACC20427
Capolavoro assoluto della storia del teatro musicale, che, secondo una testimonianza del tenore Guillaume Ibos, il primo interprete dell’eponimo protagonista sul suolo di Francia, rappresentò per Massenet tutta la sua vita, il Werther non trovò nella sua patria un teatro pronto a metterlo in scena. La prima avvenne, infatti, a Vienna il 16 febbraio 1892 e soltanto un anno dopo, il 16 gennaio 1893, l’opera approdò all’Opéra-Comique di Parigi su richiesta dell’impresario Léon Carvalho che, qualche tempo prima, l’aveva bocciata, definendola un triste soggetto senza interesse e condannato in partenza. Dalla prima viennese in tedesco e dalla successiva prima parigina in francese questo capolavoro, però, non è più uscito dai cartelloni teatrali diventando una delle opere che riscuote maggiore successo nei teatri. Per questa ragione non è semplice realizzare una regia che abbia caratteri innovativi e che nello stesso tempo cerchi di mantenersi fedele allo spirito, se non alla lettera dell’opera. In questa edizione, registrata dall’etichetta Accentus Music nell’aprile 2017 all’Opernhaus di Zurigo, la regista Tatjana Gürbaca ha dato una lettura molto personale, che, però, si mantiene fedele allo spirito dell’opera di Massenet cercando di scandagliarne gli aspetti più profondi. Contravvenendo alle prescrizioni del libretto che avrebbe richiesto una scenografia diversa per ciascun atto, l’opera si svolge interamente all’interno di una casa in legno, disegnata da Kraus Grünberg che ha curato anche le luci in modo fine e poetico; in alto a destra campeggia un orologio a pendolo che, presente anche nella regia televisiva nella parte iniziale del preludio come un’ombra nera su un fondo rosso, allusivo forse al sangue del suicidio di Werther, scandisce inesorabile il tempo di questa tragedia. Nel primo atto questa casa in legno, per quanto immagine di una Wetzlar très hermetique o désolante e, quindi, opprimente, come dichiarato dalla regista nell’intervista allegata al DVD, è un luogo sicuro, animato dall’allegria disordinata dei bambini; è l’immagine chiusa e, se vogliamo, anche borghese di una famiglia tutto sommato serena, all’interno della quale Charlotte fa da mamma a fratellini e sorelline. Quest’immagine rassicurante prosegue nel secondo atto, dove la presenza di persone anziane rimanda ad una casa di riposo, nella quale alla fine anche la stessa Charlotte offre la sua opera di volontariato e nella quale si festeggiano le nozze d’oro del pastore della piccola comunità. Non manca, però, in questa scelta una nota pessimistica in quanto, come affermato sempre dalla regista, essa sembra alludere a una vecchiaia del mondo, ma anche a una vita senza scosse, priva quasi di particolari interessi, che, per quanto riguarda la famiglia, inizia con il matrimonio e giunge alle nozze d’oro (quelle del Pastore appunto) in modo monotono. Non più luogo sicuro e rassicurante, le mura di questa casa nel terzo atto sono assimilabili a quelle di una prigione per una Charlotte tormentata che durante il suo Air des lettres vorrebbe evadere senza riuscirvi. Nell’ultimo atto, infine, queste stesse mura diventano il luogo in cui si consuma la tragedia umana di un Werther, la cui anima può finalmente evadere per riunirsi in una forma di religione panteistica alla natura rappresentata dalla neve che si vede fioccare dalle numerose finestre aperte. Finalmente la prigione terrena apre le sue porte grazie alla morte romanticamente liberatrice. Molto interessante è, inoltre, il modo in cui è trattato dalla regista il personaggio di Werther che costituisce l’occasione per Charlotte di evadere da quell’atmosfera opprimente e chiusa rappresentata da Wetzlar e dalla volontà materna di sposare Albert. Di Werther il pubblico assume il punto di vista in quanto, come avviene per il personaggio goethiano, è attraverso i suoi occhi che noi vediamo la realtà e i personaggi che spesso, soprattutto nel primo atto, si bloccano come in una fotografia che l’uomo contempla con l’occhio interiore. Gli eleganti costumi borghesi di Sillke Willert sono perfettamente coerenti con questa regia, nuova e originale e comunque fondata su una lettura sostanzialmente corretta del personaggio goethiano e messanetiano che personalmente mi sento di condividere e apprezzare.
Di alto livello anche l’aspetto musicale a partire dalla concertazione di Cornelius Meister, perfetto non solo nella scelta dei tempi, ma anche delle sonorità soprattutto se si considera che il Werther è una partitura finemente orchestrata e ricca di colori. Le sue sonorità sono morbide, suadenti, quasi impalpabili nei piani e mai volgari nei forti che, invece, ci appaiono strazianti e raggelanti, come quelli che caratterizzano gli accordi posti ad apertura del preludio del primo e del terzo atto. Nella concertazione di Meister la partitura risplende di tutti quei colori con i quali la mano raffinata di Massenet l’ha disegnata. Nel cast vocale giganteggia il Werther di Juan Diego Flórez delle cui qualità vocali non è qui il caso di parlare, essendo arcinote. In quest’occasione va rilevata la capacità di restituire sulla scena un Werther di una malinconia esaltata, come lo stesso tenore peruviano ha affermato nell’intervista allegata al DVD, grazie ad un raffinato rispetto delle dinamiche e delle sfumature dalle mezze voci ai forti che sono ben calibrati per il personaggio da lui interpretato. Totalmente immedesimato nella parte, Flórez è un Werther che coinvolge in tutti i momenti della partitura massenetiana; nella sua interpretazione ogni nota è, infatti, cantata con il suo giusto peso e colore, frutto di una ricerca meticolosa delle sfumature volute da Massenet, a partire dal sognante Je ne sais si je veille ou si je rêve encore fino ai coinvolgenti Pouquoi me réveiller, preceduto da un Toute mon âme est là cantato con un fil di voce, quasi un sospiro dell’anima, e Là-bas au fond du cimitière. Degna compagna sulla scena è Anna Stéphany la quale, dotata di una voce bella e abbastanza omogenea che nel settore acuto trova le sue note migliori, è una Charlotte scenicamente e vocalmente convincente grazie ad una sapiente realizzazione delle dinamiche; coinvolgente è il suo Air des lettres. Solida vocalmente e precisa nell’intonazione e nel fraseggio, Mélissa Petit, nei panni di Sophie, apporta allo spettacolo un tocco di giovanile, quasi infantile, spensieratezza, perfettamente coerente con il ruolo da lei interpretato. Buona la prova anche di Audun Iversen, un Albert vocalmente centrato, che scenicamente rappresenta bene il ruolo sia del fidanzato innamorato e premuroso che fa visita alla sua promessa sposa nel primo atto sia del marito geloso e implacabile nei confronti di Werther nel terzo. Fraseggio e intonazione curati caratterizzano anche la prova di Cheyne Davidson (Le Bailli), mentre un po’ marionettizzati e caricati scenicamente appaiono i personaggi di Schmidt e Johann interpretati rispettivamente da Martin Zysset e da Yuriy Tsiple, corretti, comunque, dal punto di vista vocale. Ottima e frizzante è, infine, la prova del Philharmonia ZürichKinderchor.
In definitiva questo Werther è una bella produzione, impreziosita anche da un’ottima regia televisiva con bei primi piani, e capace di regalare emozioni, cosa rara di questi tempi. Fiaba in quattro atti su libretto di Henri Cain da Cendrillon ou la Petite pantoufle de verre di Charles Perrault. Kim-Lillian Strebel (Cendrillon). Anja Jung (Madame de la Haltière). Anat Czarny (Le Prince Charmant). Katharina Melnikova (La Fèe). Irina Jae Eun Park (Noèmie). Silvia Regazzo (Dorothée). Jongsoo Yang (Le Roi). Naoshi Sekiguchi (Le surintendent des plaisirs). Roberto Gionfriddo (La doyen de la Faculté). Pascal Hufschmid (Le premier ministre / La voix de Héraut). Philharmonisches Orchester Freiburg. Fabrice Bollon (direttore). Opern und Extrachor des Theater Freiburg. Bernhard Moncado (maestro del coro). Regia Barbara Mundel e Olga Motta. Coreografia Graham Smith. Scene e costumi Olga Motta. Luci Dorothée Hoff. Regia televisiva Tiziano Mancini. Registrazione: Friburgo. 30 aprile e 4 maggio 2017. T. Time: 139′. 1DVD Naxos 2.110563.
Rappresentata per la prima volta il 24 maggio 1899, Cendrillon di Jules Massenet, di cui si è parlato in un nostro precedente approfondimento, conseguì un immediato successo non solo in patria con ben 50 repliche nello stesso anno della première, ma anche all’estero e soprattutto in Italia dove vide le scene il 28 dicembre dello stesso anno nella traduzione di Amintore Galli. Nel secondo dopoguerra Cendrillon è però quasi del tutto sparita dai teatri per essere ripresa soltanto nel 1982 a Liegi e Bruxelles con grandi interpreti come Frederica von Stade che l’aveva già incisa ben due volte. In concomitanza con un rinnovato interesse Cendrillon è ritornata ad apparire con maggiore frequenza nei cartelloni dei teatri tra cui quello di Friburgo in Germania nel 2017, la cui produzione, ripresa e pubblicata in DVD dall’etichetta Naxos, si segnala per l’ambizioso e ben riuscito intento di coniugare i tre elementi, quello meraviglioso, quello umano e quello ironico con i quali Massenet aveva intessuto questa sua opera, meno famosa di Werther e di Manon, ma non per questo meno raffinata. Barbara Mundel e Olga Motta, che ha curato anche le scene e i bei costumi, hanno, innanzitutto, deciso di ambientare la vicenda di Cendrillon all’interno di un circo, una metafora della vita che gira come la scenografia costruendo così qualcosa di umano e al tempo stesso ironico. L’universo del circo, nel quale Pandolfe svolge il ruolo di lanciatore di coltelli e Cendrillon quello della fanciulla che rischia di essere colpita, oltre a dare nel contempo una dimensione sia umana che infantile congeniale, quest’ultima, al carattere fiabesco dell’opera, fa intendere subito allo spettatore di trovarsi di fronte ad una pura finzione scenica. L’elemento ironico trova, inoltre, la sua espressione nei personaggi di Madame de la Haltière e delle due figlie Noémi e Dorothée, due autentiche marionette che, cantando quasi sempre in modo omoritmico nella partitura di Massenet, non si configurano come veri e propri individuii ben distinti. Molto belle e funzionali le luci di Dorothée Hoff come, del resto, sono coerenti con le scelte registiche anche le coreografie di Graham Smith.
Sul podio della Philharmonisches Orchester di Friburgo, Fabrice Bollon riesce, grazie ad un’attenta scelta delle sonorità, ad evidenziare bene tutte le raffinatezze timbriche della partitura di Massenet e ad esaltare quei tre elementi di cui si è parlato inizialmente. I tempi sono, infatti, perfettamente adeguati alle diverse situazioni da quelle marionettistiche a quelle intensamente liriche della protagonista e del Prince Charmant. Peccato, però, per il taglio dei tre entrées centrali del balletto dell’atto secondo. Bella voce dal timbro chiaro, Kim-Lillian Strebel è una Cendrillon pienamente convincente sia dal punto di vista vocale che scenico. Della celebre eroina l’artista riesce a restituire con la sua performance il lato umano evidente nel fraseggio curato che caratterizza la sua interpretazione dei passi maggiormente lirici. Anat Czarny è un Prince Charmant veramente incantevole dal bel timbro di voce che mostra fraseggio e un’intonazione curati; la scelta di Massenet di affidare questa parte maschile a un mezzosoprano, che potrebbe rendere poco vari i duetti in quanto le due voci sembrano quasi uniformarsi, crea, invece, un vero e proprio incanto nel finale dove i due artisti si uniscono in uno solo quasi a formare un unico individuo anche dal punto di vista vocale. Scenicamente istrionico, ma anche ricco di pathos nel duetto di tenero lirismo con Cendrillon nel terzo atto, Juan Orozco dal punto di vista vocale è un Pandolfe sostanzialmente credibile grazie ad un’intonazione e un fraseggio corretti, sebbene la pronuncia non sia sempre centrata. Vocalmente corretta, Anja Jung è scenicamente una Madame de la Haltière dal carattere marionettistico, come del resto si comportano da vere e proprie marionette Irina Jae Eun Park (Noèmie) e Silvia Regazzo (Dorothée), le cui prove sono corrette dal punto di vista vocale. Infine Katharina Melnikova è una fata veramente incantevole soprattutto nelle colorature affrontate con dolcezza ed eleganza. Corrette le prove di Jongsoo Yang (Le Roi), Naoshi Sekiguchi (Le surintendent des plaisirs), Roberto Gionfriddo (La doyen de la Faculté) e Pascal Hufschmid (Le premier ministre / La voix de Héraut) e ottima quella del coro ben preparato da Bernhard Moncado.