Genova, Teatro Carlo Felice: “Madama Butterfly”

Genova, Teatro Carlo Felice – Stagione d’Opera 2018-19
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in tre atti di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Madama Butterfly (Cio-cio-san) MARIA TERESA LEVA
Suzuki RAFFAELLA LUPINACCI
Kate Pinkerton MARTA LEUNG
B. F. Pinketon STEFAN POP
Sharpless STEFANO ANTONUCCI
Goro DIDIER PIERI
Lo zio Bonzo JOHN PAUL HUCKLE
Il Principe Yamadori/ Il Commissario Imperiale CLAUDIO OTTINO
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Direttore
Giuseppe Acquaviva
Maestro del Coro Francesco Aliberti
Regia Lorenzo Amato
Scene Ezio Frigerio
Costumi Franca Squarciapino
Allestimento Teatro Astana Opera
Genova, 15 giugno 2019
Questa è la seconda “Butterfly” offerta al pubblico genovese in meno di un anno, dopo quella del luglio scorso all’Arena del Mare: si tratta, tuttavia, di una produzione molto diversa, più complessa e curata dal punto di vista scenico, e con un diverso cast – a parte Stefano Antonucci, che ripropone il suo Sharpless coinvolto e misurato, vocalmente solido e dal fraseggio sempre sensibile e accurato, riscuotendo un altro bel successo. Eppure, quasi imprevedibilmente, anche questa produzione si può inserire – come abbiamo già fatto per quella dell’estate scorsa – sub vocem “aurea mediocritas”, poiché si muove nel solco della tradizione, della partitura e del dettagliato libretto.
La cosa, tuttavia, non stupisce troppo, ma anzi riconferma una già provata teoria: le ambientazioni di tipo esotico, di cui l’opera italiana e francese abbondano, sono scogli davvero giganteschi da superare per il team creativo, poiché legano troppo a sé la parola e spesso (per lo meno in Puccini) anche l’armonia. Di fronte a “Madama Butterfly”, quindi, è davvero difficile che un regista stravolga, o anche semplicemente attualizzi, le coordinate spazio-temporali, e Lorenzo Amato si inserisce a pieno titolo in questo filone: la casa accuratamente ricostruita da Ezio Frigerio è totalmente giapponese, con tanto di calligrafie alle pareti, rami di ciliegio e torii sullo sfondo; i costumi di Franca Squarciapino sono tutti tradizionali, quasi fuori dal tempo, con l’unica eccezione dell’abito di Cho-Cho-San nel Secondo Atto e di quello di Kate Pinkerton, che tradiscono fogge anni Cinquanta. Unico guizzo nell’ambientazione è quello di proporre una sorta di casa sull’acqua, che, tuttavia mal si accorda con il paesaggio montuoso e di nuovo marittimo che domina lo sfondo; di impatto e riuscita, invece, l’intuizione di trasformare il paesaggio naturale di fondo in uno skyline americano durante il coro a bocca chiusa, come a proiettare le aspettative, o forse la dissociazione, di Cho-Cho-San, che lo osserva incantata. Insomma, l’allestimento funziona, senza colpire particolarmente lo spettatore, ma non intralciando minimamente la comprensione della vicenda – come, ahinoi, invece, spesso fanno diverse regie più cerebrali. Unico vistoso neo nella regia sono le luci: troviamo infatti spesso i cantanti in ombra senza una ragione, e questo ne inficia la fruizione da parte del pubblico. La compagine canora, d’altra parte, si assesta, a sua volta, su un livello medio-alto, senza vette eccelse raggiunte, né chiari scivoloni. Maria Teresa Leva, cui è affidata la parte della protagonista, si spende tutta, vocalmente e scenicamente, nella resa del personaggio; il bel timbro, morbido e pieno, del soprano calabrese, accompagna quello che indubbiamente è il suo punto di forza: un registro acuto sicuro e squillante, unito a un fraseggio accurato. Le è accanto Raffaella Lupinacci, una collaudatissima Suzuki, che, infatti, incarna con convinzione vocale e scenica. Stefan Pop (Pinkerton) è un tenore del quale conosciamo la qualità timbriche e la sicurezza tecnico-vocale. Pop ci sembra, per temperamento, un po’ lontano dagli “amorosi” del teatro musicale “in giacchetta” e non in “armatura”. Un plauso a Didier Pieri (Goro) giovane e brillante caratterista. Corrette le prove dei ruoli di lato – Marta Leung (Kate Pinkerton); John Paul Huckle (lo Zio Bonzo); Claudio Ottino (Yamadori e il Commissario). Il Maestro Giuseppe Acquaviva è fautore di una concertazione complessivamente nitida, nel contempo equilibrata e, all’occasione, non priva di languore; una bella conferma anche il Coro, ben presente sia scenicamente che musicalmente nel primo atto, e giustamente evocativo alla fine del secondo. In chiusura di stagione, può ritenersi dunque soddisfatto il Teatro Carlo Felice, che, malgrado alcuni imprevisti e poche scelte inconsulte, ha saputo offrire una proposta di qualità, soprattutto musicale, al non facile pubblico della Lanterna. Foto Marcello Orselli