“Che originali!” Farsa per musica di Giovanni Simone Mayr su libretto di Gaetano Rossi. Bruno De Simone (Don Febeo); Chiara Amarù (Donna Aristea); Leonardo Cortellazzi (Don Carlino); Angela Nisi (Donna Rosina); Omar Montanari (Biscroma); Gioia Crepaldi (Celestina); Pietro Di Bianco (Carluccio).
“Pigmalione”. Scena lirica in un atto di Gaetano Donizetti su libretto di Simeone Antonio Sografi. Antonio Siragusa (Pigmalione); Aya Wakizono (Galatea). Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala. Gianluca Capuano (direttore), Roberto Catalano (regia), Emanuele Sinisi (scene), Ilaria Ariemme (costumi), Alessandro Andreoli (luci). Registrazione: Bergamo Teatro Sociale (Festival Donizetti Opera 2017). T. Time: 145′. 1 DVD Dynamic 37811.
Giovanni Simome Mayr e Gaetano Donizetti, maestro e allievo, accomunati da Bergamo che, diventata una seconda patria per il primo, fu la città natale per il secondo, appaiono insieme in uno stesso cartellone proprio del Teatro Sociale del capoluogo orobico con due atti unici il cui tema è costituito dall’arte. La farsa Che originali! su un libretto di Gaetano Rossi basato a sua volta su una farsa francese del 1779, mette in ridicolo l’ossessione per la musica del protagonista Don Febeo tanto da volere che le figlie, Aristea e l’ipocondriaca Rosina, sposino a tutti i costi un musicista, mentre Pigmalione di Donizetti, una scena lirica su libretto di Simeone Antonio Sografi, affronta in modo serio l’ossessione artistica dello scultore Pigmalione che si innamora della statua di Galatea, la quale alla fine prende vita dopo essere stata colpita da un fulmine. Meritoria è la ripresa di queste due opere in occasione del Festival Donizetti 2017 di Bergamo nelle edizioni critiche curate per la Fondazione Donizetti da Chiara Bertieri (Che originali) e Alessandro Murzi (Pigmalione). Rappresentata per la prima volta al Teatro San Benedetto di Venezia il 18 ottobre 1798, Che originali!, costituì, infatti una delle opere di genere buffo di maggior successo di Mayr e conobbe durante l’Ottocento un certo numero di riprese con altri titoli (Gli originali, Il pazzo per la musica, La melomane, Il trionfo della musica, Il fanatico per la musica e La musicomania), mentre Pigmalione che, composto in appena due settimane tra il 15 settembre e il primo ottobre del 1816, è il primo lavoro teatrale di Donizetti, non fu mai rappresentato vivente il suo autore e ha visto le scene oltre un secolo dopo la sua morte, il 13 ottobre 1960 sempre a Bergamo sotto la direzione di Armando Gatto.
Accattivante per quanto attiene all’aspetto visivo è questo spettacolo che sottolinea molto bene il contrasto tra i due differenti approcci all’arte rappresentati nelle due opere. Per quanto riguarda Che originali! la scenografia, curata da Emanuele Sinisi, riproduce un ambiente semplice e familiare, costituito da un salotto al cui interno si trovano un baule, dei libri e soprattutto un clavicembalo e alcuni spartiti musicali che rappresentano bene l’ossessione artistica di Don Febeo, mentre nel Pigmalione il pubblico è proiettato nella stanza dello scultore, una struttura angusta, realizzata in modo prospettico che funge quasi da prigione, sul cui fondo si trova la statua di Galatea, la cui collocazione, approssimativamente in corrispondenza del punto di fuga, non solo dona ad essa quella centralità che le spetta, ma anche la pone metaforicamente come l’unica possibilità per l’artista di fuggire dalla sua ossessione. Le scene appaiono perfettamente funzionali alle scelte registiche di Roberto Catalano, che tende a caricare in senso farsesco l’opera di Mayr e a trasformare in un leone in gabbia il povero Pigmalione che riesce ad evadere da quelle anguste mura soltanto quando alla fine Galatea proveniente da sinistra ha preso vita Coerenti, infine, le luci di Alessandro Andreoli e i costumi di Ilaria Ariemme, sgargianti e con improbabili fantasie per Che originali! a marcare la comicità dell’opera, e di carattere borghese per Pigmalione, mentre elegante è l’abito lungo con cui è vestita la bella Galatea.
Passando all’aspetto musicale si segnala la buona concertazione di Gianluca Capuano che, alla guida dell’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala, propone una lettura filologicamente corretta con un’adeguata scelta dei tempi e delle sonorità, sebbene non sempre ci sia quella varietà nelle dinamiche che ci si sarebbe aspettati. Nel cast di Che originali! emerge il don Febeo dell’esperto Bruno De Simone, che ha messo al servizio di questo personaggio l’ottima tecnica vocale, evidente nei passi sillabati, e le qualità sceniche da lui evidenziate in altre occasioni nella sua carriera. Di buon livello anche la prova di Chiara Amarù, una convincente Donna Aristea sia sul piano vocale grazie ad una voce abbastanza omogenea sia su quello scenico. Dotato di una bella voce, ben proiettata sugli acuti, Leonardo Cortellazzi è un Don Carolino convincente anche dal punto di vista interpretativo dal momento che riesce a rendere bene se stesso e i suoi due travestimenti, quello del segretario e quello del maestro di musica. Scenicamente centrata, la Rosina di Angela Nisi, che vocalmente evidenzia un buon fraseggio nonostante qualche acuto non sia sempre ben proiettato. Un fraseggio curato contraddistingue la prova di Omar Montanari, un Biscroma scenicamente e vocalmente ben centrato. Gioia Crepaldi è una Celestina che colpisce per la sua vocalità chiara e per il modo delizioso in cui ha reso il suo personaggio. Corretta, infine, la prova di Pietro Di Bianco, che in una parte marginale come quella di Carluccio, ha mostrato di sapere tenere bene il palcoscenico con un’equilibrata verve.
Nel Pigmalione di Donizetti giganteggia nel ruolo del protagonista Antonino Siragusa che, alle prese con una parte vocalmente difficile nella quale si possono notare anche anticipazioni della scrittura che contraddistingue personaggi come Edgardo della Lucia, sfrutta pienamente le sue doti vocali (solidità negli acuti e ottimo volume) per rappresentare con efficacia il tormento di Pigmalione. Sia pure vocalmente limitata a brevi interventi nel finale, la parte di Galatea è ben sostenuta dall’affascinante mezzosoprano Aya Wakizono.
Gaetano Donizetti: “Il Borgomastro di Saardam” Melodramma giocoso in due atti su libretto Domenico Gilardoni. Edizione della versione milanese (1828) a cura di Alberto Sonzogni. Giorgio Caoduro (Lo czar). Juan Francisco Gatell (Pietro Flimann). Andrea Concetti (Wambett). Irina Dubrovskaya (Marietta). Aya Wakizono (Carlotta). Pietro Di Bianco (Leforte). Pasquale Scircoli (Alì Mahmed). Alessandro Ravasio (Un ufficiale). Orchestra Donizetti Opera. Roberto Rizzi Brignoli (direttore). Coro Donizetti Opera. Fabio Tartari (direttore). Regia Davide Ferrario. Assistente alla regia Marina Bianchi. Scene Francesca Bocca. Costumi Giada Masi. Luci Alessandro Andreoli. Regia video Matteo Richetti. Tecnico del suono Rino Trasi. Registrazione: Bergamo, Teatro Sociale, 24 novembre 2017, T.Time: 108′ 1 DVD Dynamic 37812
“Eccomi a darti notizie dei teatri […]. Lunedì si fece la prova generale dell’opera di Donizetti, il Borgomastro, e questa sera va in scena. Io non ho inteso nessuna prova, ma chi fu alla prova generale mi disse che nel primo atto non v’è niente, che nel secondo vi è un duetto che forse piacerà: nel complesso farà fiasco; ma questa sera si vedrà e in ventura te ne scriverò”.
Così si espresse in una lettera del 2 gennaio 1828 indirizzata all’amico Francesco Florimo, Vincenzo Bellini sulla prossima apparizione sulle scene della Scala del Borgomastro di Sardaam, profetizzando il fiasco al quale l’opera sarebbe andata incontro quella sera stessa, sparendo dal cartellone. Lo stesso Bellini, non proprio dispiaciuto, ne diede notizia a Florimo in una lettera del 16 gennaio:
“l’incontro di Donizetti credo che gli ha fatto prendere due bottiglie di Le Roi [un vomi-purgativo molto diffuso all’epoca] per fargli passare la collera”.
Eppure quest’opera, il cui libretto era stato tratto da Domenico Gilardoni dalla pièce teatrale francese firmata da Anne-Honoré-Joseph Mélesville, Jean-Touissant Merle ed Eugène de Cantiran Boirie, aveva ottenuto un notevole successo alla prima rappresentazione il 19 agosto 1827 al Teatro del Fondo di Napoli dove, grazie al cast formato da Caroline Unger (Marietta), Berardo Calvari Winter (Pietro Flimann), Carlo Casaccia (Il borgomastro) e Celestino Salvatori (Pietro Mikailoff ossia lo Czar Pietro), tenne la scena per ben 35 serate. Dopo la sfortunata rappresentazione milanese del gennaio 1828, l’opera andò in scena nuovamente al Teatro Nuovo di Napoli nel 1831 con ulteriori modifiche per sparire dai cartelloni fino al 1973 quando fu ripresa nella cittadina olandese di Zaanstad, la Saardam del titolo, con un cast formato da Renato Capecchi (Borgomastro) e Philip Langridge (Pietro Flimann) sotto la direzione di Jan Schaap.
Protagonista dell’opera è Pietro il Grande che, sotto la falsa identità di Pietro Mikailoff, vive, insieme al fidato Leforte, già da quattro anni nella cittadina olandese di Saardam dove si mescola ai falegnami per imparare le tecniche dell’ingegneria navale utili a modernizzare il suo paese e a realizzare il sogno di costruire la splendida città di Pietroburgo. Amico e compagno di avventura è Pietro Flimann, un disertore di umili origini, innamorato ricambiato di Marietta, pupilla dell’anziano Borgomastro Wambett che a sua volta vorrebbe farla sua sposa. A complicare la vicenda giunge Alì, inviato del Sultano, alla ricerca del vero Czar. L’omonimia tra i due personaggi principali è alla base di una serie di equivoci e di scambi di persona il cui scioglimento è affidato allo Czar il quale, dopo aver rivelato la sua vera identità, alla fine, non solo perdona la diserzione di Flimann, ma lo unisce in matrimonio con Marietta in un tripudio generale al quale non partecipa il Borgomastro rimasto beffato.
Musicalmente Il borgomastro di Saardam non è certo un capolavoro, ma non è nemmeno un lavoro meritevole del fiasco a cui andò incontro in occasione della ripresa del 1828 alla Scala, soprattutto se si considera il fatto che per una forma di ironia della sorte è proprio questa la versione di cui può godere il pubblico oggi. Allo stato delle conoscenze è impossibile ricostruire la versione napoletana il cui manoscritto fu rielaborato per La Scala da Donizetti che, oltre a modificare la parte del Borgomastro originariamente scritta in napoletano come si può arguire dal libretto, riordinò i numeri musicali e sostituì con nuovi recitativi i vecchi andati perduti.
Nella versione che ci è dato ascoltare se, da una parte, appaiono evidenti, soprattutto nel primo atto, nella parte del basso-buffo Wambett e nelle strette, i debiti del trentenne Donizetti nei confronti del Rossini comico, si possono apprezzare anche alcuni numeri, come la cavatina di Marietta (Lungi da te), quella di Wambett (Fate largo al Borgomastro); il cantabile del terzetto del primo atto (Come ha fisso in me lo sguardo), il concertato del Finale dell’atto primo e il duetto fra Flimann e Marietta del secondo atto (Allor che tutto tace) che sono già pienamente donizettiani non solo per il trattamento delle parti vocali e di quelle orchestrali, ma per quella facilità contrappuntistica che caratterizza i pezzi d’assieme.
Quest’edizione, registrata a Bergamo dall’etichetta Dynamic in occasione del Festival Donizetti Opera del 2017, ci appare particolarmente curata sia sul piano visivo che su quello musicale. Per quanto attiene al primo aspetto è interessante notare come la regia teatrale sia perfettamente complementare a quella televisiva, curata da Matteo Richetti che sfrutta sin dall’ouverture con la presentazione dei personaggi e la proiezione di didascalie che narrano l’antefatto della trama le suggestioni del cinema muto utilizzando immagini in bianco e nero instabili come in una vecchia pellicola. In effetti le proiezioni sul fondo costituiscono una forma di fil rouge che accompagna la maggior parte dello spettacolo con immagini ora della Russia degli inizi del Novecento ora di monumenti ora degli stessi personaggi che, per esempio, in corrispondenza della stretta del finale del primo atto sembrano attirati in un vortice che rappresenta efficacemente la confusione della situazione generatasi. Queste proiezioni completano una scenografia disegnata da Francesca Bocca particolarmente accattivante; nella scena iniziale si vede, infatti, lo scheletro di una nave posta sul lato destro che rappresenta un cantiere navale dell’inizio del Novecento, mentre la sua trasformazione nella nave, che riporterà Pietro il Grande, Pietro Flimann e la sua sposa Marietta in Russia, sembra metaforicamente alludere al lieto fine dell’opera. In questa scenografia, perfettamente valorizzata dalle luci di Alessandro Andreoli e dai costumi di Giada Masi che veste con poveri abiti di operai i due Pietro e con mises altrettanto semplici le due donne, si muovono i personaggi ben diretti da Davide Farrario che è riuscito a rappresentare con efficacia sia i momenti comici sia quelli patetici. Per quanto riguarda i primi assoluto protagonista è certamente il Borgomastro che, portato nel primo atto su una sedia gestatoria che si contrappone all’umile carrucola sulla quale si siede Pietro Flimann ironicamente trascinato da Pietro il Grande, nel finale, non rassegnandosi nel vedere la sua pupilla involarsi con il suo promesso sposo, cerca di sabotare la nave tentando addirittura di tagliare le gomene.
Passando alla parte musicale va innanzitutto segnalata l’ottima concertazione di Roberto Rizzi Brignoli che, sul podio dell’orchestra Donizetti, ha esaltato le caratteristiche di questa partitura sin dalla scelta dei tempi particolarmente briosi nelle sezioni comiche e più sostenuti in quelle liriche. A questa buona scelta dei tempi fa da pendant quella delle sonorità giustamente leggere dove necessario e, comunque, mai soverchianti le voci anche nei forti. Buono anche il cast vocale nel suo complesso. Il soprano siberiano Irina Dubroskaya nella parte di Marietta conferma di essere particolarmente a suo agio in questo tipo di repertorio grazie ad una voce che si fa particolarmente apprezzare per la sua bellezza soprattutto nella regione acuta; la sua prova, che si distingue per un fraseggio e un’intonazione curati, è particolarmente convincente sul piano scenico, sia quando le è richiesto di essere appassionata nel duetto con Flimann sia quando deve sfoderare una certa briosità in quello con il Borgomastro con il quale gioca usando il suo ombrello come se fosse un’arma. Un buon fraseggio contraddistingue anche la performance di Giorgio Caoduro, che, dotato di una voce dal bel timbro, è anche scenicamente un Pietro il Grande convincente e autorevole nell’aria dell’atto secondo. Alla scrittura vocale di Pietro Flimann si adatta bene la voce dal timbro piuttosto chiaro, ma di non grandissimo volume, di Juan Francisco Gatell che trova i suoi momenti migliori nelle espansioni liriche e nelle mezze voci. Autentico mattatore è Andrea Concetti, un Borgomastro che si impone per brillantezza grazie anche a un ottimo fraseggio. Corrette le parti dei numerosi personaggi di fianco: Aya Wakizono (Carlotta), Pietro Di Bianco (Leforte), Pasquale Scircoli (Alì Mahmed) ed Alessandro Ravasio (Un ufficiale). Ottima la prova del coro Donizetti Opera ben preparato da Fabio Tartari.