“IPHIGÉNIE EN TAURIDE”
Tragédie-Opéra in quattro atti su libretto di Alphonse du Congé Dubreuil,
dalla tragedia omonima di Claude Guimond de la Touche.
Musica di Christoph Willibald Gluck
Iphigénie AMANDA MAJESKI
Oreste JARRET OTT
Pylade ELMAR GILBERTSSON
Thoas GEZIM MYSHKETA
Diane CARINA SCHMIEGER
Una greca/Una sacerdotessa IDA RÄNZLÖV
Uno scita/Unguardiano ELLIOTT CARLTON HINES
Direttore Stefano Montanari
Maestro del CoroBernhard Moncado
Regia Krzysztof Warlikowski
Scene e Costumi Małgorzata Szczęśniak
Lighting Designer Felice Ross
Coreografia Claude Bardouil
Stuttgart, 28 aprile 2019
Come penultimo nuovo allestimento della stagione in corso, la Staatsoper Stuttgart ha presentato Iphigénie en Tauride, uno tra i massimi capolavori di tutta la produzione operistica di Christoph Willibald Gluck. Ispirata alla celebre tragedia di Euripide, l’ opera ostituisce il coronamento della carriera musicale di Gluck, il frutto della combinazione tra l’esperienza musicale di una vita come operista, e un libretto che può essere considerato come il migliore da lui mai messo in musica. Musicalmente e dal punto di vista drammaturgico, si tratta di un lavoro che presenta incredibili aspetti di modernità innovativa. Opera forte e godibile, ancora oggi, in presa diretta, senza le mediazioni culturali necessarie, ad esempio, per apprezzare le tragedie liriche di Lully e del grandissimo Rameau. La musica è di squisita fattura, con parti corali di ampio respiro e una strumentazione splendida per raffinatezza di coloriti. Sicuramente si tratta di uno degli esiti massimi del teatro musicale settecentesco, per la perfetta coerenza della struttura drammaturgica e le innovazioni compositive, che influenzeranno in maniera decisiva tutti i compositori operistici delle epoche successive a quella di Gluck. Per soddisfare la previsione dell’ oracolo, Iphigénie deve uccidere qualsiasi straniero che approda alle rive della Tauride. All’ inizio della tragedia è Oreste, il fratello di Iphigénie, che appare, in fuga da Micene insieme all’ amico Pilade dopo aver assassinato la madre Clitennestra per vendicare la morte del loro padre Agamennone: tale è il destino della stirpe maledetta degli Atridi discendenti da Pelope, condannata da generazioni a infliggere morte. Iphigénie, quando scopre l’ identità di Oreste, si ribella agli obblighi di sangue imposti dal destino della sua famiglia. Nel 1779 la musica composta da Gluck per Iphigénie en Tauride sembrò ispirare una nuova emozione – né completamente teatrale né del tutto operistica – in cui i suoi contemporanei credevano di aver assistito alla tanto attesa rinascita della tragedia greca. Questo intensissimo spettacolo di un grande riformatore teatrale come Krzysztof Warlikowski è una risposta adeguata a un’ opera di un musicista che si poneva come riformatore del teatro lirico. Entrando nella sala, il pubblico viene accolto dalle silhouette immobili degli artisti che aspettano sul palco, dietro un grande specchio che funge da sipario. Nella splendida produzione originariamente concepita dal grande regista polacco per l’ Opéra de Paris nel 2006, i personaggi si trovano nel crepuscolo della loro esistenza e sono ancora ossessionati dal loro passato. All’ inizio il nostro sguardo è attirato da scorci misteriosi di ciò che potrebbe accadere dietro lo specchio. Il teatro è un luogo di riflessione e rifrazione, di verità e illusione, di vedere e di non vedere. Alcune donne anziane camminano avanti e indietro, dal retro fino al boccascena. Sono, scopriamo, in una casa di riposo. Le donne greche hanno bisogno di ricordare, di essere ricordate, proprio come le donne troiane. L’ anziana Iphigénie implora la pietà degli dei. “Grands Dieux! Soyez-nous Secourables!” Rivive, con tutta l’ efficacia della caratterizzazione psicanalitica di Gluck – e di Nicolas-François Guillard – la tempesta interiore provocata da ciò che ha vissuto, e ci rendiamo conto come quel che lei ora cerca è la fine di tutto. Il trauma delle sue vicende non l’ ha mai abbandonata; anche se veste, non diversamente da una matriarca di Dallas, in abito da sera, è rotta dentro, condannata a rivivere quegli orrori di guerra, di sacrificio, di tragedia familiare. E così, tra il fastidio, la cattiveria, i momenti toccanti di assistenza del personale, nella casa di riposo, lei si prepara alla fine. L’ azione scenica speculare guarda indietro, guarda avanti. Due fasi del futuro, entrambe ingannevoli, inquadrano l’ azione “reale”. Noi facciamo le nostre riflessioni, ci interroghiamo, ci ritiriamo con orrore. Il mistero, tuttavia, rimane. Gli Sciti sono certamente “altri”, i loro riti non sono “nostri”, ma forse sono più veri, meno preoccupati, meno appesantiti dal passato e dal futuro sperimentati o immaginati. Il balletto del primo atto esalta: non solo ci avviciniamo a testimoniare un rito che non riusciamo a capire, ma vediamo una delle anziane compagne di Iphigénie al centro, una donna orgogliosa, imperterrita, almeno momentaneamente, nonostante la vecchiaia, fiduciosa nella sua sensualità, nella sua danza. La scelta di immaginare la vicenda come un incubo rivissuto da persone anziane si rivela efficacissima e la recitazione impostata da Warlikowski conduce a effetti di grande potenza tragica. Una regia ricca di tensione teatrale e atmosfera drammatica, davvero geniale nel suo mettere in massima evidenza tutta la carica drammatica del testo.Dopo tredici anni dalla sua prima apparizione la messa in scena del capolavoro di Gluck ideata da Warlikowski continua ad essere un’ esperienza teatrale provocatoria e gratificante, soprattutto se può trarre beneficio da una performance orchestrale penetrante e precisa, come in questa produzione alla Staatsoper Stuttgart. Fin dall’inizio, con la burrascosa esecuzione dell’ouverture e l’intensa melodicità della prima scena, si poteva percepire una visione perfetta di tutte le strutture musicali dell’opera. Riportare in vita la musica di Gluck non è una cosa dipendente dall’ uso di un’ orchestra storicamente informata, ma dalla personalità interpretativa del podio. Sotto la direzione energica, precisa, raffinata e stilisticamente competente di Stefano Montanari, la Staatsorchester Stuttgart e il coro dello Staatsoper hanno reso tutti gli aspetti della partitura con assoluta efficacia e forza drammatica. Il direttore italiano ha messo in mostra un forte senso del teatro e una personalità musicale da interprete di alto livello. Anche il cast di questa esecuzione era di livello davvero eccellente. Il soprano americano Amanda Majeski ha interpretato Iphigénie mettendo in mostra una voce luminosa, penetrante e una declamazione incisiva in tutte le sfumature di fraseggio, perfettamente complementata nella caratterizzazione scenica da Renate Jett, l’ attrice anziana che le faceva da alter ego. Intenso e commovente il ritratto di Oreste presentato da Jarrett Ott, un giovane baritono che si sta imponendo come una fra le voci più promettenti nell’ ensemble della Staatsoper. Di grande efficacia vocale e scenica anche il Pilade del tenore Elmar Gilbertsson. Il baritono Gezim Myshketa ha conferito una grande forza vocale e drammatica alla crudele figura del tiranno Thoas. Ottima anche la prova di tutte le parti di fianco. Successo assolutamente trionfale, con applausi intensissimi per tutta la compagnia. Foto Martin Sigmund