Melodramma giocoso in due atti su libretto di Jacopo Ferretti (1827 versione napoletana). Revisione, basata ul materiale contemporaneo, di Maria Chiara Bertieri per la Fondazione Donizetti. Bruno Taddia (Olivo). Filippo Morace (Pasquale). Laura Giordano (Isabella). Pietro Adaini (Camillo). Matteo Macchionni (Le Bross). Edoardo Milletti (Columella). Silvia Beltrami (Matilde). Giovanni Romeo (Diego). Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala. Federico Maria Sardelli (direttore). Coro Donizetti Opera. Fabio Tartari (maestro del coro). Regia operAlchemica (Ugo Giacomazzi, Luigi di Gangi), Scene e Costumi Sara Sarzi Sartori, Daniela Bertuzzi e Arianna Delgado, Luci Luigi Blondi. Registrazione: Bergamo Teatro Sociale, 28 e 31 ottobre 2016. T. Time: 200′. 2 DVD Dynamic 37758
Chiamato dall’impresario del Teatro Valle, Aniceto Pistoni, per un’opera buffa da rappresentare per la successiva stagione di carnevale, Donizetti, nell’autunno del 1826 ritornò a Roma dove compose Olivo e Pasquale per il cui libretto Jacopo Ferretti aveva utilizzato la commedia omonima di Antonio Simeone Sografi oltre a un episodio tratto da un’altra commedia sempre di Sografi, Il più bel giorno della Vestfalia. L’opera, andata in scena il 7 gennaio 1827, ebbe un discreto successo nonostante la mediocrità del libretto e il livello del cast, non certo eccellente, se Donizetti era stato costretto ad affidare il ruolo del giovane Camillo a un musico (contralto en travesti). Quando Donizetti riprese l’opera per un nuovo allestimento al Teatro Nuovo di Napoli, dove era diventato direttore, ripristinò la parte di Camillo per la voce del tenore, affidandogli una nuova aria (Che pensar? Che far degg’io?) oltre ad aggiungere parti dialettali e a sostituire i recitativi con dialoghi parlati. L’opera, che, pur non essendo un capolavoro, è un lavoro piacevole nel quale si sentono marcate influenze rossiniane, mette in scena i contrasti tra due fratelli di temperamento completamente diverso, Pasquale e Olivo che si oppone all’amore tra la figlia Isabella e Camillo.
Sparita dai cartelloni teatrali dopo il 1869, l’opera è stata ripresa in questa pregevole edizione messa in scena nell’ottobre del 2016 al Teatro Sociale di Bergamo nella versione napoletana (1827) i cui materiali, non autografi, sono stati revisionati da Maria Chiara Bertieri. Molto bello l’impatto visivo a partire dalla scenografia e dai costumi entrambi realizzati, con fantasia e gusto, da Sara Sarzi Sartori, Daniela Bertuzzi e Arianna Delgado. Per quanto riguarda la prima, che non descrive un luogo specifico eccezion fatta per la nave dalla quale scende Le Bross, è stata realizzata una bella cornice fatta di banconote che allude all’importanza data al denaro da Olivo. Variopinti sono i costumi che non rimandano ad un’epoca o a un luogo specifici, ma appartengono al frizzante mondo dell’opera buffa, configurandosi come immagini immediatamente significanti del carattere del personaggio. Non può sfuggire, infatti, il rosso fuoco del costume di Olivo che rimanda al suo carattere “infiammabile” o il delicato rosa di un’Isabella innamorata. All’interno di questa scenografia operAlchemica, costituita dal duo formato da Ugo Giacomazzi e Luigi Di Gangi, a cui è stata affidata la regia, fa muovere i personaggi con vivacità dando vita a gag. I registi hanno curato abbastanza bene anche le parti recitate, cosa non sempre scontata in questi spettacoli, ma forse hanno marcato in senso caricaturale qualche personaggio e soprattutto il protagonista Olivo che a volte sembra eccedere nelle sue manifestazioni d’ira. Coerenti e dosate con gusto, infine, le luci di Luigi Blondi.
Passando all’aspetto musicale, si segnala la buona concertazione di Federico Maria Sardelli che, alle prese con una partitura non particolarmente complessa, si mostra all’altezza della situazione per quanto attiene alla scelta dei tempi, brillanti quanto basta, e delle sonorità. Nel cast vocale si segnala l’ottima prova di Laura Giordano, che mostra di essere perfettamente a suo agio sia vocalmente che scenicamente nella parte di Isabella grazie alla buona tecnica, evidente nelle agilità sempre risolte con facilità, e grazie a una recitazione frizzante. Sicuramente migliore sul piano vocale rispetto a quello scenico, un po’ caricato soprattutto nelle lunghe parti recitate, è la prova di Bruno Taddia (Olivo) che può contare su un buon fraseggio. Filippo Morace è un convincente Pasquale. Il suo napoletano è perfetto e il cantante restituisce sulla scena molto bene l’immagine di un uomo pigro, ma tutto sommato pacifico. Fraseggio ed intonazione curati contraddistinguono la performance di Pietro Adaini, alle prese con un ruolo non semplicissimo sul piano vocale, in particolare modo nel settore acuto, come quello di Camillo, e di Matteo Macchionni, un Le Bross convincente soprattutto per l’attenzione alle dinamiche. Edoardo Milletti è un Columella scenicamente frizzante e vocalmente preciso. Ben delineati dal punto di vista scenico e vocale sono anche i due personaggi di Matilde e Diego interpretati rispettivamente da Silvia Beltrami e da Giovanni Romeo. Buona la prova del Coro Donizetti Opera, ben preparato da Fabio Tartari.
Gaetano Donizetti: “Rosmonda d’Inghilterra”. Melodramma serio su libretto di Felice Romani. Revisione basata sul materiale contenporaneo a cura di Alberto Sonzogni per la Fondazione Donizetti. Jessica Pratt (Rosmonda), Eva Mei (Leonora), Dario Schmunck (Enrico), Nicola Ulivieri (Clifford), Raffaella Lupinacci (Arturo). Orchestra Donizetti Opera. Sebastiano Rolli (direttore). Coro Donizetti Opera. Fabio Tartari (maestro del coro). Regia Paola Rota, Scene e luci di Nicolas Bovey, Costumi Massimo Cantini Parrini, regia video Matteo Ricchetti. Registrazione: Teatro Donizetti, Bergamo, novembre 2016. T. Time: 151′. 2 Dvd Dynamic 37757.
Accolta con scarso entusiasmo alla prima rappresentazione il 26 febbraio 1834 a La Pergola di Firenze nonostante l’ottimo cast composto da Fanny Tacchinardi Persiani (Rosmonda), Anna Del Sere (Leonora) e Gilbert-Louis Duprez (Enrico II), Rosmonda d’Inghilterra di Gaetano Donizetti, su libretto di Felice Romani che aveva adattato quello scritto precedentemente per Carlo Coccia (Venezia, 1824), sparì immediatamente dai cartelloni. Eppure la partitura di quest’opera, il cui soggetto trattava dell’amore del re Enrico II d’Inghilterra per la bella Rosmonda e della conseguente gelosia della moglie Leonora che alla fine ucciderà la sua rivale, presenta alcune pagine di notevole valore come, la bella ouverture, il coro introduttivo «Non udiste? Un suon di tube», la cavatina di Enrico «Dopo i lauri di vittoria», quella di Rosmonda «Perché non ho del vento», che Donizetti avrebbe ripreso al posto di «Regnava nel silenzio» nella versione francese della Lucia di Lammermoor per la quale era stata scritturata la Tacchinardi Persiani, il duetto tra Enrico e Clifford «Tu non conosci il merto» e quello intensamente drammatico tra Rosmonda e Leonora «Tu morrai, tu m’hai costretta». Alla luce di ciò, non si comprende la ragione per cui è stata votata all’oblio quest’opera che, pur presentando alcuni difetti come la debolezza dello sviluppo drammatico e del finale, privo di un pezzo d’effetto, e una melodia che non fluisce come in altre opere del grande compositore bergamasco, è comunque un lavoro degno di un posto stabile nel repertorio. Rare sono state, però, le riprese moderne dell’opera da quella del 1975 in forma di concerto alla Queen Elisabeth Hall di Londra all’incisione per Opera Rara del 1997 con Renée Fleming. Finalmente nel 2016, nell’edizione critica curata da Alberto Sonzogni per la Fondazione Donizetti, è stata ripresa in versione da concerto a Firenze e con lo stesso cast, eccezion fatta per il tenore, nel mese di novembre 2016 in forma scenica al Teatro Donizetti di Bergamo.
Registrata dalla Dynamic, è questa un’edizione complessivamente buona sotto il profilo musicale, ma che desta qualche perplessità sul piano della scenografia e della regia, dallo stile visivamente confuso nonostante i costumi di Massimo Cantini Parrini non siano privi di una certa eleganza. Scarne sono, però, le scene di Nicolas Bovey, costituite da un fondale grigio e da due pareti nere che vengono spostate per restringere o allargare lo spazio scenico a seconda delle situazioni. La regia di Paola Rota appare statica, in realtà, come l’intreccio di questo libretto il cui sviluppo drammatico, come accennato in precedenza, è piuttosto esile.
Per quanto attiene all’aspetto musicale desta qualche perplessità il finale, già debole nella versione del 1834, in quanto mancante di un pezzo d’effetto che Donizetti inserì nella forma di una cabaletta per Leonora nella revisione che egli fece nel 1837 sotto il titolo di Eleonora di Gujenna mai rappresentata. In quest’occasione il finale appare ancor più anomalo dal momento che è stato scelto di mantenersi fedele all’autografo della versione del 1834, nel quale sono cancellate le ultime battute che accompagnavano i versi di Leonora «Sono alfine vendicata… / trema, Enrico! Io regno ancor»; l’opera si conclude così con il progressivo spegnimento delle luci dopo l’intervento del coro che canta «Oh! Dio! Che orror!». Personalmente mi chiedo: non sarebbe stato forse più opportuno per questo finale inserire la cabaletta scritta da Donizetti per la revisione del 1837 tanto più che la composizione di un’opera nell’Ottocento continuava anche durante e dopo le rappresentazioni e che comunque quel finale costituirebbe l’ultima parola di Donizetti su questa partitura? Nonostante questo piccolo dubbio di carattere filologico, l’aspetto musicale è di buon livello sin dalla concertazione di Sebastiano Rolli che, come è solito fare, dirige a memoria una partitura che mostra di aver ben interiorizzato sia per quanto attiene alla scelta dei tempi che delle sonorità, riuscendo così a confermarsi come una delle bacchette più versate nel repertorio della prima metà dell’Ottocento. La sua concertazione si segnala per un ottimo rispetto delle dinamiche e per l’esaltazione della linea del canto. Sul piano vocale emerge la Rosmonda di Jessica Pratt; il soprano inglese naturalizzato australiano, contando su un fraseggio e un’intonazione particolarmente curati e un facile registro acuto, se pur con qualche tensione, oltre che confermare le qualità virtuosistiche, ha restituito sulla scena in modo convincente il carattere tormentato del personaggio. Intense dal punto di vista interpretativo sono sia la cavatina «Perché non ho del vento» sia l’aria «Io fuggirò quel perfido» del secondo atto. Un’ottima Leonora sul piano interpretativo e vocale è Eva Mei, perfetta dal punto di vista della tecnica e brava nel rendere le sfaccettature del suo personaggio, una donna inizialmente ferita nel suo orgoglio di persona prima ancora che di regina, e, poi, crudele e decisa nel perseguire la sua vendetta. Pur dotato di una voce dal timbro adatto al suo ruolo non certo facile, Dario Schmunck (Enrico) è più convincente sul piano interpretativo, dal momento che riesce a rendere bene il carattere regale e nobile del personaggio, che su quello vocale dove si notano qualche tensione soprattutto nel registro acuto e un fraseggio non sempre accurato. Di spicco, per qualità vocali e interpretative, l’ Arturo en travesti del mezzosprano Raffaella Lupinacci, che può contare su una voce omogenea dal timbro brunito e su un’ottima tecnica che le consente di cantare con la morbidezza necessaria. Fraseggio e intonazione curati contraddistinguono la prova di Nicola Ulivieri, un Clifford nobile. Ottima, infine, la perfomance del Coro Donizetti Opera, ben preparato da Fabio Tartari.