Venezia, Teatro La Fenice: Čajkovskij secondo Valeriy Sokolov e Juraj Valčuha

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2018-2019
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Juraj Valčuha
Violino Valeriy Sokolov
Pëtr Il’ič Čajkovskij: Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 35; Sinfonia n. 6 in si minore op. 74 “Patetica”
Venezia, 12 aprile 2019
Era una serata, quella che si è svolta il 16 aprile al Teatro La Fenice, interamente dedicata a Čajkovskij, di cui si proponevano due titoli, che ricorrono da tempo nei programmi dei concerti in tutto il mondo come sull’etichetta di innumerevoli edizioni discografiche. Si tratta di due capolavori, la cui grande notorietà presso il grande pubblico sovente non corrisponde a un reale riconoscimento del valore del loro autore da parte di certa critica o di alcuni interpreti, che lo considerano troppo incline all’enfasi emotiva, all’edonismo della danza, al facile melodismo. Antesignano di tale atteggiamento fu l’arcigno Hanslick, che, dopo aver ascoltato il Concerto per violino e orchestra di Čajkovskij – il primo dei due pezzi in programma – se ne uscì con una stroncatura tra le più astiose mai rivolte a un’opera musicale, associando questa musica alla puzza di acquavite e alla trivialità di un’orgia di ubriachi. In effetti, il concert rappresenta senza dubbio un punto di svolta quanto alla tecnica e all’espressività dello strumento solista.
Venendo all’esecuzione ascoltata alla Fenice – con Valeriy Sokolov al violino e Juraj Valčuha sul podio dell’orchestra, in sostituzione rispettivamente di Sergei Dogadin e Yuri Temirkanov, per l’indisposizione di quest’ultimo –, ci è parso che Sokolov, affrontando , con innegabile maestria, le difficoltà trascendentali della sua parte, abbia diffusamente puntato alla qualità, alla morbidezza, alla rotondità del suono, anche in quei passaggi, nel primo movimento, dove – sempre secondo lo spietato giudizio di Hanslick – il violino sarebbe costretto a “gracchiare”; quegli stessi passaggi, in cui verosimilmente alcuni violinisti, cui Čajkovskij si era rivolto per l’esecuzione del concerto, avevano ravvisato altrettante ragioni di ineseguibilità. Tecnicamente ineccepibile ma anche sempre espressivo e raffinato nel suono, si è dimostrato, in particolare, il giovane concertista ucraino, eseguendo l’impervia cadenza conclusiva. Per poi immergere gli ascoltatori in una dimensione sognante, fatta di tenue lirismo e delicate sfumature di colore, nella successiva Canzonetta. Brillantezza e insieme compostezza stilistica si sono apprezzate nel brillante finale. Autorevole il maestro Valčuha nell’accompagnare il solista con precisi interventi dell’orchestra ora illuminati dalle squillanti e ritmate fanfare delle trombe ora pieni della dolcezza suadente delle sonorità degli archi e dei legni. Applausi interminabili hanno salutato questa esecuzione, placati solo dalla concessione di un bis: Recitativo e scherzo op. 61 di Fritz Kreisler.
Dopo l’intervallo: la Sinfonia “Patetica”. Come quella del suo amatissimo Mozart, anche la morte di Pëtr Il’ič Čajkovskij è in qualche modo avvolta nel mistero e preannunciata da un’opera concepita nella parte estrema della propria vita: per il Salisburghese il Requiem, rimasto incompiuto in seguito alla precoce morte dell’autore, che – tra le innumerevoli motivazioni addotte – la fantasia di alcuni artisti e letterati attribuì ad un veleno propinatogli, per invidia, dal rivale Salieri; per il musicista russo la Sesta sinfonia, che egli stesso – pensando soprattutto all’Adagio conclusivo – assimilò ad una messa funebre, avvalorando la tesi – peraltro ancora senza prove del tutto convincenti – che essa rappresenti il suo canto del cigno, rivolto al mondo poco prima che una sostanza velenosa – che fu costretto ad assumere, per volontà dello stesso zar –, ponesse fine alla sua vita. La sua morte avrebbe così evitato lo scandalo, che inevitabilmente avrebbe provocato la diffusione della notizia riguardante le attenzioni “particolari”, che il compositore aveva rivolto al nipote adolescente di un aristocratico. Altrettanto priva di una decisiva dimostrazione risulta l’ipotesi del suicidio volontario, che si sarebbe verificato, per aver bevuto volutamente dell’acqua non bollita, durante un’epidemia di colera a San Pietroburgo; e ancor meno quella della morte accidentale, sempre dovuta all’assunzione di acqua infetta nelle medesime circostanze, ma per semplice sbadataggine. Sta di fatto che la Sesta sinfonia – da tempo divenuta una delle realizzazioni musicali più famose in tutto il mondo – è innegabilmente legata ad un presentimento della fine imminente, da cui il compositore fu colto nel concepire questa straordinaria partitura, costruita – proprio nel corso delle ultime settimane di vita – in base a un “programma”, che egli stesso dichiarò di voler tenere segreto, come segrete, misteriose rimangono – come si è visto – le circostanze della sua morte, che avvenne appena nove giorni dopo la prima esecuzione assoluta del 26 ottobre 1893 a San Pietroburgo, sotto la sua direzione. “Patetica” è l’aggettivo, che Modest – il fratello di Pëtr – propose, con successo, di associare a questa sinfonia, che peraltro l’autore aveva inizialmente pensato di battezzare con l’appellativo di “Tragica”, per connotare un “Requiem”, che ha talora i tratti di un drammatico Trionfo della Morte, di una sofferta, spietata presa di coscienza da parte di un uomo, che con il cuore traboccante di commozione, non si nasconde l’inesorabile appressarsi della propria fine.
Priva di ogni inflessione leziosamente “patetica” ci è parsa la lettura di Valčuha, che ha esaltato la tensione drammatica, fatta di contrasti dinamici e timbrici, insita in questa articolata partitura, senza mai cedere a un fin troppo facile gusto lacrimoso. Il direttore slovacco è riuscito, tra l’altro, a mettere in luce il valore puramente musicale, a prescindere da ogni “programma”, di questa costruzione, che si segnala per la raffinatezza e l’efficacia dell’orchestrazione, la grande eleganza delle linee melodiche, l’originalità a livello formale. Nell’esecuzione si è pienamente confermato l’eccellente livello dell’orchestra sempre sensibile, scattante, precisa, coesa nei passaggi d’insieme, così come capace di esprimere pregevoli interventi solistici. E questo Ciajkovskij non ha nulla da invidiare ai massimi sinfonisti del suo tempo, smentendo tutti coloro, che continuano a considerare l’autore russo con immotivata sufficienza. Entusiastico successo. Foto Simon Folwler