Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2018-2019
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Myung-Whun Chung
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Soprano Zuzana Marková
Contralto Sara Mingardo
Gustav Mahler: Sinfonia n. 2 in do minore “Resurrezione” per soprano, contralto, coro misto e orchestra Venezia, 9 marzo 2019
La Sala del Selva gremita in ogni ordine di posti, nell’aria un clima di attesa per un evento certamente raro e prezioso, nel cuore la gioia di poter ascoltare dal vivo, in tutta la sua forza espressiva, la sua intrinseca teatralità, un monumento sonoro tra i più grandiosi e sublimi: la Seconda sinfonia di Gustav Mahler. Ad eseguirla, una grande orchestra e un grande coro, due prestigiose cantanti, uno dei massimi direttori del momento, tra l’altro da tempo beniamino del pubblico veneziano. Ecco, si dispiegano le imponenti masse corali ed orchestrali. E da ultimo compare l’esile figura, dai tratti orientali, di Myung-Whun Chung, che sembra quasi scomparire di fronte a formazioni tanto numerose. Eppure, dal primo segnale d’attacco la magia si compie: dal gesto del maestro coreano si sprigiona una forza, che soggioga immediatamente quella nutrita schiera di musicisti, e li trasforma in un docile quanto efficace strumento di piacere estetico. Fortemente contrastata e teatrale – come dev’essere – la sua lettura della monumentale partitura, caratterizzata, tra l’altro, da una diffusa dilatazione dei tempi.
Il primo movimento, Totenfeier (rito funebre) – in cui Adorno ha colto il senso del precipitare, del crollare – in effetti, procedeva come un discorso, che continuamente si spezza, intervallato da alcune parentesi liriche. Dopo un tremolo di violini e viole in fortissimo – che poteva far pensare a certi incipit di Bruckner, da cui peraltro si differenziava per il suo tono perentorio –, è calata un’atmosfera tragica, luttuosa, segnata da un andamento cadenzato di marcia funebre e da un inizio concitato con aspri motivi frammentari di violoncelli e contrabbassi, in attesa del primo tema, affidato agli oboi e al corno inglese. I violini – sempre eleganti ed espressivi – hanno poi intonato in pianissimo il secondo tema dalla linea melodica ascendente, subito interrotto dal ritorno improvviso del tremolo iniziale e dal vigoroso intervento di violoncelli e contrabbassi, accompagnato da fanfare – intonatissime – degli ottoni. Nello sviluppo – iniziato con il ritorno del secondo tema e percorso da un tono catastrofico, oscillando tra i caratteri del Corale e della Marcia funebre – hanno fatto la loro apparizione due figure tematiche, ricorrenti poi nel corso della Sinfonia: un intervallo di semitono eseguito con il giusto accento dal corno inglese (tipica evocazione del lamento) e un soggetto quasi di corale, intonato in modo irreprensibile dai corni, che esordisce citando la celebre sequenza del “Dies irae”.
Il secondo movimento, Andante moderato – un Ländler lento – ci ha immerso nella dimensione della memoria con la delicata raffinatezza dei timbri e dei dettagli, cui contrastava la semplicità del disegno formale. Aperto da un fortissimo del timpano, il terzo movimento, percorso da un andamento ostinato in sedicesimi – un’ossessiva monotonia, che coincide con l’ esperienza del sempre uguale, sempre diverso – si basa sulla parafrasi di un Lied del Wunderhorn, “Sermone di S. Antonio da Padova ai pesci”, di cui viene ribadito l’umorismo sarcastico come il carattere grottesco. Anche in questa parte si sono fatte apprezzare le sfumature e le contrapposizioni timbriche: ad esempio i triviali disegni dei fiati, cui ha fatto da contrasto il lirico canto della tromba.
Nel quarto tempo si sono imposte la professionalità e la musicalità di Sara Mingardo, che ha intonato, con uno sfoggio veramente encomiabile di mezze voci e un’espressività tanto intensa quanto umilmente trattenuta, il disegno lineare, severo e statico come un corale, dei primi versi di Urlicht (luce primigenia) – con il suggestivo intervento di un gruppo di fiati lontani –, seguito dal racconto infantile dell’incontro con l’angioletto, accompagnato da colori orchestrali più chiari – passaggio in cui ha brillato il primo violino – e poi da “Ich bin von Gott”, reso con accenti di drammatico fervore (presagio del finale, ma senza il suo grandioso anelito).
Davvero dirompente è stato il gesto con cui Chung ha aperto il quinto movimento, che ci ha riportato di colpo nel clima concitato del primo, con la parentesi del segnale dei corni che devono suonare fortissimo, ma – per volere dell’autore – disposti “il più lontano possibile”, e dove si ripresentano fondamentali figure tematiche, come il tema di Corale, amplificazione del motivo del “Dies irae” del primo movimento, e il lamentoso intervallo di seconda minore. Gli strumenti si sono risposti, con effetto-eco, intonando, in tono sacrale, intervalli di quinta, in misteriosa attesa del terrifico Giudizio Universale, culminante appunto nel minaccioso “Dies Irae”, affidato agli ottoni gravi, dopodiché una veloce sezione di sviluppo, Allegro energico, ci ha proposto una grottesca marcia funebre: la processione dei morti, che è sfociata ancora una volta in un pianto lamentoso. Infine, misteriosa e quasi inattesa, si è udita la sommessa perorazione del coro a cappella, che ha preparato e accompagnato, con intensa partecipazione e assoluto controllo vocale, l’intervento del contralto e del soprano – entrambi misurati e nel contempo misticamente espressivi – con il loro messaggio salvifico. Si tratta della rielaborazione dell’inno Die Auferstehung (La Resurrezione) di Friedrich Klopstock, culminante nell’apoteosi finale, tra bagliori dorati di squilli, fervore di canti, risuonare grave e solenne di campane, sonori ripieni dell’organo. Travolgente successo per tutti.