Hector Berlioz 150 (1803 – 1869): “Harold en Italie” (1835) e “Les nuits d’été” (1856)

“Harold en Italie” (Aroldo in Italia), Sinfonia in quattro parti con viola solista op. 16
Aroldo fra i monti. Scene di malinconia, di felicità e di gioia (Adagio, Allegro)
Marcia dei pellegrini che cantano la preghiera della sera (Allegretto)
Serenata di un montanaro degli Abruzzi alla sua amata (Allegro assai)
Orgia dei briganti. Ricordi di scene precedenti (Allegro frenetico)
Durata: 35’ca

“Alcune settimane dopo il concerto di riabilitazione [22 dicembre 1833 al Conservatorio con in programma la Symphonie fantastique] di cui ho parlato, Paganini venne a trovarmi «io ho una viola meravigliosa, mi disse, un ammirevole strumento di Stradivari che mi piacerebbe suonare in pubblico. Ma io non ho musica adatta. Volete scrivere un assolo per viola? Io ho fiducia solamente in voi per questo lavoro».  «Certamente, gli risposi, io sono lusingato più di quanto non saprei dire, ma per rispondere alle vostre aspettative, per fare in una simile composizione eccellere, come è giusto, un virtuoso come voi, bisogna saper suonare la viola; e io non la suono. Mi sembra che voi solo sareste in grado di risolvere questo problema». «No, no, insisto, disse Paganini, voi farete un bel lavoro; quanto a me io non sto troppo bene in questo momento per comporre e non posso pensare ad essa»”.
Berlioz, quindi, come scrisse nei suoi Mémoires, si convinse ad accontentare il grande virtuoso, scrivendo un assolo per viola capace di coinvolgere l’orchestra in modo tale da non sminuire l’efficacia del suo contributo, sicuro che Paganini, con le sue incomparabili capacità come esecutore, avrebbe saputo come mantenere la viola in risalto. Paganini, invece, quando vide le pause della viola nell’Allegro del primo movimento, deluso esclamò:
“Io non farò questo, io sono silenzioso per troppo tempo, io ho bisogno di suonare senza interruzione”.
Il compositore francese gli rispose che se egli voleva un concerto per viola solista, in quel caso era lui l’unico in grado di poterlo scrivere. La collaborazione con Paganini non ebbe seguito, ma Berlioz decise di portare avanti il suo progetto scrivendo una serie di scene orchestrali in cui la viola, senza perdere le sue caratteristiche, avrebbe più o meno preso parte. Nacque Harold en Italie, una sinfonia in quattro parti ispirata a Il pellegrinaggio del giovane Aroldo di Lord Byron, che, composta nel 1834, fu eseguita con successo al Conservatorio lo stesso anno. Nella sinfonia, uno dei suoi lavori più poetici, Berlioz sembra aver raggiunto il suo scopo, quello di scrivere musica a programma, le cui prime manifestazioni erano già nella Symphonie Fantastique del 1830, dalla quale differisce per un’atmosfera più distesa, infatti qui la malinconia del protagonista è molto lontana dall’angoscia del giovane musicista. Oltre al programma poetico, esplicitato dai titoli dati ai quattro movimenti allo scopo di rendere palesi le intenzioni e i sentimenti espressi dal compositore nella musica, un’altra innovazione è costituita dalla melodia caratteristica, una melodia, affidata, in questo caso, alla viola, che dà voce e consistenza musicale ai sentimenti provati dal protagonista di fronte alle varie situazioni ed espresse da sapienti variazioni e modulazioni. Questa melodia costituisce il tema principale che, come nella Symphonie Fantastique, ritorna in tutti i movimenti con una differenza rilevata dallo stesso Berlioz il quale scrisse:
“Il tema della Symphonie Fantastique, l’idée fixe, s’interpone ostinatamente come un’idea appassionata, episodica in mezzo alle scene che le sono estranee e le rende diverse, mentre il canto di Harold si sovrappone agli altri canti dell’orchestra con i quali contrasta con il suo movimento e il suo carattere senza interromperne lo sviluppo”.
Dedicata all’amico Humbert Ferrand, la sinfonia, composta in poco tempo, ma migliorata nel corso degli anni, ebbe un discreto successo alla sua prima esecuzione avvenuta al Conservatorio il 23 novembre 1835, come ricordò lo stesso Berlioz:
“Solo il primo brano fu poco applaudito per colpa di Girard che dirigeva l’orchestra e che non riuscì mai a guidarla abbastanza rapidamente nella coda il cui movimento deve animarsi gradualmente del doppio della velocità. Senza questa animazione progressiva la fine di questo Allegro è languente e glaciale. Soffrii il martirio sentendolo trascinarsi così. La Marche des pèlerins fu bissata. Alla sua seconda esecuzione e verso la metà della seconda parte del brano, nel momento in cui, dopo una breve interruzione, si sente di nuovo il suono delle campane del convento rappresentato da due note di arpa che raddoppiano i flauti, gli oboi e i corni, l’arpista contò male le sue pause e si perse. Girard allora, invece di rimettere sulla strada giusta, come ciò mi è accaduto 10 volte in un simile caso (i tre quarti degli esecutori commettono a questa entrata lo stesso errore), gridò all’orchestra: «L’ultimo accordo!» e fu preso l’accordo finale saltando le oltre cinquanta misure che lo precedono. Ciò fu uno sgozzamento completo. Fortunatamente la Marche era stata eseguita bene la prima volta e il pubblico fece caso al disastro della seconda”.
Nonostante il successo tributato dal pubblico del quale facevano parte personalità illustri della cultura francese, come Victor Hugo, Eugéne Sue, Alexandre Dumas, Alfred De Vigny, Franz Liszt, Chopin e Lesueur, la critica non fu tutta favorevole tanto che su un giornale parigino apparve un articolo pieno di invettive che cominciava in modo spiritoso: Ha! ha! ha! haro! haro! Harold! Berlioz ricevette anche una lettera anonima nella quale, dopo un elenco di ingiurie, gli fu rimproverato di essere assez dépourvu de courage pour ne pas se brûler la cervelle.
Il primo movimento, Aroldo fra i monti. Scene di malinconia, di felicità e di gioia si apre con un’introduzione lenta e misteriosa (Adagio), nel disegno cromatico dei violoncelli e dei contrabbassi, imitati in successione dai violini primi, dalle viole e dai violini secondi, che entrano quasi in stile fugato. Su questo attacco degli archi si staglia un nuovo tema, affidato al fagotto, prima, e all’oboe, dopo, in imitazione. Dopo l’esplosione dell’intero organico orchestrale emerge sul delicato accompagnamento dell’arpa il tema affidato alla viola che rappresenta perfettamente il carattere romantico del protagonista Aroldo, dietro il quale si cela lo stesso Berlioz, immerso nella natura che lo circonda contemplandola in modo nostalgico, come ha notato Liszt che nella sua recensione scrisse:
“Aroldo vorrebbe immergersi nella natura, perdersi nel gran tutto, dissolversi… La viola ha un suono velato, ottavato, che simboleggia la voce di Aroldo, espressione della sua interiorità: aleggia sull’orchestra come il respiro dell’uomo sensibile sulla natura… Improvvisamente la monodia diventa più flebile, la voce si spegne, l’anima che volava chiude le ali”.
Il successivo Allegro, in forma-sonata con due temi che vengono ampiamente sviluppati da Berlioz, si snoda sul ritmo di un brillante salterello che evoca perfettamente le scene di felicità, anche se non è del tutto capace di sottrarre alla sua nostalgia Aroldo che ritorna alla fine del movimento con il suo tema cupo.
Il secondo movimento, Marcia dei pellegrini che cantano la preghiera della sera (Allegretto),  è un altro saggio delle capacità di Berlioz di disegnare dei perfetti quadri di genere. L’atmosfera serale è perfettamente rappresentata all’inizio dai pizzicati delle viole, dei violoncelli e dei contrabbassi ai quali rispondono corni e fagotti, mentre la marcia è interrotta da un motivo di carattere processionale che ritorna periodicamente. Nella parte centrale, costituita da un canto religioso il suono della viola interviene con leggeri arpeggi per annunciare la presenza di Aroldo che guarda con disinteresse a tutto ciò che gli accade intorno, mentre il carattere processionale è conferito dal pizzicato dei contrabbassi che accompagnano le note lunghe dei legni e degli archi. Al canto religioso segue la ripresa della marcia che risuona sempre più lontana.
Il terzo movimento, Serenata di un montanaro degli Abruzzi alla sua amata, si apre con un brillante episodio, Allegro assai, in 6/8 che sembra assumere le movenze di una tarantella; ad esso segue la serenata vera e propria, Allegretto, nella quale emerge la voce del corno inglese, strumento idoneo a rappresentare il canto d’amore del pastorello nei confronti della sua amata. Nemmeno il canto struggente del pastorello riesce a coinvolgere Aroldo che, introdotto dalla viola con il suo tema, resta uno spettatore triste della scena.
Nell’ultimo movimento, Orgia dei briganti. Ricordi di scene precedenti, Aroldo è ritratto all’interno di una caverna in preda ai fumi dell’alcool insieme a dei briganti dediti ad un’orgia rappresentata con un’esplosione ritmica dell’orchestra il cui organico è considerevolmente ampliato con ottavino, tuba, piatti e due tamburi piccoli. È un attacco frenetico dell’orchestra il cui vivace tema in sol minore è interrotto, all’inizio, da confusi richiami alle scene precedenti con la ripresa in una forma ciclica di parti dei movimenti precedenti. Le allucinazioni si affollano nella mente del protagonista e assumono le forme ora della marcia dei pellegrini, ora della romanza d’amore abruzzese. La sua voce è ora spezzata e confusa annunciando così la prossima morte di Aroldo il cui cadavere viene trascinato, nella parte conclusiva, nel fondo della caverna.
“Les nuits d’été” (Notti d’estate)
Villanelle (Allegretto)
Le spectre de la rose (Adagio un poco lento e dolce assai)
Sur les lagunes (Andantino)
Absence (Adagio)
Au cimitière. Claire de lune (Andantino non troppo lento)
L’île inconnu (Allegro spiritoso)
Durata: 30’ca

Composto originariamente per voce e pianoforte tra febbraio del 1838 e giugno del 1841, il ciclo di liriche Les nuits d’été trae la sua ispirazione e i testi da una raccolta, La comédie de la mort, pubblicata nel 1838 dal poeta francese e amico di Berlioz, Théophile Gautier; il compositore utilizzò complessivamente sei testi della raccolta e diede all’intero ciclo un titolo di ascendenza shakespeariana ad ulteriore dimostrazione della sua ammirazione per il drammaturgo inglese. La raccolta, che non fu mai eseguita nella versione per voce e pianoforte, è dedicata nella sua interezza alla compositrice Louise Bertin, anche se ogni lirica presenta una dedica particolare. Molto probabilmente la prima idea di orchestrare queste liriche maturò durante una tournée in Germania dove Berlioz fu accompagnato dalla cantante di origine franco-ispanica Marie Recio, con la quale aveva iniziato una relazione destinata a durare fino alla morte della donna, avvenuta il 13 giugno 1862; per la Recio, sposata nel 1854 dopo la morte della prima moglie Harriet Smithson, egli aveva orchestrato la lirica Absence, tratta appunto dalle Nuits d’été, che la cantante eseguì al Gewandhaus di Lipsia il 23 febbraio 1843. In seguito, nel 1856, egli decise di orchestrare anche il secondo brano, Le spectre de la rose, riscrivendone la parte introduttiva; la prima esecuzione di questa lirica, avvenuta a Gotha il 6 febbraio 1856 con la splendida voce della cantante Anna Bockholtz-Falconi, entusiasmò tanto l’editore svizzero Rieter-Biedermann da indurre il compositore ad orchestrare le altre quattro liriche della raccolta.
Nonostante Les nuits d’été non costituiscano un ciclo organico di liriche, è possibile distinguere in tutti i brani un tono comune che dà unità alla raccolta. Il ciclo si apre con una lirica di carattere estroverso dedicata a M.me Wolf, Villanelle, costruita su una semplice melodia di carattere strofico che si snoda in un Allegretto in 2/4. Il pezzo è un autentico gioiello sia per la raffinata orchestrazione che non scade mai in passi onomatopeici sia per la raffinata armonizzazione con una modulazione di passaggio che, nonostante i suoi cromatismi, non si allontana dalla tonalità d’impianto. Nel brano si intravede anche, in un disegno ritmico, una citazione dell’Ottava di Beethoven. Dedicato a M.lle Falconi, il secondo brano, Le spectre de la rose,  si distingue per la raffinata orchestrazione in cui risalta, in apertura, il suono del violoncello. Di carattere mesto è l’introduzione, scritta interamente per la versione orchestrale con il flauto e il clarinetto che intonano il tema principale, mentre la seconda parte si segnala per un’orchestrazione più densa e una scrittura armonica estremamente varia grazie alla modulazione dal si maggiore, tonalità d’impianto, al re maggiore, prima, e al si bemolle, dopo. Ritorna, poi, il tema iniziale accompagnato dal pizzicato degli archi che sfocia nello staccato dei legni; dopo un cromatismo discendente, viene introdotta da Berlioz un nuovo tema seguito da un momento recitante e da un declamato nel quale la voce è raddoppiata dal clarinetto. Altrettanto raffinata è l’orchestrazione del brano successivo, dedicato a M.me Milde, Sur les lagunes, il cui titolo originale, nella raccolta di Gautier, recitava Lamento-Chanson de pêcheur. Il carattere mesto della composizione è evidente già nelle prime battute con il corno e i violini che giocano sul quinto e sesto grado di fa minore, che costituisce l’intervallo sul quale è costruita la melodia che può essere affidata a un baritono, a un contralto o a un mezzosoprano. Il delicato accoppiamento di flauto e clarinetto che si muovono in ottava su un ritmo cullante rende in modo efficace l’oscillazione della barca sul moto ondoso del mare. Meste riflessioni sull’amore non corrisposto costituiscono le tematiche fondamentali delle due liriche successive, Absence e Au Cimitière. Nella prima, dedicata a M.me Nottès, il sentimento d’amore frustrato viene descritto ricorrendo ad un’armonia insolita e inquieta con accordi di settima che non risolvono secondo le regole. Il brano presenta una struttura tripartita con una breve introduzione della quale è protagonista l’intervallo di quarta, do diesis-fa diesis. Il tema iniziale, che può essere affidato a un tenore o a un mezzosoprano, si distingue per una grande espansione melodica che alla fine si riposa sulla tonica, mentre la parte centrale presenta una scrittura più animata e cromatica. Alla fine è ripreso il tema iniziale. Nella lirica successiva, Au cimetière, dedicata a Herrn Caspari, predomina un sentimento di rassegnazione che a tratti presenta toni glaciali ed è accentuato dall’orchestra il cui organico è limitato agli archi e ai soli flauti e clarinetti che accompagnano il tenore. La lirica presenta una struttura tripartita con un tema iniziale di carattere modale che, in alcuni momenti, si produce in sospiri e semiminime ribattute, e un secondo tema, apparentemente più recitato, che è accompagnato dall’orchestra in modo più vario con sincopati, con note puntate affidati ai due legni, e cromatismi discendenti. Dopo la ripresa la lirica si conclude in un’atmosfera rarefatta che riposa sullo sfumato accordo della tonica. Nell’ultima lirica, L’île inconnu, il cui titolo originale è Barcarolle, dedicata a M.me Milde, sembra tornare il clima estroverso della prima lirica. È questa pagina, affidata al mezzosoprano o al tenore, di carattere vivace e scorrevole sia nella parte del canto che nell’accompagnato degli archi nel quale emergono per il loro dinamismo i violoncelli e il fagotto ai quali sono assegnate delle figurazioni rapide. La seconda parte della lirica, di libera struttura bipartita, si distingue per una maggiore partecipazione dell’orchestra che sembra dialogare con la voce. I fiati introducono nuovi e brevi idee tematiche.