Bari, Teatro Abeliano, Stagione di Danza 2018/2019
“Der Tod und das Mädchen” (La morte e la fanciulla)
regia e coreografia Michele Abbondanza e Antonella Bertoni
con Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas, Claudia Rossi Valli
Musiche: Franz Schubert:”Der Tod und das Mädchen” (Quartetto in re minore D 810La morte e la fanciulla)
Luci Andrea Gentili
Video Jump Cut
produzione Compagnia Abbondanza / Bertoni
Bari, 27 marzo 2019
La sperimentazione coreografica oggi ci ha abituati a guardare sulla scena: il corpo e la sua corporeità. Lo studio spettacolare al centro dell’attenzione, soprattutto dello spettatore, è una sorta di contatto fisico, che trascende il movimento stesso, per arrivare all’essenza e procedendo fino all’osservazione attenta dell’attività sia “del corpo” che “nel corpo”. Il fulcro esistenziale della forma e del concetto della morte e della vita è il tema centrale che accompagna proprio lo spettacolo de La Morte e la Fanciulla, con la coreografia di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni. Per Schopenhauer la morte era “il vero e proprio risultato, e, come tale, scopo della vita”, questo ci porta a pensare che sia il dolore che il suo antagonista, il piacere, tra l’altro vera spinta emotiva della vita, siano riconducibili al concetto di eros e thanatos, pulsioni interiori dell’uomo. Freud ne parlò in Al di là del principio di piacere, come rappresentanti di quelle forze primordiali, direttrici di tutta l’esistenza, che guidano i destini di ognuno di noi. Partendo da una infinitesimale costellazione di pensiero, una profonda meditazione riconduce il tema della morte e della vita a una dimensione di assoluta realtà, che attraversa gli intrecci coreografici delle tre ballerine, mostrando un carattere drammatico e al tempo stesso prosaico, sull’avvicendarsi di corpi, che si esprimono rispecchiandosi nella geometria dei sensi e dello spazio interiore, in simbiosi, vibrano fino a propagare l’istintivo legame amoroso della vita. Al centro di questa poetica realista, tre corpi nudi, giovani figure femminili, Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas, Claudia Rossi Valli, condividono i momenti più importanti della nostra esistenza: la nascita e la fine, dal momento che l’esclusione di qualsiasi velo, svela il vero significato e l’autentica apparenza nuda davanti alla morte. Un contenuto dinamico che si evolve, in corse, pause e cambi di direzione, fino a fondersi in un meccanismo raffinato, felicemente in sintonia con il contesto musicale dalla quale hanno tratto ispirazione i due coreografi. Inizialmente ritmi e giochi coreografici rievocano una danza di balli antichi, fatta di corrispondenze e richiami giocondi, gentili ed eleganti passaggi, un meccanismo raffinato, un mosaico umano che evidentemente richiama alla mente la pura bellezza di giovani donne impresse nella candida immagine pittorica, per poi acquistare una vorticosa forza, che si svela in un’esausta pulsione energica e femminile, quasi primordiale e ferina, basata su una struttura di gruppo e sul singolo, fino a produrre un ciclico ripetersi, un “rito” dettato da un istinto generativo, che inesorabilmente nega la morte. È una partitura danzata che nasce sul testo del Lied di Matthias Claudius e nel quartetto d’archi in re minore di Franz Schubert, scritto nel 1824, in un momento di malessere, in cui si è avvicinato inesorabilmente alla morte. La scena è accompagnata dai quattro movimenti, capolavori nei quali, come ha spiegato la giornalista e storica della danza, che ha presentato lo spettacolo, Silvia Poletti, le danzatrici sono “potenti nella loro fragilità, raccontano attraverso il movimento del corpo tutte le emozioni dell’incontro con l’assoluto”. È un lavoro, che cerca di utilizzare tutte le potenzialità essenziali della danza attingendo ad un ricco e variegato patrimonio emotivo, fino a creare una nuances di azioni in cui il corpo umano nella sua interezza, diviene il veicolo necessario per mostrare l’infinito concetto di spiritualità, riuscendo a concepire la danza come espressione della bellezza interiore, che trascende dall’apparire e dalla nudità dei corpi.
Un effetto scenografico ha reso poco visibile quasi crepuscolare, la scena dettata dall’uso del fumo, che ha accompagnato il delirio dei corpi, dimenati tra la morte e la vita, il certo e l’incerto, tra l’assoluto e il mistico. Una videocamera ha accompagnato le danzatrici nel backstage quasi come una presenza inquietante e incombente, creando un filo che lega la finzione alla realtà.Una riflessione positiva è inevitabile nei confronti di un così profondo lavoro, dettato anche dall’argomento trattato, verso il quale il pubblico, per la totale durata dello spettacolo, ha rispettosamente osservato il silenzio assoluto e forse misterioso, interrogandosi forse sull’essenza della vita.L’occhio e anche una domanda cade proprio sulla nudità dei corpi, che già da tempo ha aperto la strada a un’ampio dibattito e confronto all’interno del mondo della danza, è comunque l’obiettivo verso cui muoversi, interrogandoci su cosa ci porta a guardare più volentieri, nello specifico: il mondo femminile, tenendo conto che la nudità potrebbe comportare un senso di fragilità. Un modus femminile di leggere il gioco scenico, fatto di un linguaggio elegante e calibrato, ci proietta verso un’estetica “altra”, in un flusso mentale liberatorio, ma che dopotutto, non dovrebbe limitare la personale visione fatta a propria misura. Foto Simone Cargnoni