Milano, Teatro alla Scala: “La Cenerentola”

Milano, Teatro alla Scala, stagione d’opera e balletto 2018/19
“LA CENERENTOLA”
Dramma giocoso in due atti su libretto di Jacopo Ferretti.
Musica di Gioacchino Rossini
Don Ramiro MAXIM MIRONOV
Dandini NICOLA ALAIMO
Don Magnifico CARLOS CHAUSSON
Clorinda SARA ROSSINI
Tisbe ANNA-DORIS CAPITELLI
Angelina (Cenerentola) MARIANNE CREBASSA
Alidoro ERWIN SCHROTT
Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Direttore Ottavio Dantone
Maestro al fortepiano Paolo Spadaro
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia, scene e costumi Jean Pierre Ponnelle
Ripresa da Grischa Asagaroff
Luci Marco Filibeck
Milano,  16 febbraio 2019
La Scala ricorda Claudio Abbado a cinque anni dalla scomparsa riportando in scena la storica produzione di “La Cenerentola” rossiniana creata da Jean Pierre Ponnelle e inscindibilmente legata al nome di Claudio Abbado che per anni la diresse con sistematico, trionfale, successo. Nato il 4 maggio 1971 per la 34° edizione del Maggio Musicale Fiorentina, lo spettacolo ha presto trovato (19 aprile 1973) dimora abituale sul palcoscenico del Piermarini diventando una delle produzioni iconiche della magica stagione di Abbado e Paolo Grassi alla guida del primo teatro milanese. Lo spettacolo di semplicità assoluta e di altrettanto profonda umanità, con il quale Ponnelle spazzava via in un sol colpo una tradizione sclerotizzata da una comicità banale e sopra le righe per riscoprire il nocciolo di raffinata ironia e autentica verità emotiva del teatro comico rossiniano, viene ottimamente ripreso da Grischa Asagaroff e conferma tutta la sua efficacia, senza che il tempo trascorso ne abbia minimamente intaccato la freschezza. Dono raro che solo gli autentici capolavori possiedono in sé rendendosi capaci di vincere l’inevitabile trascorrere del tempo. Asagaroff ha il merito di evitare di voler forzare lo spirito originario, riproponendo il dettato di Ponnelle e lasciando il giusto spazio alle qualità sceniche degli interpreti in modo da cogliere pienamente il risultato. A dirigere l’orchestra scaligera troviamo Ottavio Dantone, già chiamato nel 2009 in occasione del recupero di un altro spettacolo di memoria abbadiana (il “Viaggio a Reims” con regia di Luca Ronconi).  Il direttore milanese fornisce una lettura di grande chiarezza e trasparenza, sceglie sonorità nitide, terse, luminose, ritmiche brillanti, molto teatrali e sempre perfettamente coerenti con il quadro drammaturgico e stilistico. La lunga esperienza barocca si fa sentire positivamente sia nell’attenzione ai dettagli, ai colori, alle sonorità orchestrali curate fino ai minimi dettagli sia nella particolare sensibilità nell’accompagnare e sorreggere il canto, sempre sostenuto e aiutato anche quando l’orchestra sembra lasciarsi trascinare dai vortici della scrittura rossiniana. Ottima musicalmente e scenicamente perfetta la compagnia di canto, ciascuno perfettamente calato sia nel proprio ruolo sia nel meccanismo complessivo dello spettacolo. Per quanto riguarda Marianne Crebassa, cantante ecclettica, che si era fatta apprezzare con convinzione nell’”Enfant et sortilèges” raveliano del 2016, molti erano i motivi di interesse in questa nuova prova rossiniana e nell’insieme il risultato è stato pienamente convincente. Voce scura, brunita, di bel colore e di grande morbidezza in tutta la gamma, la Crebassa sfoggia un canto di elegante dolcezza. La sua è una Cenerentola ingenua e liliale, tutta giocata sul versante di una dolcezza e di una bontà profondamente umane; il suo è un taglio interpretativo che rinuncia agli aspetti più battaglieri di certe interpreti contemporanee per rifarsi alla luminosa innocenza della von Stade, storica protagonista di tante riprese di questo allestimento. Sul piano prettamente vocale si è notata una certa prudenza nelle cascate di note del rondò finale che in parte ne ha incrinato la naturalezza senza però compromettere una resa complessiva molto positiva completata sul piano scenico dalla naturale eleganza del gesto e da una bellezza fine e non vistosa perfetta per la parte di Cenerentola. Altrettanto centrato fisicamente il Don Ramiro di Maxim Mironov che incarna alla perfezione il principe delle favole che tutti abbiamo immaginato. Ma Mironov è soprattutto un autentico specialista del repertorio rossiniano. La voce non è particolarmente ampia e sonora ma la qualità del canto, la morbidezza e l’eleganza dell’emissione, la facilità nel canto di coloratura e negli acuti non possono non lasciare ammirati. Mironov mostra poi una particolare attenzione al dato storico e stilistico che si esplica con la ripresa di stilemi propri della vocalità d’epoca come l’uso di sonorità miste nella zona di passaggio. Nicola Alaimo conferma qui la sua particolare sintonia con Dandini di cui può essere considerato fra gli interpreti di riferimento del nostro tempo. Voce ampia, robusta, ricchissima di suono ma sempre perfettamente controllata, impressionante nella facilità delle colorature di una leggerezza e di una precisione ammirevoli, vertiginosa nei sillabati.  Quello di Alaimo è inoltre un canto sempre espressivo, sempre perfettamente coerente con le ragioni del testo oltre che della musica così da dare il giusto rilievo non sono ai recitativi – curatissimi da tutti gli interpreti – ma a tutte le sfumature che Rossini spande con dovizia per il ruolo. Le stesse considerazioni si possono fare per la parte scenica con l’imponente figura di Alaimo che si muove con una leggerezza quasi danzante cui unisce una gestualità di contagiosa simpatia. Annunciato per indisposto, Carlos Chausson tratteggia comunque un Don Magnifico più che ragguardevole. La lunga carriera non ha lasciato troppe rughe su una voce ancora solida e robusta, timbratissima e compatta su tutta la gamma. Certo il non perfetto stato di salute si sentiva in qualche passaggio più prudente, in qualche presa di fiato in più specie nella cavatina e nei momenti immediatamente successivi mentre con il prosieguo della recita lo scaldarsi della voce e la ritrovata sicurezza hanno reso questi aspetti meno evidenti. Difficoltà che sono comunque poca cosa di fronte alla qualità dell’interprete, alla sua capacità di far vivere con gusto e sensibilità moderna i tratti classici del basso buffo di tradizione sia sul piano vocale sia su quello scenico e non casualmente il suo duetto con Alaimo del II atto è stato fra i momenti  trionfalmente accolti della serata. Erwin Schrott ha una voce non indifferente ma è apparso il meno convincente fra gli interpreti, quello meno ortodosso nelle dinamiche del canto rossiniano con l’impressione di una certa tendenza ad aggiustare le necessità musicali ai propri mezzi piuttosto che adattarsi alle richieste dalle musiche. Qualche difficoltà nella grande aria che partisce il I atto si è sentita pur all’interno di una prestazione nel complesso più che dignitosa. Funzionali anche se un po’ troppo caricate le sorellastre Sara Rossini (Clorinda) e Anna-Doris Capitelli (Tisbe) e come sempre ineccepibile il coro scaligero. Sala gremita e successo trionfale per tutti gli interpreti.