Correggio, Teatro Asioli, Danza – Stagione 2018/2019
“THE BLACK BLUES BROTHERS”
(un tributo acrobatico)
Scritto e diretto Alexander Sunny, Philip Barrel
Coreografie Electra Preisner, Ahara Bischoff
Scenografie Siegfried e Loredana Nones, Studiobazart
Ballerini acrobati Huka Bilal Musa, Kulembwa Rashid Amini, Mlevi Seif Mohamed, Mwakasidi Ali Salim e Pati Hamisi Ali
Correggio, 16 febbraio 2019
“The Black Blues Brothers” è un gran bello spettacolo che, malgrado qualche ridondanza dovuta a scene fin troppo studiate, perciò stucchevoli, centra l’obiettivo per cui è stato concepito, quello di divertire il pubblico, addirittura di farlo partecipare attivamente; perché il palcoscenico è la vita e ognuno deve sempre aver il diritto di esprimersi in totale libertà.
Il nome di questo quintetto di ballerini, che per concetto richiama il celeberrimo film con John Belushi e Dan Aykroyd, sta al loro abbigliamento (giacca, cravatta, cappello e occhiali scuri), come il rhythm and blues sta nel loro sangue e li fa letteralmente saltare di qua e di là come anime inquiete. Tutto ha inizio in un night dove, alla fine di una lunga serata, i camerieri stanno ultimando le pulizie prima di chiudere i battenti, ma ecco che qualcuno accende una vecchia radio e una musica si diffonde dappertutto. Si tratta di “Dream A Little Dream Of Me” che fa sognare questi poveri cristi e li fa impersonare degli show men che danno vita a quello spettacolo che da tempo tenevano dentro. La scenografia è appunto quella di un night club anni venti, magari il Cotton Club di Harlem durante il proibizionismo. Infatti in quegli anni, nei locali di questo grande quartiere di New York, prese vita il movimento culturale nero che aveva nel Jazz e nel Blues i propri manifesti. E allora che musica sia, e la radio che sta sopra al bancone del bar diventa il jukebox coi sottofondi musicali delle gag e delle piroette dei ballerini che sembrano fratelli: tutti di colore e con un gran bel sorriso che gli illumina il viso. Il passo successivo è quello di togliere il freno ad ogni inibizione, per cui gli abiti sono di troppo e quindi ha luogo lo streaptease che attacca sul “Baby take off your coat” (da “You can leave your hat on” di Joe Cocker). Non si arriva al “full monty” ma si rimane nell’eleganza di una salopette su torso nudo che non impedisce la libertà di movimento ai cinque kenioti che sfoggiano grande maestria e tecnica nel saper confezionare figurazioni di gruppo da far tenere il fiato sospeso. Si passa dalle coreografie alla “Chorus line” alle piramidi umane stile “Cirque du Soleil”; si va dalla narrazione piena di situazioni comiche agli intermezzi con il pubblico sul palco. Il timore che alla fine non rimangano in memoria che i salti mortali in avanti e all’indietro è fugato da subito, perché, al di là dei quadretti coreografici che finiscono con la posa da foto di gruppo sulla battuta musicale e ai salti con la corda, con una mano per terra o con la schiena, traspare tutto il sentimento vero che i cinque acrobati portano con sé, quello che parte dal circo sociale e solidale per le strade di Nairobi dove la danza deve riuscire a strappare quel sorriso capace di distrarre il pensiero della popolazione da situazioni di vita al limite. Oggi, infatti, la compagnia tra una tournée e l’altra, offre dei workshop di acrobatica allo scopo di aggregare persone straniere in contesti multietnici; mentre si fa conoscere al grande pubblico con apparizioni televisive nei diversi talent show d’Europa (da noi si sono visti in “Tu si que vales”), che richiamano gente a teatro che non fa che applaudire divertita, mentre nei giornali escono recensioni entusiastiche.