A 160 anni dalla nascita.
La prima infatuazione di Giacomo Puccini per Tosca, l’eroina uscita dalla penna di Victorien Sardou, risale al 1889, quando, appena due settimane dopo la prima di Edgar, il compositore aveva manifestato a Giulio Ricordi, in una lettera del 7 maggio, il suo desiderio di mettere in musica questo dramma rappresentato due anni prima a Parigi con grande successo. Nel 1889 i tempi, però, non erano ancora maturi perché Puccini potesse mettere in musica questo soggetto e il progetto fu accantonato per molti anni durante i quali egli colse i suoi primi importanti successi con Manon Lescaut e Bohème. Nel frattempo il compositore, alla ricerca di un soggetto per una sua nuova opera, aveva analizzato altri lavori letterari tra cui il Pelléas et Mélisande di Maeterlinck e La Faute de l’abbé Mouret di Zola, promessi già rispettivamente a Debussy e a Massenet. Tra progetti irrealizzabili e altri accantonati, tra i quali uno sugli ultimi giorni di vita di Maria Antonietta, nel 1896 si rifece viva in lui l’antica infatuazione per Tosca la cui realizzazione fu ostacolata dal fatto che Alberto Franchetti non solo aveva già firmato, forse nel 1893, un contratto con l’editore Ricordi per mettere in musica il dramma di Sardou, ma nell’autunno del 1894 si era anche recato a Parigi per discutere con l’autore sull’adattamento librettistico approntato da Illica. Nella capitale francese si trovava in quello stesso periodo, per la prima parigina del suo Otello, Giuseppe Verdi il quale, grande amico di Sardou, fu presente anche all’incontro tra il drammaturgo francese, Illica e Franchetti. Si narra che Verdi, già ottantenne ma ancora pieno di energie, dopo aver ascoltato la lettura dell’abbozzo del libretto fatto da Illica, sia rimasto talmente commosso dall’addio alla vita e all’arte di Cavaradossi da strappare il testo dalle mani del librettista per rileggere proprio quel passo. Verdi fu sicuramente attratto dal soggetto al punto che, secondo il racconto di Gino Monaldi, un suo biografo, lo avrebbe messo in musica se l’età non glielo avesse impedito. Puccini, venuto a conoscenza della reazione verdiana di fronte alla lettura del libretto di Illica, fu ancora più determinato nel mettere in musica questo soggetto che aveva così acquistato nuovi motivi di pregio anche ai suoi occhi. Non era facile, tuttavia, rescindere quel contratto tra Franchetti e Ricordi, ma fu proprio l’astuto editore a dipanare questa intricata matassa, convinto che Puccini avrebbe fatto un lavoro migliore di Franchetti. A tale fine mise in atto uno stratagemma moralmente discutibile ma efficace: sapendo che sarebbe stato inutile fare qualunque offerta di denaro a Franchetti, ricco di famiglia, il grande editore lo convocò nel suo studio, dove, insieme ad Illica, enumerò alcuni difetti del soggetto che, a loro giudizio, ne avrebbero pregiudicato il successo. Franchetti, convinto delle obiezioni di Ricordi e di Illica, rinunciò ai diritti sul soggetto lasciando campo libero a Puccini che, secondo alcuni biografi, il giorno stesso firmò il contratto con l’editore.
Ridurre il dramma di Sardou a libretto era apparentemente più semplice dello stesso lavoro fatto da Illica e Giacosa per La Bohème, ma l’avversione di quest’ultimo per il teatro del drammaturgo francese causò qualche iniziale difficoltà tanto da indurlo quasi a ritirarsi. Dopo una fitta corrispondenza e frequenti incontri tra il compositore e i librettisti, Puccini iniziò la composizione del primo atto nel mese di gennaio del 1898, sospendendola ad aprile per seguire la prima di Bohème a Parigi, dove incontrò Sardou, il quale gli chiese di fargli sentire qualche nota; Puccini suonò diverse melodie mescolando temi della Bohème e della Manon senza che il drammaturgo se ne accorgesse. L’opera fu completata il 29 settembre 1899, non prima che si fossero appianate tutte le divergenze tra il compositore e i librettisti, tra le quali è rimasta celeberrima quella riguardante l’addio alla vita di Cavaradossi. Nel libretto di Illica questo passo, che aveva suscitato i consensi di Verdi, presentava un carattere riflessivo e quasi filosofico poco adatto alla concezione della vita e della musica di Puccini che avrebbe preferito un addio in cui si esprimesse l’angoscia e la disperazione del suo personaggio per la definitiva separazione dalla donna amata. La divergenza fu appianata quando il compositore, dopo aver fatto ascoltare ai librettisti la musica già composta, sottopose loro alcuni versi-guida che Giacosa trasformò immediatamente nell’attuale E lucevan le stelle, dove mantenne soltanto il verso Muoio disperato. Il successo di questa romanza indusse il compositore a dichiarare che gli ammiratori avrebbero dovuto essergli grati per tre motivi: per aver scritto la musica; per averne fatto scrivere le parole e, infine, per non averla cestinata cedendo al parere degli esperti tra cui anche Ricordi il quale, dopo aver esaminato la partitura, gli aveva scritto:
“Il 3° atto di Tosca, così come è, mi pare grave errore di concetto e di fattura!… che cancellerebbe l’interessante impressione dell’atto I°… e cancellerebbe la potentissima emozione che certo desterà il 2° atto, vero capolavoro di efficacia e di espressione tragica!!…”
Puccini, pur sorpreso dalle critiche esagerate di Ricordi, non modificò una nota della partitura, e l’opera andò in scena, su suggerimento di Illica, al Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900 sotto la direzione di Leopoldo Mugnone con Hariclea Darclée (Tosca), Emilio De Marchi (Cavaradossi) ed Eugenio Giraldoni (Scarpia). Dopo un inizio traballante a causa sia del falso allarme relativo alla presenza di una bomba nel teatro, dove erano attesi la regina Margherita e altri membri del governo, sia di alcuni ritardatari che disturbarono il pubblico già presente in sala, la prima della Tosca ebbe un notevole successo nonostante l’esecuzione non proprio perfetta che destò qualche perplessità presso la critica. All’inizio Mugnone, preoccupato per l’allarme bomba e infastidito per le urla di disapprovazione del pubblico verso i ritardatari che stavano disturbando, aveva sospeso l’esecuzione per riprenderla subito dopo in uno stato d’animo non certo tranquillo. La qualità dell’esecuzione non giustifica completamente i giudizi negativi apparsi sulla stampa nei giorni successivi; Alessandro Parisotti sul «Popolo Romano» scrisse:
“Il Puccini ha sparso la sua partitura di una istrumentazione oltremodo variopinta e diversa. Il lavorio dell’orchestra è sempre, non dirò profondo, ma eccellentemente vario: talché ogni pezzo si presenta simpatico all’uditore. Gli intrecci dei vari gruppi della compagine orchestrale sono in continuo e bel contrasto fra loro, e questo pregio è, secondo il mio avviso, il principale dell’opera. L’armonizzazione ardita, anche troppo qua e là, non perde di vista il gusto fine e ci fa assistere a procedimenti, i quali il più delle volte ci riescono bene accetti. I tratti liricamente soavi, che inframmezzano i colori oscuri e tristamente pesanti del dramma, danno lotte quasi sempre efficaci e anch’essi creano pagine belle e durature […]. Il fatto d’aver dinnanzi una tela di così forti colori è senz’altro la causa per la quale rimane arduo non lasciarsi prender la mano dal dramma. Tosca è una lotta a ferri corti fra le situazioni eminentemente passionali e i colori della tavolozza melodica. Non sempre la vittoria rimane alla tavolozza”.