Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2018/2019
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave dal dramma Le Roi s’amuse di Victor Hugo.
Musica di Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova ISMAEL JORDI
Rigoletto ROBERTO FRONTALI
Gilda LISETTE OROPESA
Sparafucile RICCARDO ZANELLATO
Maddalena ALISA KOLOSOVA
Giovanna IRIDA DRAGOTI*
Il Conte di Monterone CARLO CIGNI
Marullo ALESSIO VERNA
Matteo Borsa SAVERIO FIORE
Il Conte di Ceprano DANIELE MASSIMI
La Contessa di Ceprano NICOLE BRANDOLINO
Usciere di Corte LEO PAUL CHIAROT
Paggio della Duchessa MICHELA NARDELLA
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Daniele Gatti
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia Daniele Abbado
Scene e luci Gianni Carluccio
Costumi Francesca Livia Sartori, Elisabetta Antico
Movimenti coreografici Simona Bucci
* dal progetto “Fabbrica” – Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma
Roma, 02 dicembre 2018
Spettacolo inaugurale della nuova stagione del Teatro dell’Opera di Roma questo nuovo allestimento di Rigoletto affidato a Daniele Abbado per la regia e al maestro Daniele Gatti per la direzione. Il percorso di lettura che guida il pubblico attraverso l’ascolto di questa celeberrima partitura sembra voler sottolineare il rapporto tra verità e finzione che lega i vari personaggi e la ambiguità esistenziale di Rigoletto e del Duca. Per meglio rappresentare tali conflitti, il regista ha pensato di ambientare la vicenda al tempo della Repubblica di Salò che, indipendentemente da analisi storiche che forse sarebbero necessarie, è assurta in un certo immaginario culturale a modello per antonomasia di una condizione di sospensione prima della tragedia finale, nella quale le ipotetiche perversioni e morbosità della politica e della storia si sarebbero variamente intrecciate al dramma personale. Francamente un po’ poco per un testo così importante, studiato, ricco di spunti e possibili livelli di lettura. Tuttavia lo sviluppo della vicenda ha un suo progredire coerente e lo spettacolo nel suo arco espressivo ha un suo ritmo assolutamente convincente e in perfetta sintonia con la musica che conduce lo spettatore fino alla ripresa del tema de “la donna è mobile” quando il protagonista, al sentire le note della canzonaccia del Duca, giunge a comprendere tragicamente e dolorosamente il vero. Il resto è solo disperata presa di coscienza. Gilda probabilmente è già morta nel sacco e dialoga da lontano anche fisicamente con suo padre come se si trovasse in un’altra dimensione. E’ in piedi, immobile. Il suo morire è lo spegnersi del fascio di luce che la fa scomparire riconsegnandola all’oscurità, lasciando Rigoletto solo. Anche le scene di Gianni Carluccio accompagnano questo cammino attraverso un processo di progressiva semplificazione, come se lo spazio delimitato del I atto si dilatasse in maniera analoga a quanto avviene in un modello anatomico “in esploso”, risolvendo per altro validamente alcuni problemi legati alla presenza di una doppia scena. Assai curati e di buon gusto sia pure, data l’impostazione dello spettacolo, nella loro totale estraneità al momento storico nel quale era in origine concepita l’opera, sono apparsi i costumi. Daniele Gatti propone la versione dell’opera nella quale il Duca chiede a Sparafucile “tua sorella e del vino”, gli acuti non scritti sono in gran parte ma non del tutto eliminati e le cadenze di tradizione semplificate. Unica eccezione vistosa che si comprende francamente poco in considerazione del tipo di cantanti che ha avuto a disposizione è stata la scelta di togliere alla fine della vendetta il sopracuto al soprano che si intuisce potenzialmente brillante, lasciando esposto il baritono ad un acuto non scritto corto e piccolo. Splendida e chiarissima la sua elegante concertazione e soprattutto la evidente ricerca della “tinta” orchestrale, sfruttando le infinite declinazioni del colore della partitura. A questo proposito a titolo esemplificativo si intuisce come abbia chiesto al tenore che impersona il Duca diversi colori vocali e modo di fraseggiare per le diverse scene, facendogli esibire un maggior squillo e brillantezza di suono nel terzo atto con il probabile intento di voler evocare un forte istinto sessuale non governato da freni morali di sorta. Infine molto bella e di grande effetto la tensione progressiva che riesce a costruire nel corso dei tre atti fino al tragico finale nel corso dei quali ogni pausa, respiro o ritenuto non frammentano il discorso musicale ma al contrario lo sostanziano e lo vitalizzano, divenendo parte essi stessi dell’ architettura sonora. Ottima la prova del coro diretto da Roberto Gabbiani.
E veniamo agli interpreti vocali di questo Rigoletto inaugurale. Nel ruolo eponimo il baritono Roberto Frontali riesce a trovare una cifra espressiva nell’insieme assai convincente sul piano teatrale pur con qualche piccola riserva su quello vocale in fatto di intonazione e ampiezza del registro acuto offrendo un ritratto del gobbo protagonista sfaccettato e commovente. Il Duca di Mantova era interpretato dal tenore Ismael Jordi con una caratura vocale forse in assoluto poco proporzionata al ruolo ma con elegante fraseggio, sofisticata musicalità e bella figura scenica. Intensa pure la Gilda di Lisette Oropesa che ha saputo esprimere il candore e la purezza della virtù con un timbro morbido e assai gradevole, spostando l’interpretazione più sul piano lirico del fraseggio che non su quello della coloratura virtuosistica, probabilmente seguendo le indicazioni del direttore. Riccardo Zanellato sia pur con un volume non esorbitante crea uno Sparafucile dal morbido velluto nero nel colore vocale e dalla figura scenica appropriata ed inquietante. Corretta e ben eseguita ma senza particolare originalità la Maddalena di Alisa Kolosova, molto commovente il Conte di Monterone di Carlo Cigni e bravissimo vocalmente e scenicamente il Matteo Borsa interpretato da Saverio Fiore. Tutti su un piano di seria e corretta professionalità nel complesso gli altri interpreti. Alla fine lunghi applausi per gli interpreti con alcune contestazioni all’indirizzo del regista a nostro giudizio però esagerate e sostanzialmente immotivate. Foto Yasuko Kageyama