Palermo, Teatro Massimo, Stagione 2018
“LA BOHÈME”
Scene liriche in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Musica di Giacomo Puccini
Mimì VALERIA SEPE
Rodolfo MATTHEW POLENZANI
Musetta JESSICA NUCCIO
Marcello VINCENZO TAORMINA
Colline MARKO MIMICA
Schaunard CHRISTIAN SENN
Benoît/Alcinodoro ANGELO NARDINOCCHI
Parpignol PIETRO LUPPINA
Sergente dei doganieri GIUSEPPE TOIA
Un doganiere GAETANO TRISCARI
Un venditore di prugne ALFIO MARLETTA
Orchestra, Coro e Coro di voci bianche del Teatro Massimo
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Piero Monti
Maestro del coro di voci bianche Salvatore Punturo
Regia Mario Pontiggia ripresa da Angelica Dettori
Scene e costumi Francesco Zito
Luci Bruno Ciulli
Allestimento del Teatro Massimo di Palermo
Palermo, 13 dicembre 2018 (prima rappresentazione)
L’ultimo appuntamento della stagione lirica 2018, al Teatro Massimo di Palermo, prevedeva un grande capolavoro della tradizione: La Bohème di Giacomo Puccini. Corazzieri in alta uniforme in cima alla scalinata. Sala gremita. Un lunghissimo applauso è stato tributato al Presidente della Repubblica, il palermitano Sergio Mattarella. Subito dopo, l’Inno Nazionale è risuonato, vigoroso, per la sala.
L’attacco della musica pucciniana è immediato, scoppiettante. Le scene di Francesco Zito proiettano in una mansarda parigina. Architrave in ferro che attraversa in profondità la scena e grande vetrata sul fondo. Ben calibrato il centro scenico, enfatizzato da un grosso tavolo. La regia di Mario Pontiggia ripresa da Angelica Dettori, così come i costumi dal sapore borghese dei primi del secolo scorso, curati da Francesco Zito, e le luci misurate di Bruno Ciulli, danno da subito l’impressione di uno spettacolo dal sapore tradizionale, confortante. Partono le schermaglie dal sapore bohémienne. Poi il cuore entra in scena. Casualità, amore, morte. Mimì (Valeria Sepe) e Rodolfo (Matthew Polenzani), poeta tutto passione e dal cuore saldo, incrociano le proprie esistenze in un frangente in cui sembra rompersi il tempo, in cui la quotidianità all’improvviso trascende, sublimandosi, nell’incrocio di due sguardi, di due corpi.
Un contatto: Che gelida manina, se la lasci riscaldar. Polenzani presenta il suo Rodolfo esibendo il suo talento vocale. Appassionato, dal bel timbro, sicuro negli acuti, molto espressivo, preciso nel fraseggio. L’aria iniziale, iconica, è la cifra di una serata di bel canto, di profonda padronanza del ruolo, che restituisce un personaggio in cui leggerezza e drammaticità si mescolano sapientemente.
Sono due personaggi semplici a reggere la scena. Un sognatore, forse un po’ naïf, ma simpatico, talor dal mio forziere ruban tutti i gioielli, due ladri, gli occhi belli e una ragazza che sa essere al contempo candida, risoluta e civettuola. Valeria Sepe, chiamata a sostituitire un’indisposta Marina Rebeka, non si è lasciata per nulla intimorire, restituendo una prestazione in crescendo. Il suo Mi chiamano Mimì, il perché non so disarma per la dolcezza restituita e il suo grido di anelito alla vita, ma quando vien lo sgelo, il primo sole è mio, il primo bacio dell’aprile è mio!, infiamma fino alle lacrime. La Sepe, forte di una bella e omogenea vocalità unita a una dizione chiara, maestria del legato, ha restituito tutte le sfumature del ruolo. Notevolissimo il duetto d’amore. Mentre Polenzani non ha ancora terminato il verso in te ravviso il sogno che vorrei sempre sognar, la Sepe, con un attacco colmo di pathos, si inserisce con tu sol comandi, Amor!. Una bella pagina di canto.
Nella rutilante Parigi della notte di Vigilia di Natale. Il carosello multiforme, dove si esalta la preziosa varietà dei costumi, introduce Musetta (Jessica Nuccio), che incarna il topos della donna volubile ma che, in fondo, cerca solo amore vero. La Nuccio ha restituito una Musetta d’impatto, prorompente nella presenza scenica, con una voce brillante e agile, dal bel timbro, precisa e sensibile nel fraseggio. Il terzo e il quarto quadro sono una discesa nel dolore. Malattia ed amore. gelosia e rispetto. Grida violente sotto la neve e presa di coscienza: tutto è caduco. In Bohème, malattia, dubbio e sentimento sono processati da ripetuti confronti, scenicamente e musicalmente incredibili, e la morte arriverà senza epicità, senza pathos, in silenzio. Un letto di morte approntato in una casa spoglia ma inondata dalla luce che filtra dalla vetrata. Una donna che, raggiuntolo, trova pace. Senza ira, senza paura ma con una tenerezza disarmante, morente, chiede all’amore ritrovato: son bella ancora? ed addirittura arriva a scusarsi, nelle battute finali, per avere impensierito chi la ama: sì sì perdono, sarò buona. Poi le mani diventano fredde ed indicano la tomba. Morte. La Bohème in un Massimo esaurito, pieno in ogni ordine di posto per la prima rappresentazione, è stata un successo. Merito dell’ottima prova va all’orchestra del Teatro Massimo, diretta con impeto e passione da Daniel Oren, e al Coro del Teatro Massimo e a quello delle voci bianche diretti con precisione, rispettivamente, da Piero Monti e Salvatore Punturo. Il baritono Vincenzo Taormina (Marcello), capace di notevole presenza scenica, si conferma ottimo vocalista e fraseggiatore vario e sensibile. Validi anche lo Schaunard di Christian Senn e Marko Mimica; quest’ultimo, nel ruolo del filosofo Colline, si è fatto apprezzare per le qualità vocali di basso-baritono. Notevole per sensibilità il suo Vecchia zimarra.
Angelo Nardinocchi, impegnato in Benoît e Alcinodoro, ha saputo trasmettere l’ironia grottesca che caratterizza ambedue i personaggi interpretati. Oltremodo buoni gli intervernti di Pietro Luppina, un Parpignol travestito a guisa di maschera da carnevale veneziano, Giuseppe Toia e Gaetano Triscari, rispettivamente sergente e guardia dei doganieri, ed Alfio Marletta, un venditore di prugne. Repliche fino al 23 Dicembre. Foto Rosellina Garbo