Con Gianfranco Cecchele (Galliera Veneta, Padova, 25 giugno 1938 – 12 dicembre 2018) se ne va un grande: grande di statura, grande voce, sorriso largo e franco.
Era nato nella provincia veneta e aveva scoperto il suo talento sotto le armi, invitato a dedicarsi al canto da un ufficiale appassionato d’Opera, come era capitato a Martinelli, a Di Stefano e a tanti altri di un’epoca che oggi sembra lontana. Dopo appena un anno e mezzo di studio alla scuola di Marcello Del Monaco, insegnante rinomato e discusso, fratello del grande Mario, fu pronto per il debutto e per le scene liriche di tutto il mondo.
Ha cantato nei più importanti teatri italiani, ma anche, tra gli altri, all’Opéra di Parigi – Pollione nell’ultima Norma di Maria Callas – alla Staatsoper, al Covent Garden, al Metropolitan, diretto da tutti i più grandi della sua epoca: Giulini, Karajan, Votto, Gavazzeni, Capuana, Pretre, Schippers, Abbado, Muti.
Era un cantante sicuro, dotato di uno strumento privilegiato, almeno due ottave di note granitiche, lucentissime e potenti, tutte ugualmente timbrate e proiettate; univa al colore scuro e virile e al notevole spessore, una salita all’acuto facile e scattante e un’articolazione che non sembrava risentire del peso vocale; per questo al repertorio consueto del tenore lirico spinto-drammatico (Otello, Aida, Forza del destino, Pagliacci, Gioconda, Chenier, Fanciulla del West, Turandot) poteva affiancare ruoli dai tratti belcantistici o dalla tessitura paurosa, disertati dalla maggior parte dei grandi (il Verdi giovanile, Luisa Miller, Vespri Siciliani) e ruoli baritenorili (Norma). Sobrio e moderno come interprete, riusciva a conferire una naturale nobiltà al suo canto, possente e statuario come la sua figura scenica. Altri tenori suoi contemporanei hanno avuto maggiore visibilità mediatica e maggiore fortuna discografica senza possedere le sue eccezionali qualità, ma sicuramente la storia gli renderà giustizia.
Per chi l’ha ascoltato dal vivo è difficile dimenticare l’ampiezza della colonna di suono e l’intensità del metallo di Gianfranco Cecchele, forse l’ultimo, insieme a Giuseppe Giacomini, di una particolare famiglia tenorile che annovera tra gli ascendenti Francesco Merli e Franco Corelli.