La produzione operistica di Giacomo Puccini (Lucca, 22 dicembre 1858 – Bruxelles, 29 novembre 1924), pur non essendo vastissima, rappresenta uno dei momenti fondamentali per lo sviluppo del melodramma tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, soprattutto per la capacità del compositore di assimilare e rielaborare, in un personalissimo linguaggio, le nuove ricerche timbriche e armoniche contemporanee.
Dopo alcune composizioni giovanili, Puccini si affacciò al teatro musicale con l’opera in un atto, Le Villi, composta per un concorso bandito dall’editore Sonzogno e annunciato dalla rivista «Il Teatro Illustrato» il 1° aprile 1883. Egli partecipò al concorso su esortazione del suo insegnante al Conservatorio di Milano, l’operista Amilcare Ponchielli, che gli consigliò di rivolgersi a Ferdinando Fontana per il libretto, da lui inizialmente scritto per un altro compositore, molto probabilmente il famoso autore di romanze da salotto Francesco Quaranta. Il libretto piacque molto a Puccini, ma alcune questioni di natura burocratica, tra cui la risoluzione dell’accordo stipulato tra Fontana e Quaranta, avvenuta non prima del mese di agosto del 1883, ne ritardarono la consegna. Puccini riuscì ad averlo solo nel mese di settembre grazie anche all’intermediazione di Ponchielli che indusse Fontana a vendere il testo per 100 lire alla consegna e 200 in caso di vittoria al concorso. Per queste ragioni il compositore poté consegnare il manoscritto l’ultimo giorno, il 31 dicembre 1883, come si apprende da una nota apposta alla prima pagina dalla commissione formata da Ponchielli, che ne era il presidente, Amintore Galli, Franco Faccio, Cesare Dominiceti e Pietro Platania. Il concorso non ebbe l’esito sperato dal momento che l’opera non solo non vinse, ma non figurò nemmeno tra le prime 5 degne di menzione. Quali furono le ragioni di questo insuccesso? Ancora oggi non è stato possibile chiarirle con precisione. Sembrano destituite di ogni fondamento le tesi secondo le quali l’opera sarebbe stata scartata o perché giunta fuori tempo massimo, essendo stata consegnata l’ultimo giorno, o perché la grafia, peraltro conosciuta da Ponchielli, fosse illeggibile. È molto probabile, invece, che la commissione, formata da molti membri legati all’editore Ricordi, abbia voluto evitare che il giovane compositore si legasse alla casa Sonzogno. L’opera, tuttavia, sarebbe andata in scena grazie all’interessamento di Fontana, che organizzò un’audizione privata a Milano alla quale assistettero eminenti personalità tra cui Arrigo Boito, Giovannina Lucca e Alfredo Catalani, e a una sottoscrizione alla quale parteciparono Marco Sala, lo stesso Boito e il duca Litta. La prima rappresentazione al Teatro Dal Verme di Milano il 31 maggio 1884 sotto la direzione di Arturo Panizza e con un giovanissimo Pietro Mascagni al contrabbasso in orchestra fu un vero successo. Dell’opera, il cui soggetto fu tratto dal racconto di Alphonse Karr Les Willis (1852) a sua volta ricavato dal balletto Giselle di Adolphe Adam, Puccini fece ben quattro versioni tra il 1884 e il 1889, delle quali la seconda, andata in scena al Teatro Regio di Torino il 16 dicembre 1884, presenta, oltre all’aggiunta della romanza di Anna (Se come voi piccina) e del monologo drammatico di Roberto (Per te quaggiù sofferse ogni amarezza), la divisione dell’atto unico in due, mentre la terza, realizzata, un mese dopo, in occasione del debutto alla Scala di Milano il 24 gennaio 1885, si segnala per l’introduzione della romanza di Roberto (Torna ai felici dì). Nell’ultima versione, andata in scena al Teatro Dal Verme di Milano il 7 novembre 1889, Puccini tagliò il monologo di Roberto aggiunto nella seconda.
L’argomento. È primavera. In un villaggio della Foresta Nera sono in corso i festeggiamenti per il fidanzamento di Roberto con Anna, figlia del ricco possidente Guglielmo Wulf, ma la ragazza non partecipa alla gioia generale perché pensa alla prossima partenza del fidanzato per Magonza a causa di un’eredità lasciatagli da un’anziana parente. In effetti il presentimento di Anna si avvera come si apprende da un narratore il quale racconta che Roberto a Magonza si è invaghito di una «sirena» dimenticando la fidanzata, morta, nel frattempo, per il dolore. Lasciato, in seguito, dalla sirena, Roberto decide di ritornare troppo tardi dalla fidanzata, della quale ignora la morte, con la speranza di essere perdonato. Il vecchio Guglielmo, che non riesce a dimenticare la figlia morta, una notte d’inverno si reca a chiedere l’aiuto delle Villi, creature magiche che, nelle notti di luna piena, fanno danzare in modo frenetico i traditori d’amore fino a farli morire. Una notte Roberto, che è ritornato al villaggio, assalito dalla nostalgia e dal rimorso, vede il fantasma di Anna che, ricordandogli le promesse fattele, lo accusa del tradimento. Egli cerca di andare verso di lei, ma viene afferrato da una schiera di Villi che lo coinvolgono in un ballo sfrenato fino a lasciarlo ormai senza vita quando, all’alba, si dileguano.
Opera giovanile, Le Villi mostra quella facilità melodica che contraddistingue la vena pucciniana, nonostante non manchino alcune influenze verdiane e francesi, rilevate quest’ultime già dal critico del «Corriere della Sera». L’inciso iniziale della romanza di Anna Se come voi piccina non può non ricordare, infatti, il tema del destino della Carmen di Bizet, anche se la sua morbidezza e la sua naturalezza insieme alla successiva apertura melodica preannunciano gli esiti della futura arte del compositore. La vena sinfonica di Puccini trova la sua espressione nell’intermezzo in due tempi, intitolati rispettivamente, L’Abbandono e La tregenda. Introdotto da un’ottava di endecasillabi che, nelle intenzioni di Fontana, avrebbero dovuto essere recitate, L’Abbandono è una pagina elegiaca in cui interviene un coro interno di soprani, mentre La tregenda, al ritmo di tarantella, è basata su due temi dei quali il primo rappresenta la ridda delle Villi, mentre il secondo ha un carattere languido.