Genova, Teatro Carlo Felice: “Aida”

Genova, Teatro “Carlo Felice” – Stagione d’Opera 2018-19
AIDA
opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni, da un soggetto di Auguste Mariette.
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re SEUNG PIL CHOI
Amneris JUDIT KUTASI
Aida SVETLA VASSILEVA
Radamès MARCO BERTI
Ramfis FABRIZIO BEGGI
Amonasro ANGELO VECCIA
Un messaggero MANUEL PIERATTELLI
Una sacerdotessa MARTA CALCATERRA
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Direttore 
 Andrea Battistoni
Maestro del Coro Francesco Aliberti
Regia Alfonso Antoniozzi
Videoscenografie Monica Manganelli
Costumi Anna Biagiotti
Luci Luciano Novelli
Coreografie Luisa Baldinetti
Nuovo allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice
Genova, 02 dicembre 2018 – Serata inaugurale della stagione
Il teatro Carlo Felice di Genova inaugura la sua stagione 2018-19 con una delle opere più famose, e contemporaneamente spesso sottovalutate, dell’intero repertorio operistico: quell’“Aida” di Giuseppe Verdi celebre per la sua marcia trionfale, la sua ambientazione esotica, e, presso il pubblico più preparato, per la difficoltà, sia vocale che interpretativa, dei tre ruoli principali. Come spesso accade nell’opera, infatti, la vicenda di “Aida” non è delle più originali, e se probabilmente vede nel suo finale un guizzo più allucinato del solito, per il resto è una storia oggi forse anche passata di moda, che certamente occorre rinverdire, soprattutto per il pubblico meno avvezzo. L’intento, dunque, del regista Alfonso Antoniozzi, e del team creativo che lo coadiuva, è quello giusto, sebbene i risultati lascino perplessi: assistiamo, infatti, ad una messa in scena basata unicamente su proiezioni e animazioni (create da Monica Manganelli), di gusto involontariamente kitsch, con chiari riferimenti a capisaldi della cinematografia novecentesca quali “Stargate” o “Il principe d’Egitto”, se non direttamente agli illustratori dei libri pseudostorici che sostengono teorie di mano aliena nella creazione di piramidi e altre amenità. I costumi a cura di Anna Biagiotti seguono perfettamente questa via, con il loro apice in un Ramfis in diretta da “Star Wars”. Le luci di Luciano Novelli in questo tripudio di proiezioni appaiono per lo più casuali, come nel secondo atto, in cui le ancelle sono in piena luce e Amneris canta al buio. La partita delle simbologie si gioca sui quattro elementi (ciascuno assegnato a uno dei quattro atti), sentiero prevedibile e non poco battuto, quanto pretestuoso, dato che poi, nella effettiva resa scenica, non viene seguito, se non dai video introduttivi dei singoli atti, pericolosamente simili ad alcuni effetti grafici di software musicali. Superfluo è sottolineare come, in presenza di cotanto materiale filmico, la scena possa restare totalmente deserta, per la gioia, forse, dei cantanti, che, nella maggior parte dei casi, si sentono certamente più ad un concerto: è tutto uno sbracciarsi, un camminare avanti indietro, un buttarsi a terra senza senso, una mimica facciale degna della più navigata Gloria Swanson. Questo è, d’altronde, il paradosso di certe scelte “moderne”: esautorano il regista dal suo lavoro, e abbandonano i cantanti al manierismo più scontato. Si cerca di dare movimento al tutto usando danzatori e figuranti seminudi, bravissimi (un plauso alla coreografa Luisa Baldinetti), ma in grado di trasformare la celebre marcia trionfale in un numero di danza contemporanea e la danza degli schiavi africani in un sogno dalle tinte erotiche. Extrema ratio della “costruzione“ registica è l’uso dei ponti mobili, di cui il Carlo Felice giustamente si può vantare: ecco allora che Aida e Radamès concludono l’opera in ascensore, scendendo in cantina, la stessa cantina da dove arriva puntualmente il consiglio sacerdotale alieno. Insomma, un pastiche che incontra lo sfavore della sala, che “bua” e rumoreggia praticamente ad ogni apertura d’atto. L’apparato musicale regala qualche soddisfazione in più: la conduzione del Direttore Musicale Andrea Battistoni è energica e umorale fino al disomogeneo; l’orchestra, potente e ben coesa, a volte trascina gli interpreti, che in più momenti dimostrano di preferire una direzione più morbida. Momento di fulgore è la già citata marcia trionfale, in cui gli ottoni solisti implementano l’insieme con nobiltà e morbidezza. Tra i cantanti emerge la granitica (ma poco regale) Judit Kutasi, un’Ammeris dal fraseggio sufficientemente  espressivo, dall’emissione sicura. Di particolare pregio il duetto del IV atto “Già i sacerdoti adunansi”: in esso la sua piena vocalità si sposa benissimo al canto stentoreo  del Radamès di Marco Berti. Il tenore lombardo, come i melomani sanno, ha fama di solido professionista, ma, inutile negarlo, non si va molto oltre a una alquanto generica e stentorea linea vocale e interpretativa. In parte scenicamente e vocalmente Fabrizio Beggi (Ramfis) e Angelo Veccia è un sobrio Amonasro, nobile e ben cantato; ottimi gli interventi del Coro istruito dall’esordiente Maestro Francesco Aliberti. Il Re di Seung Pil Choi appare piuttosto in affanno. Corretti gli interventi di Manuel Pierattelli (Un messaggero) e di Marta Calcaterra (Sacerdotessa). Rincresce infine identificare nell’Aida di Svetla Vassileva (esordiente nel ruolo) l’anello debole della catena: la voce appare gradevole nei centri, mentre nel registro acuto si evidenziano tensioni e note non del tutto a fuoco; il fraseggio espressivo non supplisce a una certa carenza di peso specifico che richiederebbe la parte, costretta talvolta a lottare contro il magma orchestrale e le corpose voci dei colleghi (Amneris e Radamès in particolare).  Una serata che, nel complesso, non può dunque ritenersi riuscita, con una netta caduta sul piano creativo: c’è solo da sperare che il resto della stagione del Carlo Felice sappia distinguersi da un abbrivo tanto sconsiderato. Foto Marcello Orselli