Sassari, Teatro Comunale – Stagione Lirica 2018
Orchestra e Coro dell’Ente Concerti Marialisa de Carolis
Coro delle voci bianche dell’Associazione corale “Canepa”
Direttore Jordi Bernàcer
Maestro del Coro Antonio Costa
Maestro del coro delle voci bianche Salvatore Rizzu
Soprano Aleksandra Kubas-Kruk
Controtenore Ettore Agati
Baritono Fabio Previati
Carl Orff: “Carmina Burana” Cantionae profanae cantoribus et choris cantandae, comitantibus instrumentis atque imaginibus magicis
Sassari, 17 novembre 2018
L’Arte incompresa dal Popolo è vista con diffidenza in questi tempi, se non bui, almeno in penombra: possiamo quindi immaginarci come fosse “sorvegliata” in pieno regime nazista. Con il Gabinetto della Cultura del Reich, istituito nel novembre 1933, toccò anche ai compositori fare i conti coi nuovi dettami estetici e decidere se adeguarsi o sparire. Kurt Weill, Paul Hindemith, Arnold Schœnberg riuscirono a emigrare negli Stati Uniti, gli ebrei Viktor Ulmann, Erwin Schulhoff e Hans Kràsa moriranno nei campi di sterminio; ma la fuga dagli eventi che sconvolsero l’Europa coinvolse anche grandi geni come Igor Stravinsky e Béla Bartòk pur non direttamente minacciati dagli eventi bellici. Ovviamente ci fu anche chi invece pensò bene di adeguare il proprio pensiero ai nuovi parametri di immediata comunicabilità, semplicità classica ed esaltazione della cultura nazionale, evitando complesse implicazioni intellettuali. È difficile comprendere l’esordio nel 1937 di un’opera a suo modo unica come i Carmina Burana, senza inquadrarla nei suoi tempi: Carl Orff, che aveva avuto in passato anche esperienze d’avanguardia, mise da parte tutto ciò che aveva scritto fino ad allora per applicare anche alla composizione i principi dello Schulwerk, il proprio metodo didattico musicale che metteva il ritmo e il movimento al centro dell’esperienza sonora. Dalla grande raccolta medioevale proveniente dal monastero di Benedikbeuern selezionò i testi in qualche maniera più vicini a un ideale primitivismo sensuale e panico, maggiormente influenzati dalla cultura classica precristiana; dal punto di vista musicale ignorò le fonti originali, allora ancora oscure, e costruì un linguaggio semplice, arcaicizzante, basato su pedali armonici, elementi ostinati, ripetizioni, semplici cellule melodiche e con l’assenza di qualunque tipo di sviluppo o di elaborazione. Il risultato è un curioso “pastiche” neo-gotico, dove si orecchia un po’ di tutto, dal cantus planus gregoriano alla canzone popolare bavarese, dal lamento barocco all’operetta viennese; unico elemento unificante della cantata è l’elaborata scrittura ritmica, ispirata ai modelli impossibili di autentici capolavori come Les Noces e l’Oedipus Rex stravinskiani. L’opera, progettata per una realizzazione scenica, soffre un po’ per gli infiniti ritornelli, chiaramente collegati a dei quadri coreografici e, oltre al celeberrimo coro iniziale, offre le sue cose migliori in certe atmosfere timbriche e nella vivacità delle soluzioni che Orff non riuscirà più a ricreare nelle opere successive. Usati e abusati in colonne sonore e spot pubblicitari e alla portata anche di un buon coro amatoriale, i Carmina Burana hanno conosciuto dagli anni 80 grande diffusione esecutiva e fama anche presso il grosso pubblico: è stata quindi accolta con vivo successo la loro esecuzione nella stagione lirica organizzata dall’Ente Concerti de Carolis, un successo sicuramente meritato per l’equilibrio generale della produzione e l’apprezzabile livello esecutivo. Buona parte del merito va a Jordi Bernàcer che ha diretto con energia, precisione e senso teatrale assai mediterraneo. Ha avuto il buon senso di approcciare giustamente l’opera, sottraendo la solenne “gravitas” che appesantisce troppo spesso anche esecuzioni celebrate e sfruttando al meglio gli agili organici dell’Ente. I tempi sono stati abbastanza comodi (nel caso di Estuans interius anche troppo…) ma vivacizzati spesso da un’agogica elastica ed espressiva. Non sono apparsi particolarmente curati alcuni dettagli, sia nella precisione dell’insieme che nell’equilibrio di certe timbriche, ma nel complesso l’esecuzione è stata sicuramente valida.
Per i solisti i Carmina sono affare serio a causa dell’utilizzo del registro acutissimo, in funzione quasi straniante e anti realistica: protagonista assoluto è stato Fabio Previati che, nonostante una vocalità non particolarmente voluminosa, ha fatto valere le proprie doti teatrali trovando dinamiche e giusti accenti sia nei momenti lirici ed estatici (Omnia sol temperat) che nel caricaturale Ego sum abbas. Notevole e sonoro il suo canto di testa e apprezzabile la disinvoltura nel registro acuto, al punto da potersi permettere, basso di ruolo abituale, di tenere il La acuto finale di Estuans interius, nota da toccare appena per non scottarsi (anche perché scritta così…) per la maggior parte dei baritoni. Semplicemente perfetta Aleksandra Kubas-Kruk per colore, controllo del vibrato e sicurezza tecnica: la più vicina anche per stile e cultura allo spirito originale dell’opera. Supera con disinvoltura le insidie tecniche della pur breve parte e ha il giusto abbandono in Stetit puella e In trutina, due momenti rarefatti tra i più riusciti di tutta l’opera. Ettore Agati, nel celebre e grottesco Olim lacus colueram, è apparso poco sonoro ma tutto sommato adeguato vocalmente al ruolo; peccato che proprio in un brano che avrebbe richiesto una teatralizzazione anche esasperata il direttore l’abbia ingabbiato con tempi rigidi e metronomici, che non hanno giovato all’espressione.
Comunque sono soprattutto protagonisti, una volta tanto, coro e orchestra che, nell’occasione, hanno offerto una prestazione decisamente convincente. La sistemazione delle percussioni dietro il coro ha giovato all’equilibrio fonico generale, permettendo un buon insieme dinamico pur con un organico ridotto rispetto alle consuete esigenze dell’opera. Ovviamente non facilitando certo i percussionisti che però, nonostante la distanza notevole col direttore e il resto dell’orchestra, hanno stupito per la precisione e l’insieme della loro sezione, anche in momenti delicati come il passaggio tra flauto e timpani in Tanz o nei numerosi attacchi sincroni con pianoforti e strumentini. Ottimi anche gli ottoni, una volta tanto autorizzati a liberare le sonorità, ma senza perdere mai colore e intonazione.
Bene anche il coro, preparato da Antonio Costa, che, rinunciando a un po’ di volume, avrebbe potuto giocare sui vari organici (coro grande, coro piccolo, gruppo ridotto) come previsto dall’autore, per creare più piani dinamici. Specialmente le batterie maschili hanno mostrato carattere e bella vocalità, mentre tra le donne è stato evidente un minor controllo del vibrato e della fusione, soprattutto tra qualche soprano. Comunque una prestazione positiva, con un colore adatto al taglio teatrale dell’esecuzione, che ha sicuramente contribuito in maniera decisiva al successo del concerto. Ottime anche le voci bianche della Corale Canepa, preparate da Salvatore Rizzu, precise e ben amalgamate nel loro intervento. Peccato per i vari abbonati rimasti a casa: chi non concepisce nulla fuori da Rigoletto e Boheme, per favore, cerchi qualcuno cui regalare una bella serata…