Il Víctor Ullate Ballet di Madrid interpreta La Phármaco e Kor’sia

Madrid, Teatros del Canal, Temporada 2018-2019
“VÍCTOR ULLATE BALLET”
La Phármaco: Los hijos más bellos
Coreografia Luz Arcas
Violoncello Aurora Martínez Piqué
Voce David Arzuza
Luci Jorge Colomer
Costumi Heridadegato
Ballerini Martina Giuffrida, Manuela Medeiros, Ana Noya, Kozue Tashiro, José Becerra, Mariano Cardano, Charly de Groote, Matthieu Quincy, Avery Reiners
KOR’SIA: Jeux Nijinski
Coreografia Mattia Russo, Antonio de Rosa
Scene KOR’SIA
Luci Luis Martínez
Costumi Adrían Bernal, Betto García, Alejandro Larrea
Ballerini Min Kyung Lee, Kana Nishiiue, Keiko Oishi, Óscar Comesaña, Jordan Kindell, Alejandro Moya
Madrid, 18 novembre 2018

Víctor Ullate Ballet è una delle compagnie più importanti di Madrid, con trenta anni di esperienza appena compiuti. Recentemente ha cambiato direttore artistico e adesso la bacchetta direttoriale è nelle mani di Lucia Carrara, allieva e pupilla del fondatore e maestro, Víctor Ullate. Lo scorso anno abbiamo assistito a due titoli, Carmen e Pastoral, interpretati dalla stessa étoile; due diversi stili, e senza dubbio due prove brillanti di Lucia Carrara. Quanto al contesto, Los Teatros del Canal de Madrid si conferma una istituzione dedita in grande misura al supporto della danza: quella nazionale (flamenco), quella legata alle arti visuali e alla drammaturgia, ricorrenti nelle rassegne di festival come “Madrid en danza”, o in un settore attivissimo come il CDC (Centro Danza Canal), che aiuta artisti residenti e sponsorizza progetti di gruppi emergenti dotati di molta creatività ma di scarse risorse. Questa volta è la ‘Sala negra’ del complesso a ricevere l’opera di due notevoli complessi artistici, e per tre bellissime serate consecutive. Piccola, intima, spoglia di tutto, la sala fa sì che lo spettatore percepisca lo spazio nella sua totalità e ne diventi un elemento importante. Los hijos más bellos, della giovanissima compagnia La Phármaco (fondata nel 2009 da Luz Arcas), apre la serata con un titolo che fa pensare a una civiltà più o meno lontana, ai suoi sacrifici e a un’atmosfera folcloristica. La coreografa e direttrice trova una frase ispiratrice in un libro che la porta a sviluppare la bellezza come tema coreografico: «Toda nación adora sacrificar a sus hijos más jovenes, los más bellos, cuando llegan a la edad de la adolecencia. Toda nación adorna esas muertes con cantos» (Pascal Quignard, El origen de la danza). Per quasi tutta la durata del brano le luci sono d’un colore ambrato, perché è il momento del crepuscolo; i ballerini, divisi secondo il sesso in due gruppi affrontati, danzano in gruppi che poco a poco si fondono. Le donne ondeggiano, gli uomini cacciano, pian piano si scoprono gli uni alle altre e inizia a crearsi un legame naturale, forte e mistico. Il gruppo decide di spostarsi e sceglie un leader, ma il viaggio è lungo e avventuroso. I ballerini si presentano con costumi in diverse tonalità di grigio, all’interno di una scena nuda e per la maggior parte del tempo buia, che evoca un paesaggio rustico, una grotta, un monte, un luogo sicuramente remoto. Con musica per violoncello (di Hugo Gómez-Chao Porta) eseguita dal vivo e una voce che avverte dell’intensità del momento, passando dai toni melodici a quelli stridenti, l’opera rappresenta un autentico omaggio al fascino delle società arcaiche, al loro culto della vitalità e della morte, che si realizza appunto attraverso i sacrifici, come nel Sacre du printemps di Strawinsky. Jeux Nijinsky richiama una data e un luogo precisi: Parigi, 15 maggio 1913, prima rappresentazione di Jeux con la coreografia di Vaslav Nijinski e musica di Claude Debussy. Il geniale coreografo raccontò di aver visto giocare, una sera a Londra, tre membri di un gruppo chiamato Bloombsbury, un’élite intellettuale e liberale, alla quale appartenevano artisti come Virginia Woolf o E. M. Forster, sempre in lotta contro la morale vittoriana e fautori di un pensiero moderno, soprattutto in relazione al femminismo, al pacifismo e alla sessualità. L’opera a suo tempo non fu né apprezzata né capita, e presto fu dimenticata (anche perché la già citata Sagra della Primavera andò in scena soltanto due settimane dopo). KOR’SIA le rende un suo personale omaggio, ispirandosi solamente all’estetica e alla letteratura di quel periodo. Si inizia con una frase della Woolf in cui si afferma che tutto dipende dall’angolazione con cui si guarda, che non c’è verità assoluta, perché tutto è in costante cambiamento ed evoluzione. Tutto il brano è in effetti una metafora dell’educazione, un modo di riflettere sulla società e sui rapporti interpersonali, al fine di dimostrare che tutto è un gioco molto serio, anche elegante, nella plasticità, nell’esagerazione delle maniere, nella forma stessa di contemplare la vita. La scena è molto semplice, fedele al messaggio che si intende trasmettere, con un campo di tennis, rete centrale, palline, panchine per apprezzare il gioco e due statue greche bianche agli angoli (un pizzico di allusione filosofica al pensiero critico, ai maestri dell’antica Grecia). Il corpo di ballo è tutto vestito di bianco, con tessuti ondeggianti, ampie camice, colli in pizzo, drappeggi, lunghe file di perle e altri accessori scintillanti, che evocano chiaramente il glamour dei primi anni del Novecento. I ballerini della compagnia spagnola sono semplicemente strepitosi; non solo bravissimi sul piano tecnico: dimostrano di aver saputo mettersi in gioco e di aver saputo vincere la sfida. Interpretazione, tecnica, virtuosismo, talento, non bastano quasi le parole per richiamare gli elementi di un esito emozionante e magnifico. Il pubblico non è oceanico, a causa delle dimensioni ridotte della sala, ma gradisce molto e ripaga gli artisti con un mare di applausi.   Foto Teatros del Canal