A 190 anni dalla morte.
Come la maggior parte dei lavori teatrali di Franz Schubert, Die Freunde von Salamanka (Gli amici di Salamanca) non vide le scene, vivente l’autore, che per questo suo lavoro in due atti, scritto in appena un mese e mezzo tra il 18 novembre e il 31 dicembre 1815, si era avvalso di un libretto non di grande qualità dell’amico Johann Mayrhofer. La prima esecuzione sarebbe avvenuta, infatti, all’Opera di Halle, nel 1928 in occasione delle celebrazioni del primo centenario della morte di Schubert. Di recente l’opera è stata ripresa al Teatro Comunale di Bologna nel 2004 nell’edizione critica curata da Marco Beghelli con i dialoghi in italiano “restaurati” da Vincenzo Cerami, essendo andato perduto il manoscritto del libretto che, peraltro, non fu mai stampato. Protagonista dell’opera è un giovane studente di Salamanca, Alonso, che, innamorato della contessa Olivia, corteggiata anche dal conte di Tormes, riesce alla fine a conquistare la donna amata grazie all’aiuto di due suoi amici, Diego e Fidelio, anche loro innamorati rispettivamente di Laura, nipote dell’Alcade di Salamanca, e di Eusebia. Nonostante il carattere esile della trama e la scarsa qualità letteraria del libretto, questo Singspiel avrebbe meritato maggiore fortuna soprattutto se si considerano alcune pagine veramente interessanti la cui musica fu ritenuta degna dallo stesso Schubert di essere riutilizzata in lavori più maturi. Il tema del duetto tra Diego e Laura nel secondo atto, “Gelagert unterm hellen Darch” (“Sdraiato sotto un tetto luminoso”), fu ripreso, infatti, nel Tema con variazioni del suo Ottetto D. 805 mentre altri passi, sempre del secondo atto, confluirono nel Fierrabras. Costituita da 18 numeri musicali (sette nel primo atto e 11 nel secondo), la partitura di Die Freunde von Salamanka si distingue per una felice invenzione melodica e per un’orchestrazione leggera che avrebbero dovuto consentirle di trovare un posto stabile nel repertorio. Nei 18 numeri teatrali si contano pochissime arie e molti pezzi d’assieme, tra cui un terzetto interamente sopranile, “Lebensmut und frische Kuhlung” (“Coraggio di vivere e un vivificante refrigerio”) e un quartetto per soli uomini “Morgan, wenn des Hahnes” (“Domani, quando risuona il canto del gallo), entrambi atipici per la composizione vocale nell’opera dell’epoca. Molto suggestiva è, infine, la romanza di Diego “Es murmeln die Quellen” (“Mormorando le sorgenti”) soprattutto per la raffinata orchestrazione che sembra echeggiare il timbro della cornamusa.
A differenza di Die Freunde von Salamanka, il Singspiel Die Zwillingsbrüder (I fratelli gemelli) fu il primo lavoro teatrale di Schubert a vedere le scene nel 1820 al Teatro di Porta Carinzia che glielo aveva commissionato su segnalazione del celebre baritono Johann Michael Vogl, primo interprete di entrambi i gemelli protagonisti dell’opera. Il libretto, che Georg Ernst Hofmann, il poeta del Teatro di Porta Carinzia, aveva tratto forse da alcuni vaudevilles francesi, tra cui un difficilmente rintracciabile Les deux Valentins, e da I due gemelli di Carlo Goldoni, mette in scena, infatti, le tragicomiche peripezie di due gemelli, Franz e Ferdinand Spiess, simili nell’aspetto, ma differenti nel carattere. Completato in pochi mesi all’inizio del 1819, il Singspiel fu rappresentato, però, soltanto un anno dopo, il 14 giugno 1820, ottenendo un esito contrastato: se unanimi furono i consensi per Vogl che, da autentico mattatore, aveva interpretato in modo magistrale entrambi i gemelli, la stampa non mancò di mettere in evidenza i difetti della partitura di Schubert. Il critico del «Wiener Konversationsblatt» definì l’opera «quasi una farsa tra contadini mezzi ciechi», mentre quello della «Wiener allgemeine musikalische Zeitung», pur ammettendo che la musica era «molto originalee», affermò che il «punto debole dell’opera» consisteva «nel fatto che i sentimenti di semplice gente di campagna» erano «espressi con troppa serietà e gravità, trattandosi di un soggetto comico». Il giudizio, figlio dell’estetica aristotelica che prescriveva la netta separazione dei generi, appare alquanto severo soprattutto se si considera la qualità di molte pagine della partitura di Schubert che si compone di 10 numeri a cui va aggiunta la breve (appena quattro minuti) e briosa ouverture. Tra i numeri più belli e più curati si segnalano: la grande aria di Lieschen “Der Vater mag wohl immer Kind mich nennen” che si distinge per la cura della parte vocale e dell’accompagnamento orchestrale nel quale emergono i legni; l’aria di Franz “Mag es stürmen, donnerm, blitzen”, piena di spunti descrittivi, e soprattutto il concertato “Pachkt ihn, führt ihn vor Gericht” di ottima fattura contrappuntistica.