Teatro del Maggio Musicale Fiorentino – Stagione 2018-2019
“EHI GIO’- VIVERE E SENTIRE DEL GRANDE ROSSINI”
Opera per un attore, un performer, tre cantanti, ensemble e elettronica
Musica di Vittorio Montalti
Libretto di Giuliano Compagno
Voce recitante TONY LAUDADIO
Performer LUDOVICO FEDEDEGNI
Tenore GREGORY BONFATTI
Soprano LJUBA BERGAMELLI
Baritono SALVATORE GRIGOLI
“LE VILLI”
Opera-ballo in due atti
Musica di Giacomo Puccini
Libretto di Ferdinando Fontana
Voce recitante TONY LAUDADIO
Roberto LEONARDO CAIMI
Guglielmo ELIA FABBIAN
Anna MARIA TERESA LEVA
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Marco Angius
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia e Scena Francesco Saponaro
Costumi Chiara Aversano
Luci Pasquale Mari
Regia del suono Tempo reale/Damiano Meacci (Ehi Gio’)
Coreografia Susanna Sastro (Le Villi)
Danzatori Compagnia Nuovo BallettO di ToscanA (Le Villi)
Firenze, 25 ottobre 2018
Torna a Firenze l’opera che segna il più che incoraggiante esordio teatrale di Giacomo Puccini dopo quarantasei anni dall’ultima e unica messa in scena al vecchio Teatro Comunale, con l’accoppiata Mietta Sighele e Veriano Luchetti nei ruoli dei due protagonisti. Dopo La Rondine dello scorso autunno, prosegue la riproposizione dei titoli pucciniani meno noti e rappresentati, pochi in realtà: a questo punto mancherebbe all’appello solo l’infelice Edgar, che fu la seconda opera e l’unico vero fiasco senza appello della carriera di Puccini, giacché gli altri suoi lavori sono tutti celeberrimi, rappresentati e applauditi nel mondo intero. I nostri teatri in verità, forse anche per rincorrere il supposto favore del pubblico, sono particolarmente inclini a mettere in scena Boheme, Tosche e Butterfly, sfidando la monotonia e facendo diventare La fanciulla del West quasi una rarità e un Trittico integrale una stravaganza.
Ben venga quindi Le Villi, non ancora capolavoro, ma opera ricca di ottima musica, nella quale si avverte già chiaramente la futura grandezza del ventiseienne Puccini, in una produzione che fonde essenzialità, intelligenza e gioventù. La storia infatti è quella di due fidanzatini, Anna e Roberto, che si amano da sempre e poi si perdono perché lui, giunto in città, è risucchiato dal gorgo dell’eros; anziché fare subito ritorno e sposare la sua promessa si trattiene a lungo, mentre lei, rimasta al paese ad attenderlo, muore di dolore. Qui si inserisce l’elemento fantastico che rende Le Villi così gotica e dark: secondo una leggenda diffusa dai Balcani all’Europa centrale, le fanciulle morte per amore, abbandonate o tradite prima del matrimonio, non riescono a trovare riposo e, fatte creature infernali, vagano in cerca di amanti fedifraghi sui quali perpetrare terribili vendette. La pagina più celebre e musicalmente geniale dell’opera è proprio la Tregenda, una scena di ballo che rappresenta il convegno notturno di questi spiriti infuriati che si preparano a punire Roberto. La bravura delle giovanissime danzatrici della Compagnia Nuovo BallettO di ToscanA, l’efficacia dei costumi di Chiara Aversano nel renderle creature selvagge e vampiresche, la coreografia di Susanna Sastro, che suggerisce un’energia soprannaturale e una malizia sfacciata da anime ormai perdute, offre un’interpretazione di grande suggestione di questa pagina, insieme alla direzione veemente e pulsante di Marco Angius.
L’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, sotto la sua bacchetta, illumina con grande ricchezza di colori la scrittura, già notevolmente raffinata, che fonde un po’ di linguaggio tardo ottocentesco, del quale subirà l’influsso anche il giovane Mascagni, e caratteri spiccatamente originali, che anticipano il Puccini più maturo, specie quello di Manon Lescaut. Ottimi sono gli interventi del Coro, sempre precisissimo, compatto e scintillante nel caratterizzare la partecipazione del popolo alle vicende di Anna e Roberto. La brevità dell’opera e il carattere prettamente ‘sinfonico’ non danno modo a Puccini di creare personaggi a tutto tondo, ma soltanto di abbozzare dei tipi. Anna è nel primo atto una creatura fragile e remissiva, un’innamorata vinta dalla vita, come tante future eroine pucciniane, per poi mutarsi, nei brevissimi interventi del secondo atto, in vendicatrice spietata. Maria Teresa Leva ne è interprete interessante e convincente, possiede uno strumento ricco e dal volume generoso, dal timbro sempre tondo e pieno, ha un paio di note tubate nel passaggio, ma poi il registro acuto si libera con facilità e squillo; è una vocalità tendente allo spinto che però riesce ad addolcirsi con gusto in sfumature dinamiche varie. Con il tempo, vista la giovane età, saprà trovare il giusto equilibrio tra l’esuberanza sonora e certi pianissimi che ora suonano troppo esili e rischiano di non arrivare in sala.Il suo innamorato Roberto presenta già le caratteristiche del tenore pucciniano futuro, tutto tenerezza e passione, nonostante la scrittura ancora strofica e tutto sommato convenzionale della sua aria; Leonardo Caimi ha mezzi adeguati al compito, uno strumento ampio e sonoro, dal timbro notevolmente bello e una grande cura per l’espressione; purtroppo il registro acuto gli dà costantemente filo da torcere, il suono tende a stringersi nella salita, con il risultato che nei momenti di climax, come nei si bemolle della sua aria, la voce si sbianca e si dimezza restando sul palco. Di tipo più inconsueto per il teatro di Puccini, padre nobile di ascendenza ottocentesca, è il ruolo di Guglielmo, baritono, genitore di Anna, caratterizzato con tenerezza e vigore, in una resa accorata, anche scenicamente da Elia Fabbian, dotato di uno strumento decisamente chiaro e affetto da qualche disuguaglianza, ma timbrato, dagli acuti tenorili nel colore, ma incisivi e sonori. La messa in scena di Roberto Saponaro raggiunge pienamente lo scopo, con sobrietà ed eleganza di mezzi, poche semplici idee, funzionali ed efficaci: gli alberi luminosi che delimitano lo spazio sul fondo e la comparsa della stanza di Anna suggeriscono la dimensione familiare e domestica della casa e del paese nel quale le gioie e i dolori sono condivisi da tutti; nel secondo atto gli stessi alberi su un fondale livido e la stanza di Anna, che velata di nero diventa un catafalco, rendono l’atmosfera gelida e spettrale, e le luci di Pasquale Mari, che lampeggiano con effetto quasi stroboscopico e proiettano tronchi immaginari, materializzano la foresta nella quale si consuma lo sfrenato rito di morte delle Villi.
L’opera breve di Puccini è stata preceduta da Ehi Gio’ – Vivere e sentire del grande Rossini, un lavoro contemporaneo in un solo atto di Vittorio Montalti che ha visto la luce nel 2016 e che ha come protagonista Gioacchino Rossini.
Al centro della scena che rappresenta uno studio di registrazione degli anni ’70 un Rossini ormai attempato ripercorre in ordine non cronologico i fatti della sua vita tra le apparizioni del padre, il tenore Gregory Bonfatti, della madre, il soprano Ljuba Bergamelli, e di un critico musicale, il baritono Salvatore Grigoli.
L’Orchestra, ridotta di organico, suona sul palco diretta con mano sicura dallo stesso Marco Angius. Tony Laudadio, già apparso come narratore nell’opera di Puccini, interpreta con eleganza e proprietà il personaggio di Rossini. La musica usa un linguaggio atonale e sembra non cercare un coinvolgimento emozionale o una comunicazione con il pubblico, il libretto alterna una prosa didascalica, quasi da libretto di istruzioni a voli poetici in cui ambisce a caricarsi di significati reconditi, destinati, mi pare, a rimanere tali. Professionalmente valide sono le prestazioni dei cantanti e dell’attore-performer Ludovico Fededegni, l’accoglienza da parte del pubblico è di fredda cortesia; in verità la sala, piena per un quarto, si riempie dopo l’intervallo, per assistere all’opera Le Villi, al termine della quale tutti sono generosamente applauditi, con punte di particolare apprezzamento per il direttore Marco Angius e per la protagonista Maria Teresa Leva.