Teatro Comunale – Stagione Lirica 2018
“L’ITALIANA IN ALGERI”
Dramma giocoso per musica in due atti su libretto di Angelo Anelli.
Musica di Gioachino Rossini
Mustafà GABRIELE SAGONA
Elvira ILARIA VANACORE
Zulma ILARIA RIBEZZI
Haly FRANCESCO LEONE
Lindoro MERT SUNGU
Isabella ANTONELLA COLAIANNI
Taddeo FABIO PREVIATI
Orchestra dell’Ente Concerti Marialisa de Carolis
Associazione Corale “Luigi Canepa”
Direttore Sergio La Stella
Maestro del coro Luca Sirigu
Regia Stefano Vizioli ripresa da Pierluigi Vanelli
Scene e costumi Ugo Nespolo
Light designer Tony Grandi
Allestimento in coproduzione della Fondazione Teatro di Pisa e Fondazione Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste.
Sassari, 12 ottobre 2018
Di indubbio interesse l’apertura della stagione lirica 2018 a Sassari: la proposta dell’Ente Concerti de Carolis, legata all’anniversario rossiniano, de L’Italiana in Algeri ha permesso prima di tutto di riascoltare dopo ventisei anni un capolavoro perennemente oscurato dal solito Barbiere, e inoltre di poterlo gustare in un allestimento fresco e godibile, semplice ma anche con sofisticati elementi visivi. Il punto di forza dello spettacolo (progettato per i teatri di Pisa e Trieste) sono state indubbiamente le bellissime scenografie di Ugo Nespolo, artista che anche altre volte ha saputo ben collegare il proprio mondo poetico e immaginifico a quello del teatro musicale. Il progetto ha configurato il palcoscenico mediante quinte, sagome e fondali dipinti con colori saturi e vivaci, segnati da un astrattismo collegabile ad un inquieto immaginario infantile. Inevitabile la proiezione ideale del tutto in un teatrino delle marionette, dove la “follia ben organizzata” di Rossini trova la sua collocazione più logica, attraverso un mondo fantastico ed evocativo già concepito due secoli fa in funzione assolutamente anti realistica. Dell’artista anche i bei costumi, che però non osano portare fino in fondo la logica visiva della scenografia, limitandosi ad ambientare correttamente la vicenda secondo tradizione. L’insieme, ben valorizzato dalle luci di Tony Grandi, è stato insomma di sicuro effetto e di facile lettura, ma sempre fine e tutt’altro che banale. Il merito dell’allestimento va ovviamente soprattutto al regista Stefano Vizioli, autore del progetto e capace anche in altre occasioni di coniugare valore artistico, aderenza al testo e, in tempi grami, anche una buona efficienza costi-benefici. Scorrevole e funzionale la regia, ripresa in quest’occasione da Pierluigi Vanelli, ricca di trovate brillanti ma anche con qualche controscena di troppo che, talvolta, ha appesantito l’aspetto visivo e distratto l’ascolto. Bella per esempio l’elegante realizzazione di Languir per una bella, dove la sobria collocazione su più profondità ha giustamente messo in luce la preziosità del canto del tenore e l’ottimo solo dei corni nell’introduzione; dove ci si è fidati meno della musica (come nei numerosi meccanismi d’insieme) mosse, oggetti di passaggio, ammiccamenti sono talvolta apparsi superflui. Al contrario è stata un po’ statica e poco riuscita la difficile scena finale, dove la situazione paradossale non viene risolta in maniera chiara ed efficace da qualche azione determinante o da una migliore gestione dei centri di attenzione.
Se, al di là dei gusti, è stata segnata da una chiara impronta la direzione scenica, non si può dire altrettanto per quella musicale di Sergio La Stella: apprezzabili alcune “nuances” agogiche e una buona eleganza nel portare le frasi espressive, ma francamente l’insieme nei momenti collettivi è apparso troppo generico su tutti i piani e impacciato dal punto di vista ritmico per essere soddisfacente. Evidenti gli scollamenti tra buca e palcoscenico e le difficoltà sul tempo che hanno riguardato un po’ tutti, solisti, coro e orchestra; probabilmente anche l’espressione e le dinamiche, apparse rigide e poco dettagliate nelle scene d’insieme, sono state influenzate dall’evidente preoccupazione di “stare dentro”. Sfortunati alcuni vistosi incidenti, come nel finale del primo atto, ma in generale il palcoscenico è sembrato sorpreso dai tempi e in difficoltà nel seguire con precisione il gesto del direttore dove il ritmo musicale (e scenico) si fa più incalzante e agitato. Sicuramente più pulita ed espressiva è stata invece l’esecuzione delle arie e soprattutto dei brillanti recitativi, di solito cenerentola di qualunque messa in scena, stavolta ben realizzati con ottimo stile e alcune ironiche citazioni.
La compagnia di canto è apparsa ben amalgamata e omogenea, con alcune differenze, in quasi tutti i suoi elementi: spigliati nella recitazione, precisi nelle colorature, consapevoli dello stile richiesto, tutti gli interpreti si sono ben collocati nel progetto scenico. Nessuno ha impressionato per mezzi vocali, ma il grande cantante in produzioni del genere, basate sulla precisione e l’equilibrio nella messa in scena, può essere talvolta più un impaccio che un punto di forza. Siamo d’altronde in uno stile che ha ormai abbandonato le forti caratterizzazioni stereotipate dell’opera buffa settecentesca (presenti ancora ne Il barbiere di Siviglia) per approdare a un’umanità senza maschere, pur se ancora lontana da un’aderenza alla realtà. Notevole per tecnica, stile e omogeneità in tutta l’estensione Antonella Colaianni nel ruolo di Isabella: precisissima nelle colorature, impeccabile nelle variazioni, ha tratteggiato un personaggio a suo agio soprattutto nei momenti vivaci e meno interessante invece sul lato eroico e patetico, aspetti minoritari ma comunque presenti nella protagonista. Altrettanto vivace e puntuale Gabriele Sagona: lontano dalle solite caratterizzazioni il suo Mustafà è agile, giovane, anche seducente, un personaggio vicino a quello che doveva essere, secondo le cronache dell’epoca, Filippo Galli, creatore del ruolo. La vocalità non ha proprio l’autorevolezza che ci si aspetterebbe nell’occasione, ma l’intelligenza dell’interprete consiste anche nello sfruttare al meglio i mezzi di cui dispone. Un gradino su tutti è il Taddeo di Fabio Previati, ottimo professionista con un bagaglio tecnico completo, capace anche di spiccare vocalmente e costruire piani dinamici vari e interessanti. Ben modulata e ricca d’espressione la sua recitazione per un personaggio più sfaccettato della generica macchietta che normalmente si vede sui palcoscenici. Apprezzabile stilisticamente, ma con un immascheramento troppo nasalizzato, anche Mert Sungu nel ruolo di Lindoro. La sua vocalità è a suo agio nelle difficili colorature e meno nell’espansione del registro acuto; comunque la grande aria del primo atto è notevole per fraseggio, espressione e legato impeccabile. Meno presente la vocalità dell’Elvira di Ilaria Vanacore, sicuramente più interessante in repertori differenti da quello teatrale, ma la giovane età la rende capace di possibile maturazione. Efficaci Francesco Leone e Ilaria Ribezzi nei ruoli semplici ma scenicamente rilevanti di Haly e Zulma. Al netto dei problemi rilevati sopra è stata buona la prestazione dell’orchestra dell’Ente, specialmente nella buona fusione degli archi e nella precisa intonazione dei noti passaggi degli strumentini; stesso discorso anche per la Corale Canepa, intelligentemente disposta dal suo direttore, Luca Sirigu, in un amalgama vocale omogeneo, stilisticamente congruo con l’opera affrontata. Non particolarmente caloroso il numeroso pubblico: “L’Italiana in Algeri? E chi la conosce?…”