Napoli, Teatro di San Carlo. Inaugurazione Stagione sinfonica 2018/2019.
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Direttore Juraj Valčuha
Soprano Eleonora Buratto
Mezzosoprano Veronica Simeoni
Tenore Antonio Poli
Basso Riccardo Zanellato
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Giuseppe Verdi: Messa da Requiem per soli, coro e orchestra
Napoli, 20 ottobre 2018
La Messa da Requiem non è solamente una messa «funebre [composta] per l’anniversario [della morte] di Manzoni», uomo «che ho tanto stimato come Scrittore, e venerato come Uomo» (Verdi in una lettera al sindaco di Milano, 1783); non è più una mera richiesta d’elemosina, ma è la lotta disperata dell’uomo contro la volontà del Creatore, contro la morte. Con questo capolavoro s’è inaugurata la Stagione sinfonica 2018/19 del Teatro di San Carlo di Napoli, diretto da Juraj Valčuha, con Eleonora Buratto (soprano), Veronica Simeoni (mezzosoprano), Antonio Poli (tenore), Riccardo Zanellato (basso). Meditazione dinamica, a tratti solitaria ed asciutta, quella di Valčuha: cupo colore della frase lenta e calante dei violoncelli del Requiem e Kyrie; il quartetto del «Kyrie eleison», ben curato, s’è dispiegato su d’un tema assai generoso con un accompagnamento discendente dell’Orchestra del San Carlo, sempre lodevole, soprattutto per la calibrata pulizia ritmica dei vari settori, pervasi da un’accurata dinamicità sonora e da precisione scientifica. Veemente e vorticosamente selvaggio è apparso l’incubo del Dies Irae: un coro, quello preparato da Gea Garatti Ansini, scatenato, profondo, spaventoso; non più servitore del culto, ma carne pulsante che pretende d’essere ascoltata; un coro notevolmente preparato, pervaso da un ferreo e fulmineo dinamismo. Ottoni e rabbiosi colpi di gran cassa che colloquiavano perfettamente col fremebondo tremolo d’archi. «Tuba mirum», possente e solenne, seguitato poi dall’intervento del basso Riccardo Zanellato, che, con voce robusta, profonda, ha posto gran cura nel «Mors stupebit», aspramente modulato, accompagnato da una guerresca struttura d’archi e da una sequela secca e mortale di colpi sferrati alla cassa. Basso veramente degno della drammaturgia del Maestro, caratterizzata da una modulazione della frase sempre lucida. Notevole ed accuratamente sommessa è apparsa poi la voce del mezzosoprano Veronica Simeoni nel «Liber scriptus», modulato con timbro ben attenuato e sottolineato dal brusio smorzato del coro, sommessamente esposto. Voce ferma, tratteggiata da un fraseggio tondo ed chiaro. Coro dei bassi, superbo e cupo, nel «Rex tremendae majestatis». Dopo un tenue duetto per soprano e mezzosoprano, segue una sezione affidata al tenore Antonio Poli: linea vocale bella e generosa, nella pagina «Ingemisco»; prevalentemente dominata da una modulazione ed un’articolazione della frase generalmente avveduta, acciaccata però dalla breve comparsa d’una screziatura, poi cautamente ripulita. Voce ancora quella del basso, grave, nel «Confutatis maledictis», (toccante e compassionevole, invece, sul verso «voca me cum benedictis»), seguita poi dalla furiosa ripresa del «Dies Irae» e da «Lacrymosa dies illa», pagina a quattro voci soliste e coro, la cui figura cadenzata è stata notevolmente intonata dal soprano Eleonora Buratto, spiegatasi con intensità espressiva sul tema del lamento. Voce rassicurante, caratterizzata da un colore caldo e pastoso, religiosamente dispiegata con estrema padronanza dello strumento. Una linea vocale luminosa, trasparente e ben controllata che si conferma ancor più intensa nel «Libera me, Domine». Un’esecuzione, questa napoletana, tratteggiata da veementi e rabbiose folgorazioni del dramma realistico della morte, dramma che tormentò e tormenterà ancora. Successo pieno e convinto di pubblico per tutti gli esecutori.