Soprano, Montserrat Caballé (Barcellona, 12 aprile 1933 – 6 ottobre 2018)
Su questa grandissima cantante si possono e si è già scritto moltissimo. Sicuramente, nel bene e nel male, come molte interpreti del dopo Callas , la Caballè è uscita dagli schemi di repertorio che l’hanno vista passare da un naturale registro lirico (che guardava anche all'”antico”) a quello del cosiddetto drammatico d’agilità, fino a quello drammatico vero e proprio. Di certo la sua voce è stata e rimane inconfondibile per la levigatezza del suono, per le risonanze del grave sul tessuto naturalmente lirico del “medium” e della zona acuta. Alla luce odierna si può mettere in discussione il suo approccio al belcanto ottocentesco (Rossini in particolare) per la rinuncia alla cosiddetta agilità “di forza”, allo stacco rapido e mordente di semicrome e biscrome in favore di una vocalizzazione a mezza voce. Nè d’altronde l’arrivo al repertorio drammatico sono parse sempre convincenti a giudicarle in termin da manuale: ma è qui che il magistero del soprano s’è concesso più di frequente di ribaltare le categorie in virtù di quella precisa coscienza dei mezzi (emissione lievissima e pronta facilità all’acuto, legato eccezionale, registro grave raramente forzato) e degli stessi limiti fisiologici. Con queste caratteristiche la Caballé è riuscita a essere anche una persuasiva interprete di Haendel, Mozart…fino a Strauss con mezzi vocali ritenuti idonei ad evocare precise suggestioni da melodramma italico, senza abdicare per un istante alla propria personalità e fisionomia canora. Un miracolo di sensibilità, tale da riunire in uno, o quasi, gli ardori romantici e con i languori della “décadence”, ovvero Claudia Muzio e Lotte Lehmann, Maria Callas ed Elisabeth Schwarzkopf.