Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2017/2018
“DIE ZAUBERFLOTE” (Il flauto magico)
Opera in due atti, libretto di Emanuel Schikaneder
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Pamina KIANDRA HOWARTH
Tamino GIULIO PELLIGRA
La Regina della Notte OLGA PUDOVA
Sarastro ANTONIO DI MATTEO
Monostatos MARCELLO NARDIS
Papageno JOAN MARTIN-ROYO
Papagena JULIA GIEBEL
Prima Dama LOUISE KWONG*
Seconda Dama IRIDA DRAGOTI*
Terza Dama SARA ROCCHI*
L’Oratore ANDRII GANCHUK*
Primo Armigero DOMINGO PELLICOLA*
Secondo Armigero TIMOFEI BARANOV*
Primo Genietto GIULIA PEVERELLI**
Secondo Genietto ERCOLE CORTONE**
Terzo Genietto AGNESE FUNARI**
*dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
**Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro del’Opera di Roma
Direttore Henrik Nànàsi
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Video “1927” (Suzanne Andrade e Paul Barrit) e Barrie Kosky
Scene e Costumi Esther Bialas
Drammaturgia Ulrich Lenz
Luci Diego Leetz
Allestimento Komische Oper di Berlino
Roma, 10 ottobre 2018
Giunge al Teatro dell’Opera di Roma questo singolare allestimento di Die Zauberflaute prodotto dalla Komische Oper di Berlino e pensato dal suo direttore artistico Barrie Kosky insieme al gruppo “1927”. L’idea è quella di trasporre la vicenda del Flauto Magico all’epoca del cinema muto. I recitativi sono sostituiti da rapidi ed efficaci intertitoli, accompagnati da musiche sempre dello stesso Mozart per conferire unità all’operazione, registrate ed eseguite al fortepiano. Lo spettacolo si svolge su un unico piano sul quale vengono proiettate le varie immagini della vicenda e nel quale gli interpreti appaiono e scompaiono da porte girevoli, inserendosi nelle proiezioni in un avvincente e talvolta acrobatico gioco di coordinazione tra la bidimensionalità delle immagini e la tridimensionalità dei personaggi. L’opera viene pertanto narrata o meglio illustrata prevalentemente dalle immagini, analogamente a quanto avveniva nei film muti che, va ricordato, non erano film semplicemente privi di sonoro ma al contrario erano concepiti per raccontare attraverso gli elementi visivi e nei quali pertanto anche gli intertesti dovevano essere impiegati con estrema parsimonia, proprio per non ledere il primato dell’immagine. E così, perfettamente coordinati con la musica e i suoi tempi, tutti i vari elementi dell’opera il fiabesco, il filosofico, l’onirico, il popolare e soprattutto l’amore a lieto fine dei due protagonisti e di Papageno, vengono presentati attraverso una continua proiezione dal segno grafico simpatico e ammiccante nella quale si inseriscono gli interpreti. I molteplici temi contenuti nell’opera ed i vari livelli di lettura possibili, sia quelli pensati dagli autori che quelli forse un pò forzatamente voluti e sovrapposti successivamente, appaiono in gran parte evidenziati senza che nessuno di essi tuttavia sembri prevalere, ad eccezione di quello dell’amore, il che oltre a snellire molto lo svolgimento dello spettacolo, lo libera anche da una certa qual retorica massonica, anche se le zampe del gigantesco insetto che è la perfida Regina della Notte rimandano un po’ ingenuamente agli archi a sesto acuto delle grandi cattedrali gotiche. La serata scorre molto piacevolmente, l’opera risulta allegra, divertente e ben raccontata sia pure con un ritmo alla Ridolini. Vi si assiste con leggerezza e le emozioni restano forse un po’ in superficie ma non si può cercare il dramma a tutti i costi. La novità tecnologica di integrare la recitazione nelle proiezioni è di indubbio interesse e sicuramente conduce verso nuove e più attuali possibilità espressive. Quel che lascia un po’ perplessi in questo tipo di approccio è che sostanzialmente il vero direttore dello spettacolo forse non sia più il direttore d’orchestra, che appare rivestire un ruolo analogo a quello del pianista durante le proiezioni del cinema muto, ma il primo regista che ha pensato e definito una volta per tutte i tempi e i modi delle proiezioni alle quali la musica deve conformarsi. Impossibile immaginare un’esitazione, un ritenuto, una pausa, un respiro in più per un cantante o per un imprevista diversa ispirazione del momento. In estrema sintesi ciò che rende viva la musica e la creatività degli interpreti. Difficile scorgere la “raffinata scenografia sonora” concepita da Mozart per quest’opera, sapientemente descritta da Giovanni Bietti nel suo saggio che fa bella mostra di se nel programma di sala forse pensato per guidare l’ascolto di un altro tipo di spettacolo, in un allestimento nel quale la “scenografia visiva” la fa ostentatamente da padrona, annichilendo le capacità espressive della musica. E in quest’ottica, corretta al metronomo è risultata la direzione di Henrik Nànàsi, con scarsa originalità e qualche genericità nell’orchestrazione. Buone viceversa le prove del coro diretto da Roberto Gabbiani e degli allievo della scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera. Infine tutti su un piano di corretta professionalità gli interpreti vocali di questo Flauto Magico. I migliori sono apparsi il Papageno di Joan Martin-Rojo e il Monostatos di Marcello Nardis, compitamente in bianco stile Nosferatu tanto per ricordare che i massoni non sono razzisti. Stentoreo e monocorde il Tamino di Giulio Pelligra, intensa ma con scarso legato la Pamina di Kiandra Howarth, corretta ma un po’ esangue la Regina della Notte di Olga Pudova, autorevole e dal bel timbro il Sarastro di Antonio di Matteo sia pure con qualche debolezza nel registro grave evidenziata dall’eccessiva sonorità dell’orchestra. Funzionali i ruoli minori e brave le tre Dame, provenienti dal progetto “Fabbrica” del Teatro dell’Opera. Alla fine lunghi e calorosi applausi per tutti da parte di un pubblico probabilmente grato anche per il fatto che un simile allestimento ha notevolmente snellito la fruizione dell’opera. Foto Yasuko Kageyama