Azione teatrale in tre atti su libretto di Ranieri de Calzabigi. Philippe Jaroussky (Orfeo), Amanda Forsythe (Euridice), Emőke Baráth (Amore), Coro della Radiotelevisione svizzera, I Barocchisti, Diego Fasolis (direttore). 1 CD Erato LC02822
La vita musicale dell’Europa del XVIII secolo era ben lontana dal rigore con cui oggi ci avviciniamo alle partiture; era, infatti, un mondo vivo e dinamico con forti connotazioni locali per cui lavori concepiti per una sede potevano e dovevano subire significative variazioni per conquistare il gusto di altre piazze, variazioni volute dagli autori o spesso condotte senza nemmeno consultarli. La storia esecutiva di “Orfeo ed Euridice” in Italia è al riguardo alquanto sintomatica. L’opera, che noi consideriamo il caposaldo della riforma gluckiana da guardare con rispetto e quasi con venerazione, era nella storia esecutiva trattata al tempo con una libertà oggi inimmaginabile. Le prime modifiche significative sono apportate dallo stesso Gluck nel 1769 quando l’opera venne allestita in occasione del matrimonio fra Ferdinando I di Parma e Maria Amelia, arciduchessa d’Austria. Il compositore trascrisse per l’occasione la parte del protagonista per il castrato soprano, Vito Giuseppe Millico, che avrebbe sostituito il più contraltile Gaetano Guadagni, e semplificò la scrittura orchestrale per aiutare i complessi parmensi inferiori di qualità a quelli viennesi. La versione di Parma servirà da punto di partenza per la nuova produzione allestita a Napoli nel 1773 prima per il Teatro di Corte e poi per la stagione di Carnevale del Teatro di San Carlo nel 1774. Dell’adattamento curato da Gluck per Parma restano la trascrizione per voce sopranile del protagonista e le semplificazioni orchestrali ma gli interventi sono ben più radicali. Gran parte delle danze vengono tagliate, la scena delle furie è ampliata e la linea di canto soggetta a variazioni; viene inoltre totalmente riscritto il duetto del III atto tra Orfeo ed Euridice e aggiunta un’aria di taglio patetico e dalla vocalità virtuosistica per quest’ultima. Il duetto porta la firma di Egidio Lasnel, verosimilmente pseudonimo dell’aristocratico e dilettante di musica Diego Naselli, al quale si può verosimilmente attribuire anche l’aria che risulta, però, anonima. I brani sono in sé apprezzabili e riflettono il gusto napoletano del tempo ma, al contempo, con la loro facilità melodica e il loro abbandono virtuosistico, sono quanto di più lontano ci sia dal rigore gluckiano. La scelta di registrare quest’edizione riesce però a non essere banale, dal momento che costituiesce una parola originale nel ricchissimo catalogo discografico di quest’opera e offre, nello stesso tempo, al divo Philippe Jaroussky la possibilità di confrontarsi con il ruolo. A recare in porto l’operazione con la sua perfetta sicurezza stilistica e musicale è Diego Fasolis, uno dei direttori più interessanti dei nostri tempi in questo repertorio. Fasolis sa come far convivere rigore filologico e vita teatrale, sia scegliendo tempi brillanti senza sacrificare, tuttavia, l’intensità espressiva, sia prediligendo colori nitidi senza essere freddo. Se proprio si vuol cercare qualche menda, appare evidente come trovi una lettura più autonoma e personale nei momenti maggiormente teatrali quali la scena delle furie o nei passi più intensi del terzo atto mentre risulti più di maniera nell’incantato stupore dei Campi Elisi. L’orchestra I barocchisti e il coro della Radiotelevisione svizzera hanno con Fasolis una lunga e proficua frequentazione che si trasmette in un’unitaria visione d’intenti che supera i pur innegabili meriti delle compagini. Philippe Jaroussky ottiene tutto quanto si possa da questa versione di Orfeo ma è innegabile che la trasposizione per soprano indebolisca la portata espressiva del ruolo. Già nelle frasi del compianto sulla tomba di Euridice si nota una minor intensità emotiva dovuta alla tessitura, nonostante lo sforzo al riguardo del cantante; nei momenti più drammatici la maggior leggerezza rende, inoltre, inevitabilmente questa versione più debole rispetto all’originale viennese. Di contro Jaroussky è di un’eleganza e di una musicalità rare, la tecnica è ferratissima, il gusto inappuntabile. La scena dell’Elisio o l’abbandono di “Che farò senza Euridice” sono rese in modo incantevole ma la prestazione resta nel complesso a metà del guado pur senza demeriti dell’interprete. Molto buona l’Euridice di Amanda Forsythe; la sua è una voce non personalissima ma corretta ed elegante e sorretta da una buona tecnica di ascendenza belcantista che le permette di risolvere al meglio la grande aria aggiunta del III atto. Il fraseggio è molto curato e l’accento preciso ed espressivo. Nel ruolo di Amore troviamo l’ungherese Emőke Baráth, soprano più lirico che leggero dal timbro morbido e luminoso cui guasta solo un accento un po’ troppo lezioso nell’aria del I atto.
Opera in tre atti su libretto di Ranieri de Calzabigi. Franco Fagioli (Orfeo), Marlin Hartelius (Euridice), Emmanuelle De Negri (Amore), Insula Orchestra, Accentus, Laurence Equilbey (direttore). Registrazione, Parigi Théâtre de Poissy, aprile 2015. 3 CD Archiv 00289 479 5315
Proporre oggi una nuova registrazione di “Orfeo ed Euridice” si presenta come un azzardo: l’opera ha una discografia quasi sterminata e anche le varianti filologiche sono state ormai ampiamente sviscerate. Resta un’opera magnifica e si capisce il desiderio di tutti i grandi interpreti di dare testimonianza duratura alla propria visione, ma dire qualche cosa di originale o veramente interessante è sempre più difficile.
Pur con innegabili qualità, quest’ultima registrazione Archiv cade esattamente in questa categoria e per di più lascia aperte non poche perplessità sui criteri filologici adottati. Viene infatti proposta l’originaria versione viennese del 1762 cui viene aggiunto un terzo CD con i brani ricomposti per l’allestimento parigino del 1774 eseguiti però in traduzione italiana e trasposti per tessitura da contralto: scelte che tolgono gran parte dell’interesse all’operazione, lasciando troppi dubbi su motivazioni puramente economiche legate all’aggiunta di un terzo disco. Registrata dal vivo nel 2015 presso le Théâtre de Poissy, la presente edizione conta sulla formazione Insula Orchestra (affiancata dal coro Accentus), sotto la direzione di Laurence Equilbey; compagine e direttore appaiono perfettamente allineati all’attuale prassi storicamente informata e capaci di belle sonorità di un classicismo terso e luminoso – e non è mai pleonastico rimarcare come la musica di Gluck acquisti un’intensità e una sincerità quando viene eseguita con strumenti e secondo la prassi interpretativa del tempo – ma forse troppo omogeneo nel corso di tutta l’opera. Gli scarti espressivi appaiono come attutiti in un’omogeneità di fondo che tende ad appiattire la ricchezza emotiva della partitura gluckiana. Si ascoltino il lamento iniziale del I atto e la scena delle furie e quanto poco marcate siano le differenze fra i due momenti. Fra tutti i contraltisti che hanno affrontato la parte di Orfeo pochi hanno avuto la pienezza vocale e la sicurezza tecnica di Franco Fagioli. Il cantante argentino mostra anche qui tutte le sue qualità vocali: il timbro pieno e compatto, l’emissione naturale, senza quelle forzature o artificiosità di molti falsettisti, la dizione nitida e scandita, la facilità nel canto di coloratura – si ascoltino al riguardo i passaggi più virtuosistici della versione parigina – ma anche lui sembra adattarsi all’andamento generale rimanendo in superficie del personaggio, cantandolo molto bene, ma senza approfondirne veramente le possibilità espressive. Grande personalità e mezzi vocali più che apprezzabili per l’Euridice di Marlin Hartelius, cui nuoce solo una certa perdita di controllo nel settore acuto; molto musicale e ottimamente cantato l’Amore di Emmanuelle De Negri.