Teatro del Maggio Musicale Fiorentino – Stagione 2018-2019
“IL TROVATORE”
Dramma in quattro parti Libretto di Salvatore Cammarano
Musica di Giuseppe Verdi
Il Conte di Luna MASSIMO CAVALLETTI
Leonora JENNIFER ROWLEY
Azucena OLESYA PETROVA
Manrico PIERO PRETTI
Ferrando GABRIELE SAGONA
Ines ALESSANDRA DELLA CROCE
Ruiz GYUSEOK JO
Un vecchio zingaro NICOLÒ AYROLDI
Un messo LUCA TAMANI
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Fabio Luisi
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Francesco Micheli
Regista collaboratore Paola Rota
Scene Federica Parolini
Costumi Alessio Rosati
Luci Daniele Naldi
Firenze, 19 settembre 2018
Il mese di settembre al Teatro del Maggio è interamente verdiano, dedicato al Verdi più conosciuto e amato. Va in scena la Trilogia popolare in un progetto unitario che impegna Fabio Luisi in veste di direttore e Francesco Micheli come regista. I tre capolavori, dati nell’ordine Il Trovatore – Rigoletto – La Traviata, vengono presentati come tre parti di un unico discorso, come tre tasselli di un’opera maggiore, visivamente come i tre pannelli – il verde, il bianco e il rosso – della bandiera d’Italia. Questa è l’immagine che domina la scena all’inizio di ogni rappresentazione: una bandiera italiana i cui tre colori provengono da schermi fluorescenti montati su strutture mobili; le strutture vengono poi spostate, la bandiera quindi si scompone e ha inizio la recita. L’idea di Giuseppe Verdi come padre della patria e delle sue opere, segnatamente quelle della Trilogia, come elementi costituenti una sorta di DNA culturale e antropologico del popolo italiano sottende l’operazione e motiva le scelte registiche.
La nozione di “popolo”, visto in continuità dal periodo risorgimentale a quello post-unitario, fino al Novecento e oltre, ovvero attraverso l’epoca segnata prima dalla presenza viva di Verdi e poi dalla permanenza dei suoi lavori nella memoria collettiva, è quella che permette di definire “popolare” la trilogia. Si tratta da una parte di una forzatura storiografica, Verdi infatti non aveva concepito alcuna trilogia, ma tre lavori indipendenti, nel continuum della sua produzione; dall’altra la definizione è ormai consolidata e accettata da più di un secolo e la “popolarità” dei tre titoli è inequivocabilmente suffragata dai fatti in tutto il mondo. È un bellissimo progetto, ma anche un’impresa ardua: si trattava di mettere in scena tre opere assolutamente eterogenee per trama, ambientazione, epoca, stile persino, trovando una cifra comune, un filo conduttore, che per di più avesse a che fare con il ruolo di Giuseppe Verdi nei confronti dell’Italia e degli italiani. Infatti, non tutto è svolto chiaramente e non tutti i mezzi sono funzionali allo scopo, però ci sono diverse belle idee, a partire da quella della bandiera che apre le tre opere e attribuisce un colore ad ognuna: Il Trovatore è ovviamente associato al rosso, il rosso del sangue e delle vampe di fuoco mandate in cielo dai roghi. Belle sono le scene di Federica Parolini, illuminate da Alessandro Naldi, ridotte al minimo e costituite quasi solo di luce irradiata da schermi fluorescenti montati su strutture mobili, scheletri di ferro nero percorsi da scale e abitati dai personaggi. I costumi di Alessio Rosati sono di gusto fiabesco, efficaci e originali.
Interessante è anche la caratterizzazione di Azucena, vista come una Madonna di qualche culto sincretico, o una santona, portata in processione su un gigantesco altare disseminato di candele, che diventa un personaggio misterioso e carismatico, anche a spese degli altri, decisamente più pallidi. Meno chiaro è il trattamento di Ferrando, vestito e truccato da Giuseppe Verdi, che sta con un piede dentro e uno fuori dalla storia, per metà capo delle guardie del Conte, per metà demiurgo, intento a illustrare la vicenda manovrando dei pupi, onnisciente ma forse no, preso com’è a lanciare i dadi a scopo divinatorio.
Ciò che non desta alcuna perplessità, anzi funziona alla grande è la parte musicale. Fabio Luisi ha trovato una sintonia con l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino che traspare tanto dalla rilassatezza cordiale del gesto, quanto dal livello dei risultati. Come d’abitudine la scelta dei tempi è sempre molto personale e interessante, la precisione e la bellezza del suono ammirevoli. Sono affascinanti le tinte notturne e il senso di mistero, ma ancor più conquista il fuoco che sprizza nelle cabalette, ottenuto con l’elasticità e l’energia, senza mai ricorrere a stacchi di tempo forsennati o sonorità sguaiate. Sempre ottimale è l’accompagnamento al canto, con momenti di particolare impatto come nel Terzetto che chiude il primo atto, o nell’aria di Azucena “Condotta ell’era in ceppi”, per fare solo pochi esempi. È nel complesso una lettura di grande pulizia ed equilibrio che coniuga lo scavo nella partitura con l’ossequio alla tradizione, nel concedere lo sfogo canoro delle puntature aggiunte, ma anche in certi tagli, come quello assolutamente canonico, ma non troppo bello, del duetto Manrico-Azucena “Perigliarti ancor languente-Un momento può involarmi”. Del pari ottima è la prestazione del Coro diretto da Lorenzo Fratini. L’evidenza scenica del personaggio di Azucena corrisponde allo spicco vocale dell’interprete; la voce più sontuosa, ampia e vellutata è quella di Olesya Petrova, sempre intonatissima, precisa e a suo completo agio in tutta l’estensione della parte, nel pianissimo come nel fortissimo.
Appagante è anche la prestazione di Piero Pretti, che non è dotato di una pasta vocale particolarmente ricca, ma canta bene, porta in scena un Manrico opportunamente lirico, capace di un “Ah sì ben mio” vario nei colori e nelle dinamiche, preceduto da un recitativo eloquente, per nulla inficiato dall’alta tessitura. La “Pira”, con la complicità del direttore, è incandescente anche senza da capo; se le notine non sono sgranatissime, l’accento e l’impeto sono quelli giusti. I do non lasciano a desiderare, breve ma incisivo il primo, su “O teco”, più lungo e spettacolare l’”All’armi”; non è una nota che fa fischiare le orecchie, come si racconta dei mitici do di Lauri-Volpi, ma è un suono squillante che buca l’orchestra e corre per la sala comme il faut. Interessante è pure la Leonora di Jennifer Rowley; probabilmente non si tratta del “suo” ruolo, se l’interprete e la vocalista emergono in piena evidenza solo nell’ultimo atto con un’aria e una cabaletta ottimamente cantate, intessute di sonorità aeree con impalpabili mezzevoci e una salita facilissima ad acuti e sopracuti; nondimeno la correttezza musicale e la buona emissione la fanno apprezzare durante tutto il corso dell’opera. Massimo Cavalletti nei panni del Conte di Luna avrebbe il colore e lo spessore vocale ideali, infatti è spesso convincente, sempre elegante e morbido, ma sembra a tratti affetto da una sorta di timidezza che, nei momenti più concitati e all’appressarsi alla zona acuta, fa impallidire il suono. “Il balen del suo sorriso” è un’ottima realizzazione, accorata e nobile, la seguente cabaletta scarseggia di mordente così come l’esplosione “Ho le furie nel cor” che purtroppo affonda nel suono orchestrale. Buono vocalmente e molto efficace scenicamente è il Ferrando di Gabriele Sagona, dotato di una voce di medio peso e di bel timbro. Alessandra Della Croce è adeguata nella parte di Ines, come soddisfacenti sono tutti gli altri ruoli minori, specie il Ruiz morbido e sonoro di Gyuseok Jo. Il pubblico applaude tutti con entusiasmo; Fabio Luisi sta decisamente conquistando l’affetto e la stima degli appassionati fiorentini. Foto Pietro Paolini-TerraProject-Contrasto.