Autentico capolavoro del Novecento, purtroppo non molto eseguito né nella forma operistica né in quella oratoriale, Oedipus rex è un’opera-oratorio, composta da Igor Stravinkij tra il 1926 e il 1927, su un libretto in francese di Jean Cocteau, tradotto in latino dall’Abbé Jean Daniélou, nel quale la parola in un latino di forte impatto arcaizzante sembra quasi gelata. Rappresentato per la prima volta, in forma oratoriale, al Théâtre Sarah Bernhardt a Parigi il 30 maggio 1927, e in forma operistica alla Staatsoper di Vienna il 23 febbraio 1928, Oedipus rex è un lavoro scritto per voce recitante, solisti, coro e orchestra che si ispira all’omonima tragedia di Sofocle nella quale Edipo, ormai re di Tebe, scopre gli orrendi delitti da lui inconsapevolmente commessi: l’omicidio del padre Laio e l’incesto con la madre Giocasta. Musicalmente quest’opera-oratorio è dominata dal tema del destino che nella forma di un intervallo di terza minore incede inesorabile senza lasciare possibilità di scampo a Edipo interamente schiacciato.da esso.
Registrata nel 1975 con un cast formato da Tom Krause (Creonte), Tatiana Troyanos (Giocasta), David Evitts (Messaggero), René Kollo (Oedipus), Frank Hoffmeister (Pastore) ed Ezio Flagello (Tiresia), l’edizione dell’Oedipus rex, che vede Leonard Bernstein sul podio della Boston Symphony Orchestra, si impone per una concertazione particolarmente curata. Il carattere sinfonico-corale con episodi solistici (le arie dei personaggi) certamente si adatta alle qualità di direttore di musica sinfonica di Bernstein. La sua concertazione si segnala, infatti, per la corretta scelta dei tempi che segue le minuziose indicazioni inserite da Stravinskij in questa partitura che comunque lascia pochi spazi ad interpretazioni originali. Particolarmente incisivo appare il tema del destino, ben scandito da arpa, pianoforte e timpani tanto da dare l’impressione del suo carattere inesorabile. In generale Bernstein riesce a trovare delle belle sonorità e soprattutto a distinguere in modo netto i timbri dei diversi strumenti. Curati sono anche i cori che costituiscono una parte essenziale della partitura del compositore russo, come l’accompagnamento delle voci nelle arie, dove appaiono trattate quasi alle stregua di strumenti dell’orchestra. Desta qualche perplessità in un’incisione la scelta dell’inglese al posto dell’originario francese. Nel cast, complessivamente valido, spiccano le voci e le doti espressive di René Kollo e Tatiana Troyanos.
Al 1978 risale l’incisione del Fidelio, unica opera di Beethoven che si ispirò al resoconto di una vicenda realmente accaduta nella Turenna francese durante la Rivoluzione sfociata nel Terrore. La narrazione, contenuta nel manoscritto Léonore ou l’amour conjugal (Leonora ossia l’amor coniugale) e anche nei Mémoires di Jean-Nicolas Bouilly, che aveva svolto la funzione di pubblico accusatore nel tribunale rivoluzionario di Tours e aveva scritto il libretto di Léonore, ou l’amour conjugal musicato nel 1798 da Pierre Gaveaux, suscitò, infatti, l’interesse di Beethoven. Composta su libretto di Joseph Sonnleithner, il quale traspose l’ambientazione dalla Francia alla Spagna, ma mantenne inalterato il contenuto della vicenda e, soprattutto, il riferimento alla lotta dei protagonisti per il trionfo di valori irrinunciabili come la libertà e la giustizia, particolarmente cari al compositore di Bonn, l’opera fu rappresentata per la prima volta il 20 novembre 1805 al Theater an der Wien non incontrando subito i favori del pubblico, probabilmente per la sua eccessiva lunghezza per cui Beethoven si vide costretto a ritirarla. Risultato altrettanto negativo ebbe la rappresentazione dell’anno successivo, 29 marzo 1806, al Theater an der Wien, sebbene l’opera, sempre con il titolo Leonore (Leonore o il trionfo dell’amor coniugale), fosse stata ridotta da tre a due atti e il libretto fosse stato revisionato e migliorato. Per quest’opera Beethoven compose quattro ouverture, l’ultima delle quali, oggi eseguita all’inizio seguendo la volontà del compositore, è, a differenza delle tre precedenti, l’unica che non presenta alcun riferimento tematico all’opera, della quale esistono tre versioni tutte introdotte da brani sinfonici tra loro diversi. Delle tre precedenti, però, la terza, nota con il titolo Leonora n. 3, che per la sua bellezza ha trovato una collocazione stabile nel repertorio sinfonico, è stata, nella prassi esecutiva, reintegrata nell’atto secondo dell’opera prima dell’ultimo quadro. Autentico cavallo di battaglia di Bernstein, in genere particolarmente versato nell’interpretazione dei lavori sinfonici di Beethoven, quest’ouverture è stata mantenuta anche in questa incisione dell’opera che si segnala per una concertazione attenta alle dinamiche e alle sonorità orchestrali, nonostante il direttore statunitense tenda, nella sua lettura, a marcare i contrasti dinamici e ritmici. Ciò è evidente sin dall’incipit dell’ouverture con le prime impetuose quattro battute dell’Allegro, realizzato da Bernstein come se fosse con fuoco, a cui si contrappone lo scuro episodio dei corni (Adagio). Rispetto alle incisioni di altre opere appartenenti al repertorio del primo Ottoceno che hanno destato qualche perplessità, questa del Fidelio appare di ottimo livello, dal momento che il direttore trova anche dei tempi adeguati e delle sonorità orchestrali che non disturbano mai i cantanti con le cui voci riesce ad integrare bene gli strumenti nelle parti in controcanto, come avviene per esempio, nell’aria di Marzelline O wär ich schon mit dir dove a un certo punto i legni sembrano quasi dialogare con la voce. Tra le pagine più belle di quest’incisione si segnalano i brani sinfonici, dalla già citata ouverture iniziale e dalla Marcia del primo atto, fino alla Leonora n. 3 attaccata subito, quasi senza soluzione di continuità con il finale del primo quadro, dove riesce a ricreare una bella atmosfera soprattutto nell’Adagio introduttivo che trae il suo materiale musicale dalla scena iniziale dell’atto secondo in cui Florestan è languente nel carcere. Qui Bernstein attraverso quell’esaltazione dei contrasti dinamici (staccati secchi contrapposti ai legati) e di tempi (particolarmente sostenuti nell’Adagio, brillanti nell’Allegro e travolgenti nel Presto conclusivo), riesce a rappresentare in modo efficace la sintesi dell’opera che dal dramma passa all’apoteosi finale. Oltre alle pagine sinfoniche vanno segnalati anche il quartetto del primo atto Mir ist so wunderbar, la scena iniziale dell’atto secondo, dove il direttore riesce a creare un’atmosfera altamente drammatica, e il trionfale Finale. Già al suo apparire questa edizione destò delle perplessità, soprattutto per la scelta di Gundula Janowitz come Leonore. Anche oggi non si può non lodarne le capacità espressive su una vocalità troppo fragile per il ruolo. Accento adeguato e forza interpretativa caratterizano il Florestan di René Kollo, nonostante non si possa non tacerne la stanchezza vocale. Ottima prova per Hans Sotin (Don Pizarro), Lucia Popp (Marzelline), Adolf Dallapozza (Jaquino). Limiti espressivi e vocali per il Rocco di Manfred Jungwirth.