Como, Teatro Sociale, Stagione d’Opera 2018-2019
“IL VIAGGIO A REIMS o sia L’Albergo del Giglio d’Oro”
Dramma giocoso in un atto, su libretto di Luigi Balocchi.
Musica di Gioachino Rossini
Corinna MARIA LAURA IACOBELLIS
La Marchesa Melibea IRENE MOLINARI
La Contessa di Folleville PAOLA LEOCI
Madama Cortese MARIGONA QERKEZI
Il Cavaliere Belfiore MATTEO ROMA
Il Conte di Libenskof RUZIL GATIN
Lord Sidney ANDREA PATUCELLI
Don Profondo VINCENZO NIZZARDO
Il Barone di Trombonok GIUSEPPE ESPOSITO
Don Alvaro GUIDO DAZZINI
Don Prudenzio MASSIMILIANO MANDOZZI
Don Luigino NICO FRANCHINI
Delia FRANCESCA BENITEZ
Maddalena FRANCESCA DI SAURO
Modestina ELENA CACCAMO
Zefirino/ Gelsomino ERMES NIZZARDO
Antonio LUCA VIANELLO
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Coro OperaLombardia
Direttore Michele Spotti
Maestri del Coro Massimo Fiocchi Malaspina, Enzo Spinoccia
Regia e Luci Michał Znaniecki
Scene Luigi Scoglio
Costumi Anna Zwiefka
Movimenti coreografici Damián Malvacio
Nuovo allestimento dei Teatri di OperaLombardia
Como, 29 settembre 2018
Quando Rossini e il suo librettista Balocchi composero per l’incoronazione di Carlo X di Francia “Il viaggio a Reims“, probabilmente senza saperlo, inventarono il post moderno: quest’opera, simbolo della renaissance rossiniana degli anni Ottanta (nell’indimenticabile versione diretta da Abbado, con la regia di Ronconi, e un cast super stellare tra cui spiccavano Cecilia Gasdia, Lucia Valentini Terrani, Samuel Ramey e Katia Ricciarelli), presenta in ogni sua parte, sia testuale che musicale, una sostanziale compiutezza, che contribuisce a dare l’idea del pastiche di lusso, di un’autoralità strabordante, che supera anche i canoni della narrazione per come la si conosceva. Per queste ragioni stupisce che un teatro di tradizione come il Sociale di Como abbia deciso di inaugurare la sua stagione, con questo titolo; stupore certamente rimarcato dall’impianto scenico che la regia di Michał Znaniecki ha proposto al pubblico comasco: non solamente un’ambientazione contemporanea, ma profondamente radicata nel nostro tempo e, da un punto di vista attoriale, impegnativa anche per i cantanti, cui (finalmente!) viene costantemente chiesta una presenza caratterizzata in scena. I molti cambi di ambientazione, costumi, luci, oltreché personaggi, trascinano lo spettatore in una vera gincana di puro godimento teatrale, talvolta toccando anche le vene del comico, più spesso muovendosi con maestria tra i cliché della leggerezza e del sentimentale; in questo senso paiono validissimi gli apporti dello scenografo Luigi Scoglio e della costumista Anna Zwiefka, ma più di tutto rapisce l’occhio e crea nuovi significati il bellissimo light design curato dallo sesso regista, rutilante, incessante e sempre volto all’implementazione dell’azione scenica. L’aspetto musicale non può certo dirsi da meno di questa azzeccata messa in scena: il maestro Michele Spotti dirige con sapienza l’orchestra, tenendo un ritmo serrato, riuscendo quasi sempre a mantenere una naturale coesione tra solisti e cavea, sottolineando i molti colori e aspetti drammaturgici della partitura (cui anche Rossini era molto legato, e che infatti molto saccheggiò per completare altre sue opere). Si rimane meravigliati, anche dalla sostanziale giovinezza di questo cast, a partire dal già citato direttore venticinquenne, e continuando con la maggior parte dei solisti: tra di essi spiccano senz’altro Maria Laura Iacobellis, Paola Leoci, Ruzil Gatin e Vincenzo Nizzardo. La prima – già considerata da qualcuno come nuova nuova star del canto rossiniano – fornisce una prova notevolissima con la sua Corinna, affascinando soprattutto grazie a un timbro caldo e lirico, controllato, e una grande attenzione all’espressione emotiva (di incredibile grazia appare soprattutto la sua cavatina “Arpa genitl”, che la regia sottolinea nascondendola, facendola cantare in silhouette in un suggestivo gioco di ombre); la Leoci, invece, diverte con la sua Contessa, ma anche con il suo bel timbro leggero, dai picchiettati precisi e dalla fluida agilità (soprattutto nella Scena VI “Che miro? Ah! Qual sorpresa!”); il Conte del trentunenne russo Ruzil Gatin colpisce per il timbro luminoso e per la precisione d’esecuzione; infine, Vincenzo Nizzardo, pur passando quasi inosservato nella prima apparizione del suo Don Profondo, scatena le sue doti di giovane baritono nella celebre “lista” della Scena XVI (“Io! Medaglie incomparabili”), mostrando piena padronanza vocale e una certa agilità, sorprendente per un buffo, ma soprattutto un appeal scenico senza pari in questa produzione – giustamente ricambiato dal calore del pubblico. Com’è naturale, non tutti i numerosi cantanti del nutritissimo cast regalano performance tanto felici: Marigona Qerkezi (Madama Cortese), convince nel registro acuto, piuttosto fragile invece nei centri – comunque sfoggia naturalezza e talento anche come flautista, nel celebre assolo dell’Aria di Milord; Matteo Roma e Guido Dazzini (il Cavaliere e Don Alvaro) danno bella mostra delle loro capacità sceniche, ma vocalmente mostrano qualche fragilità nell’emissione, talvolta anche incertezza nell’intonazione. Di spicco invece Irene Molinari, una convincente Marchesa Melibea, dai centri sostanziosi e dalla ricca gamma espressiva, e Andrea Patucelli, un Lord Sidney efficace scenicamente e vocalmente grazie a un notevole corpo vocale e una valida gestione del canto d’agilità; piacevole e divertente anche la caratterizzazione che Giuseppe Esposito dà al Barone, e sia nel finale che nei concertati dimostra di non essere da meno dei suoi colleghi. Proprio i concertati e le parti corali sono due dei punti critici – e, contemporaneamente, dei punti forti – di quest’opera: il Maestro Spotti e i Maestri del Coro Massimo Fiocchi Malaspina ed Enzo Spinoccia se la cavano egregiamente, contribuendo alla grande scorrevolezza musicale di queste parti – il riferimento è soprattutto al famoso concertato a tredici (poi quattordici, con l’aggiunta di Madama Cortese) voci, delle scene XIX e XX (“Ah! A tal colpo inaspettato… Signori ecco una lettera”), la cui prima parte, a cappella, non perde in ritmo né in omogeneità. Il coro dal canto suo si assesta consapevolmente in scena – forse merito anche del numero non esorbitante di artisti che vi partecipano – e regala belle emozioni e momenti di trascinante musicalità. Infine, un plauso particolare all’arpista Elena Zuccotti, vero doppio musicale di Corinna, che, sia da libretto, sia da originale letterario (“Corinna o l’Italia” grazioso romanzetto di Madame de Staël), dovrebbe incarnare ella stessa la poesia lirica, geist del nostro Belpaese: la precisione e il buon concerto con la Iacobellis fanno della strumentista un vero, diciannovesimo, personaggio de “Il viaggio a Reims”. Foto Alessia Santambrogio