Opera in tre atti su libretto di Francesco Maria Piace da Victor Hugo. Dmitri Hvorostovsky (Rigoletto), Francesco Demuro (Il Duca di Mantova), Nadine Sierra (Gilda), Andrea Mastroni (Sparafucile), Oksana Volkova (Maddalena), Kostas Smoriginas (Il Conte di Monterone), Egle Sidalauskaite (Giovanna), Andrius Asperga (Marullo), Tomas Pavilionis (Matteo Borsa). Kaunas State Choir, Kaunas City Symphony Orchestra, Constantin Orbelian (Direttore). Registrazione: Kaunas, 1-6 luglio 2016 2 CD DELOS DE3522
Esprimere lucidamente un parere su quest’incisione di “Rigoletto” è molto difficile. Essendo l’ultima registrazione integrale di Dmitri Hvorostovsky, è quasi impossibile non leggerla alla luce della commozione per la prematura scomparsa del baritono siberiano. L’ascolto purtroppo testimonia come Hvorostovsky avrebbe meritato un testamento musicale più degno delle sue qualità mentre la presente proposta presta il fianco a notevoli perplessità. I maggiori problemi vengono dalla direzione di Costantine Orbelian che solitamente mostra di essere un direttore di solido mestiere se non di particolare ispirazione e che spesso ha collaborato con Hvorostovsky ma qui fornisce una prestazione deficitaria sotto ogni aspetto. Forse mai si è sentito un “Rigoletto” tanto fiacco, stanco, poco espressivo. Senza brio la festa del I atto, senza forza romantica la tempesta del III, puramente superficiali i momenti più commossi e con più punti in cui si riscontrano problemi di raccordo fra le varie sezioni dell’orchestra.
Ed è un vero peccato perché quello di Hvorostovsky è un Rigoletto non inappuntabile sul piano vocale ma sicuramente di grande interesse. Hvorostovsky è sempre stato cantante dalla vocalità più lirica che drammatica; il suo repertorio d’elezione si è incarnato nei grandi ruoli di baritono nobile del repertorio russo – da Eleckij ad Andrej Bolkonskij – che nel repertorio verdiano trovava piena realizzazione nel Marchese di Posa. Negli anni ha però affrontato sempre più spesso – in virtù più del temperamento che della vocalità – anche ruoli di baritono drammatico verdiano e quest’incisione è per molti aspetti paradigmatica del suo approccio al riguardo. Negli squarci più lirici ritroviamo la splendida voce che gli conosciamo, altrove la linea di canto è quasi travolta dalle necessità drammatiche. Le frasi della festa sono aspre, gutturali, cariche di livore; il “Pari siamo” declamato in modo feroce e sofferto e a partire dal II atto si riscontra un’evoluzione che lo porta alla disperata umanità del conclusivo duetto con Gilda. Certo la pronuncia non è sempre perfetta, il gusto a volte troppo carico, il settore acuto fin troppo viziato da un’emissione spesso di gola ma il personaggio è di innegabile forza anche nelle sue rozzezze dove, come i prigioni di Michelangelo, sembra lottare per svincolarsi dalla materia che lo tiene prigioniero.
Purtroppo intorno a Hvorostovsky quasi nessuno si pone ai suoi livelli. Francesco Demuro è un Duca di Mantova dalla voce naturalmente splendida, di quella schiettezza tenorile che solo certe voci italiane riescono ad avere ma la sua indole è sostanzialmente lirica ed emerge principalmente nel duetto con Gilda e nel “Parmi veder le lacrime” mentre latitano sia la frivola leggerezza della festa iniziale sia la dimensione predatoria del III atto. Un Duca musicale ed educatissimo ma di personalità un po’ carente che nel vivo di una recita teatrale può sicuramente conquistare ma che in disco soffre la presenza di troppo pesanti confronti.
Discorso analogo e forse ancor più marcato per la Gilda di Nadine Sierra, bella voce luminosa e angelicata, con suggestive bruniture nel registro medio, ottima tecnica, linea di canto inappuntabile – a parte l’inascoltabile “Vo per la sua gittar la mia vita” risolto in un urlo privo di qualunque senso musicale – scevra di inutili bamboleggiamenti ma sostanzialmente sempre troppo uguale, incapace di staccarsi dall’ingenua purezza del I e seguire lo sviluppo emotivo del personaggio. Gilda di tutte le eroine verdiane è forse la più difficile da rendere essendo il suo travaglio totalmente intimo e introspettivo e in questo la Sierra neppure ci prova; si senta il duetto conclusivo dove nulla nella sua sfera espressiva sembra cambiato rispetto al I atto in un confronto ancor più stridente con l’intensità emotiva di Hvorostovsky.
Notevole lo Sparafucile di Andrea Mastroni che sfoggia un accento autorevole e una voce da autentico basso, cupa e profonda come i gorghi del Mincio. Bel materiale vocale – mezzosoprano scuro, quasi contraltile – la Maddalena di Oksana Volkova ma gusto datato e spesso troppo pesante; da risentire in altro contesto e con diversa sensibilità direttoriale. Voce importante ma canto spesso difficoltoso, il Monterone di Kostas Smoriginas e sostanzialmente anonime le parti di fianco. Funzionali i complessi dell’Opera di Kaunas che aveva però convinto maggiormente in altre occasioni.