Georg Friedrich Händel:”Joshua” (1748)

Oratorio in tre atti su libretto di Thomas Morell. Kenneth Tarver (Joshua), Tobias Berndt (Caleb), Anna Dennis (Achsha), Renata Pokupic (Othaniel), Joachim Duske (L’angelo). NDR Chor, Robert Blank (maestro del coro), Festpiel Orchester Göttingen, Laurence Cummings (direttore). Registrazione: Göttingen International Handel Festival, 29 maggio 2014. 2 CD Accent 26403.

Joshua” non è il più noto degli oratori di Händel ma è titolo non spregevole e ulteriore testimonianza della maestria organizzativa del vecchio maestro anche quando più che di nuove musiche si tratta di brani precedenti riadattati per l’occasione. Siamo nell’estate del 1747, le forze protestanti hanno definitivamente sbaragliato le pretese del partito cattolico al trono britannico e Händel è chiamato a celebrare l’evento con una nuova composizione di carattere militaresco e trionfale. A fornire il libretto è il fidato Thomas Morell  che rielabora la storia biblica di Giosué, dell’assedio di Gerico e della conquista della terra di Canaan cui aggiunge l’idillio sentimentale – totalmente inventato e di sapore tutto operistico – fra il giovane guerriero Othniel e Achsah, figlia del vecchio e valoroso Caleb. Sul testo Handel lavora con celerità; l’intera composizione è portata a termine in circa un mese fra il luglio e l’agosto del 1747 anche se la prima avverrà solo il 9 marzo del 1748 in occasione dell’apertura della stagione oratoriale del Covent Garden.
Anche considerando i rapidi tempi di scrittura Händel ricorre al recupero di molta musica precedente, tratta soprattutto da melodrammi del periodo romano ma i brani compaiono rielaborati e pienamente inseriti nella nuova maniera del compositore pur continuando a tradire l’evidente origine teatrale. L’oratorio è fra i più concentrati di Händel fin dalla brevissima introduzione orchestrale; il passo è serrato, molto teatrale, i recitativi ridotti all’essenziale. Il tono della musica è spesso marziale con ampio uso di percussioni e fiati ma non mancano ripiegamenti elegiaci e arcadici; l’orchestrazione è raffinatissima e mostra in pieno la qualità raggiunta dal compositore nella sua piena maturità così come magistrale e il trattamento del coro.
Registrata dal vivo –  con suono semplicemente perfetto – il 29 maggio 2014 in occasione dell’Händel Festival di Göttingen questa produzione si segnala innanzi tutto per l’altissima qualità delle masse orchestrali e corali. Laurence Cummings ha fatto della diffusione di quest’oratorio una sorta di missione personale. La sua è una lettura nitida e tesissima, dall’implacabile passo teatrale e centrata sull’esaltazione degli aspetti interpretativi.  Il direttore può agevolmente realizzare le sue intenzioni disponendo di uno strumento della qualità della Festpiel Orchester Göttingen che fornisce una prova superlativa. Sonorità pulite, nitide, luminosissime, intonazione perfetta, abbagliante chiarezza di dettaglio. Non un solo settore appare sotto tono e le parti soliste si dimostrano autentici virtuosi. Pari alla prova dell’orchestra  èquella del coro NDR Chor diretto da Robert Blank. Händel affida al coro alcune delle pagine più ispirate della composizione – fra cui quel “See the Conq’ring Hero Comes” che, accolto con trionfale successo, troverà la sua definitiva collocazione nel “Judas Maccabaeus” ed è quasi impossibile immaginarle eseguite meglio dal momento che non solo il canto è ricco e pieno, come raramente si ascolta specie in questi repertori, ma ha un’intensità espressiva semplicemente esemplare.
Di fronte allo splendore di fondo i solisti tendono ad apparire ridimensionati nonostante le prove nell’insieme decisamente valide. Spicca la coppia dei protagonisti maschili. Kenneth Tarver, già apprezzato come tenore mozartiano, è uno Joshua di bel timbro, compatto e omogeneo in tutta la gamma e sicurissimo nei rapidi passaggi di coloratura che la parte richiede; l’interprete coglie perfettamente il taglio eroico del personaggio – che emerge nelle arie con coro che lo caratterizzano in tutta l’opera – senza però sacrificare anche la dimensione più umana e lirica. Tobias Berndt non solo sfoggia una splendida voce da autentico basso-baritono scuro ma l’apprendistato con Fischer-Dieskau e Quasthoff si rivela nella capacità di cantare la parola e i suoi valori espressivi in modo ottimale.
Anna Dennis con la sua bella voce di soprano prettamente lirico si adatta alla perfezione al taglio patetico e sentimentale di Achsah ma mostra anche buone doti nel canto di coloratura quando nel III atto la gioia della fanciulla può esplodere per il ritorno dell’amato (“Oh, had I Jubal’s lyre”). Renata Pokupic (Othaniel) canta con correttezza ma la voce è fin troppo leggera – più un soprano corto che un vero mezzosoprano così che nei bellissimi duetti con Achsah si attenua il gioco delle differenze timbriche fra le due voci – dal timbro anonimo e dal fraseggio poco incisivo. Decisamente sgraziato e poco piacevole l’Angelo di Joachim Duske la cui presenza si riduce fortunatamente a poche frasi di recitativo.