Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2017-2018
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Antonello Manacorda
Richard Wagner: Siegfried-Idyll WWV 103 per piccola orchestra
Franz Schubert: Sinfonia n. 2 in si bemolle maggiore D 125
Edward Elgar: Variations on an Original Theme (Enigma) op. 36
Venezia, 9 giugno 2018
Volge ormai al termine la Stagione Sinfonica 2017-2018 del Teatro La Fenice. sempre all’insegna dell’alto livello artistico e del successo di pubblico. Il terzultimo concerto aveva in programma tre titoli, di cui quelli estremi – Siegfried-Idyll di Wagner e Variations on an Original Theme (Enigma) di Elgar – segnati da una forte connotazione autobiografica, mentre il secondo – Sinfonia n. 2 in si bemolle maggiore di Schubert – si inquadrava nella tematica trasversale di questa rassegna, rappresentando un’ulteriore tappa dell’itinerario, volto ad indagare L’eredità di Schubert, quanto alla sua produzione sinfonica.
Sul podio dell’orchestra era uno dei direttori più affermati del momento a livello internazionale, già ospite del teatro veneziano, con cui ha da tempo un rapporto di fitta collaborazione: basti ricordare la sua direzione, in anni recenti, della Trilogia dapontiana e della Zauberflöte di Mozart. Artista raffinato e sensibile, Manacorda ha dimostrato la sua estrema versatilità, la sua capacità di adeguare totalmente il gesto direttoriale, la tavolozza orchestrale, la dimensione espressiva alle caratteristiche dei singoli pezzi, al loro significato più profondo, inteso come unione inscindibile di forma e sostanza. Così nel Siegrfried-Idyll – concepito da Wagner per soli quindici strumentisti come regalo per il tretatreesimo compleanno della moglie Cosima, che cadeva il giorno di Natale del 1870, e insieme manifestazione di tenerezza per il loro figlioletto Siegfried, venuto dopo Isolde ed Eva – il maestro torinese ha ben evidenziato il carattere intimo, affettivo-familiare del brano, in cui i materiali musicali, pur desunti in buona parte dalla seconda giornata della Tetralogia, perdono ogni valenza eroica. Ottima, nel complesso, la prova dell’orchestra che – di fronte a una composizione, che alterna squarci cameristici dal tenue lirismo ad accensioni emotive e dove la dinamica conosce passaggi di estrema rarefazione sonora, fino a sfiorare il silenzio – ha dimostrato, tranne qualche marginale incertezza, sensibilità e rigore stilistico.
Una lettura decisamente personale ci è sembrata quella proposta per la Seconda sinfonia di Schubert. Le prime sinfonie, composte dal musicista austriaco durante il periodo di studio con Salieri, nacquero indubbiamente sotto l’influenza di Mozart e Haydn, ma in particolare nella Seconda, l’omaggio verso i venerati maestri del classicismo viennese si coniuga alla ricerca di nuovi mezzi espressivi – ravvisabile in una certa libertà a livello formale come nell’impeto che anima alcune pagine –, che non può non far pensare a Beethoven. Ed è soprattutto l’impronta beethoveniana, che è emersa dalla lettura di Manacorda, anche laddove poteva far capolino la grazia settecentesca, come in particolare nei due movimenti centrali. In ogni caso l’interpretazione offerta dal giovane direttore – sorretto da un’orchestra, a dir poco, ineccepibile – ha entusiasmato il pubblico per la sontuosità del suono, la prorompente energia, il gusto dei contrasti, la seducente comunicativa.
Analoga seduzione ha esercitato l’esecuzione delle Enigma Variations di Elgar, che poco più d’un secolo fa rivelarono il talento del musicista inglese nel caratterizzare – dal punto di vista strumentale, ritmico, dinamico e quant’altro – ognuna delle quattordici variazioni sull’enigmatico tema originale, che ha la languida mestizia di certe pagine di Purcell. Con straordinaria efficacia, il gesto direttoriale ha sottolineato ogni più tenue sfumatura come ogni più dirompente contrasto – sempre assecondato da una compagine orchestrale sensibile, precisa, scattante –, a rendere il fascino straordinario di tali variazioni – altrettanti ritratti in musica della moglie, degli amici e di se stesso, come testimonia il nome o la sigla indicante ogni movimento, tranne uno –, che si basano su un rapporto col tema originale spesso di natura più che altro emotiva, irrazionale, nascendo da libere associazioni tra certi parametri musicali e il carattere di questa o quella persona descritta. Il concerto – soprattutto in riferimento alla composizione di Elgar, tanto amata dal compianto direttore inglese – era anche un omaggio a Sir Jeffrey Tate. Più che doverosa, quindi, la riproposizione, come bis, della IXa variazione (Nimrod), dedicata ad August Johannes Jaeger, un amico tra i più cari di Elgar, particolarmente toccante nel suo delicato ma intenso lirismo: “Ho trascurato i tuoi modi esteriori e ho visto soltanto l’anima buona, amabile, onesta che è in te”, dichiarò all’amico stesso l’autore. Un modo, per tutti i presenti, di ricordare il nobile spirito di Tate.