Il 16 giugno, all’età di 87 anni, è venuto a mancare Gennadi Rozhdestvensky, uno dei più grandi direttori della scuola russa. Nato a Mosca nel 1931 dal direttore e pedagogo Nikolai Anosov e dal soprano Natalya Petrovna Rozhdestvenskaya, dopo essersi diplomato in pianoforte e direzione d’orchestra, esordì a 20 anni al Teatro Bol’šoj, del quale fu direttore stabile nel decennio compreso tra il 1965 e il 1975. Fu un grande interprete della tradizione russa e in particolar modo di Čajkovskij, Prokof‘ev e Šostakovič. Per ricordarlo proponiamo le sue esecuzioni delle sinfonie di Čajkovskij, corredate da guide all’ascolto.
Pëtr Il’ič Čajkovskij (Votkisnk, Urali, 1840 – Pietroburgo 1893)
Sinfonia n. 1 (“Sogni d’inverno”) in sol minore op. 13
Sogni di un viaggio d’inverno (Allegro tranquillo)
Terra di desolazione, terra di nebbie (Adagio cantabile ma non tanto)
Scherzo (Allegro scherzando giocoso)
Finale (Andante lugubre, Allegro moderato)
Durata: 34’ca
Fresco di diploma in composizione conseguito ad appena 25 anni presso il Conservatorio di Pietroburgo e vantando qualche piccolo successo tra cui quello ottenuto con l’esecuzione dell’Ouverture in fa il 9 dicembre 1865, Čajkovskij accettò l’incarico di docente di teoria musicale nel Conservatorio di Mosca appena fondato e diretto da Nikolaj Rubinštejn, fratello di Anton che era stato suo insegnante di composizione. Giunto a Mosca il 18 gennaio 1866, Čajkovskij, esaurito e depresso e, soprattutto, sentendosi solo in questa sua nuova esperienza, scrisse qualche giorno dopo il suo arrivo ai suoi due fratelli Anatolij e Modest:
“Comincio ad abituarmi a Mosca anche se la solitudine mi rattrista… Il mio stato di depressione migliora, ma Mosca è ancora una città estranea e lo resterà certo a lungo prima che io possa anche solo pensare senza terrore a star qui a lungo”.
Nonostante la grave depressione che aveva messo a dura prova i suoi nervi, Čajkovskij, che a Mosca aveva preso alloggio in una stanza dell’appartamento di Nikolaj Rubinštejn, si dedicò con impegno alla composizione rielaborando, nel mese di febbraio, la sua Ouverture in fa maggiore che fu eseguita con successo il 16 marzo, e iniziando la stesura della sua Prima sinfonia in sol minore. Per la prima volta il giovane compositore russo si accostava ad una forma complessa e di largo respiro come quella sinfonica e l’impegno da lui profuso nella composizione di questa sua Prima Sinfonia minò gravemente la sua salute nervosa. Insonnia e ansia furono le manifestazioni del disagio interiore del compositore ossessionato anche dalla paura di non riuscire a completare questo suo primo lavoro sinfonico. Con l’arrivo della bella stagione e di un importante successo ottenuto con l’esecuzione a Pietroburgo dell’Ouverture in fa maggiore sotto la direzione di Anton Rubinštejn, la salute di Čajkovskij sembrò migliorare, tanto che il compositore il 19 giugno incominciò l’orchestrazione della sinfonia. Non riuscì, però, a completarla durante le vacanze trascorse insieme al fratello Modest nei pressi di Pietroburgo in una dacia dei Davydov, la famiglia del marito dell’amata sorella Saša. La composizione di questa Sinfonia costituì un vero e proprio tormento per Čajkovskij che, nell’affrontare un genere compositivo fortemente radicato nella tradizione, era diviso tra il rispetto delle regole di questa forma musicale e la sua naturale tendenza a infrangerle. Più volte lo stesso Čajkovskij dichiarò, infatti, di mal sopportare le forme perfette che avrebbe seguito soltanto in linea generale, concedendosi qualche libertà nei dettagli. Queste libertà furono forse la causa delle pesanti critiche mosse alla Sinfonia da Nikolaj Zaremba, docente di teoria musicale al Conservatorio di Pietroburgo, e da Anton Rubinštejn, all’esame dei quali il compositore la sottopose mentre si trovava di passaggio nella capitale della Russia zarista. Questo parere negativo scoraggiò forse Čajkovskij che, una volta ritornato a Mosca, decise di accantonare per il momento la Sinfonia per dedicarsi alla composizione di un’ouverture da eseguirsi in occasione della visita a Mosca dello Zarevič e della moglie. Completata la composizione di quest’ouverture, Čajkovskij ultimò anche la Sinfonia il cui Scherzo fu eseguito il 22 dicembre 1866 sotto la direzione di Nikolaj Rubinštejn in un concerto della Società Russa di Musica a Mosca. Lo stesso Rubinštejn nel mese di febbraio del 1867 diresse a Pietroburgo il secondo e il terzo movimento, mentre la Sinfonia fu eseguita per la prima volta nella sua forma completa il 15 febbraio 1868 a Mosca in uno dei concerti della Società Russa di Musica. Questa esecuzione fu un successo tale che colse di sorpresa lo stesso Čajkovskij il quale comunque rielaborò la sinfonia per la prima edizione che fu pubblicata nel 1875, operando dei tagli al primo, al secondo e al quarto movimento. Alcune di queste parti tagliate furono riprese in una seconda edizione del 1883, che, eseguita il primo dicembre dello stesso anno a Mosca in uno dei concerti della Società Russa di Musica sotto la direzione di Max Erdmannsdörfe, non ebbe mai l’approvazione di Čajkovskij per il quale rimase definitiva l’edizione del 1875.
L’indecisione tra il rispetto delle regole e una certa libertà nei confronti di esse appare evidente già in questa sinfonia che, pur presentando la tradizionale struttura in quattro movimenti, è venata da quella tipica malinconia slava della quale era stato un cantore il poeta Aleksandr Sergeevič Puškin; proprio una serie di sue liriche dedicate all’inverno, nelle quali l’anima dell’artista, grazie a immagini icastiche, sembra identificarsi in una forma panica con la natura immobile sotto la neve dei paesaggi invernali, sembrano costituire l’originaria fonte di ispirazione della Sinfonia che Čajkovskij intitolò Sogni d’inverno.
Nel primo movimento, Allegro tranquillo, il programma del titolo, Sogni durante un viaggio invernale, che si richiama ad uno dei topos più importanti della poesia di Puškin, è perfettamente realizzato da Čajkovskij nella rappresentazione delle immagini invernali secondo il tradizionale schema della forma-sonata. Al bellissimo e poetico primo tema, esposto dal flauto e dal fagotto all’ottava in una scrittura che, accomunando nello stesso tempo il grave e l’acuto, rappresenta efficacemente il freddo, si contrappone il secondo di carattere lirico che, affidato al clarinetto, evoca la componente fantastica del sogno. Nella ripresa Čajkovskij colloca i due temi in una nuova dimensione timbrica con il primo, ora affidato ai violini divisi e alle viole e il secondo al flauto e al clarinetto prima e all’oboe e al fagotto dopo.
Anche nel secondo movimento, Adagio cantabile ma non tanto, Čajkovskij segue un programma dettato dal titolo, Desolato paese, brumoso paese, che ricorda, per le sue assonanze, i versi di Puškin. Tutto il movimento è costruito, infatti, su un tema ripetuto quasi in modo ossessivo con piccole varianti. Dopo una breve e leggera introduzione degli archi con sordina, il tema è esposto dall’oboe a cui risponde il flauto con rapide scale, mentre i violini primi e secondi si producono in un sincopato. Nel secondo episodio, marcato nella partitura con l’andamento Pochissimo più mosso, la melodia è affidata ai flauti e alle viole, protagoniste, quest’ultime anche nel terzo episodio (Tempo I). Nel quarto episodio è ripreso il tema iniziale che appare frammentato tra vari strumenti, mentre nel quinto esso si ricompone nella calda voce del clarinetto, che raddoppia i violini primi. Protagonisti del sesto episodio sono, infine, i corni che, dopo un attacco virtuosistico, eseguono la melodia. Una breve coda, costituita dalla ripresa accorciata dell’introduzione, conclude il movimento.
Derivato dallo scherzo di una Sonata in do minore per pianoforte pubblicata postuma, il terzo movimento (Allegro scherzando giocoso) alterna i ritmi di due danze, quello della mazurka della prima parte strutturata su un tema armonico e quello del valzer della sezione centrale, in cui emerge una melodia di largo respiro. Come nel primo movimento, la ripresa ripropone il materiale musicale della prima sezione in un nuovo impasto timbrico. Molto suggestiva è la coda nella quale i timpani in pianissimo eseguono il ritmo della mazurka, mentre gli archi riprendono il tema del valzer centrale.
Nell’ultimo movimento, che segue soltanto nelle linee generali la struttura tradizionale dei Finali di sinfonia, un drammatico Andante lugubre introduce l’Allegro moderato che sembra rappresentare una festa popolare in un’esplosione di suoni e di colori.
Sinfonia n. 2 in do minore op. 17 (“Piccola Russia”)
Andante sostenuto, Allegro vivo
Andantino marziale, quasi moderato
Scherzo (Allegro molto vivace, Trio)
Finale (Moderato assai, Allegro vivo)
Durata: 34’ca
Della Sinfonia n. 2 in do minore intitolata Piccola Russia Čajkovskij fece due versioni delle quali è eseguita solitamente la seconda stampata da Bessel nel 1880; si pensa, infatti, che lo stesso autore distrusse la partitura della prima versione, composta quest’ultima nell’estate del 1872 in uno dei suoi rari periodi di serenità ed eseguita il 26 gennaio 1873 a Mosca sotto la direzione di Nikolaj Rubinštejn. Alcune sue parti, tuttavia, sono state utilizzate per la seconda versione, come si evince da una lettera di Čajkovskij del 16 gennaio 1880 indirizzata a Taneev:
“Ho riscritto il primo movimento escluse introduzione e coda che sono rimaste quelle di prima. Il primo tema dell’Allegro è nuovo, il vecchio primo tema è diventato il secondo. Questo movimento adesso è più conciso, più breve, più elaborato. Il termine più appropriato a definire la prima versione del primo movimento sarebbe impossibile. Mio Dio come era complicato, rumoroso, sconclusionato e sciocco. L’Andante è rimasto com’era. Lo Scherzo è stato modificato radicalmente. Al Finale ho apportato un ampio taglio, cioè dopo il grande pedale che precede la ripresa del primo tema dopo lo sviluppo, passo al secondo tema”.
Il sottotitolo Piccola Russia è dovuto all’inserimento di canzoni russe nella versione ucraina; l’Ucraina era, infatti, allora chiamata Piccola Russia.
Il primo movimento, che si apre con un introduttivo Andante sostenuto, il cui materiale tematico è basato sulla melodia della canzone popolare ucraina La nostra madre Volga, esposta inizialmente dal primo corno, poi dal fagotto e, in seguito, rielaborata da ornamentali scale degli archi, si sviluppa in forma-sonata nell’Allegro vivo; le modifiche, apportate da Čajkovskij a questa parte del movimento, nella seconda versione, con lo spostamento del primo tema in posizione centrale e la composizione di un nuovo primo tema, esaltano la struttura dialettica della forma-sonata quasi del tutto inesistente nella versione precedente.
Il secondo movimento, Andantino marziale, quasi moderato, è una marcia nuziale tratta dal terzo atto dell’opera, poi distrutta dal compositore, Undine e si segnala per un uso estremamente raffinato delle combinazioni armonico-timbriche. Aperto da una cellula ritmica affidata ai timpani in pianissimo, il movimento presenta, nella parte centrale, una melodia russa esposta per la prima volta dai violini.
Allo Scherzo conferiscono una straordinaria vitalità ritmica sia il tema iniziale, affidato agli archi, che sottolinea con la stessa incisività tutti gli accenti del ritmo ternario, sia il secondo motivo, affidato ai legni, che si limita a marcare soltanto i primi due accenti. Nettamente contrastante è il Trio, dove i legni introducono un tema di carattere popolare.
Il Finale si apre con un’introduzione solenne basata sul tema della canzone popolare ucraina La gru utilizzata anche nel primo tema dell’Allegro vivo; a questo si contrappone un secondo tema, melodicamente più disteso, costituito da una struttura ritmica irregolare di danza. Un colpo di tam-tam segnala l’inizio del travolgente Presto conclusivo.
Sinfonia n. 3 in re maggior op. 29 “Polacca”
Introduzione e Allegro (Moderato assai, tempo di marcia funebre) – Allegro brillante
Alla tedesca (Allegro moderato e semplice)
Andante elegiaco
Scherzo (Allegro vivo)
Finale (Allegro con fuoco, tempo di Polacca)
Durata: 44’ca
Nonostante sia stata composta nel 1875, in uno degli anni più intensi e importanti della carriera di Čajkovskij, la Terza sinfonia è una delle opere meno eseguite e forse meno amate dallo stesso compositore che durante le prove della prima esecuzione ebbe a dire:
“la sinfonia non presenta alcuna idea particolarmente innovativa, ma dal punto di vista tecnico rappresenta un passo avanti”.
Come riconobbe lo stesso Čajkovskij con grande onestà, la sinfonia non si distingue certo per il carattere innovativo delle sue melodia, ma segna un notevole passo avanti sul piano tecnico. Non a caso il critico Laros, grande amico del compositore, scrisse sul numero 28 del giornale «La Voce», uscito nel 1876, esaltando la novità formale dell’opera:
“Nella profondità e nel significato del suo contenuto, nella ricca varietà della sua forma, nella nobiltà del suo stile, che è contrassegnato da un’ispirazione individuale e particolare, nella rara perfezione della sua tecnica, la Sinfonia del signor Čajkovskij è uno dei più importanti eventi musicali dell’ultima decade, non soltanto in Russia, ma certo in tutta Europa. […] Čajkovskij va sempre avanti. Nella sua nuova Sinfonia lo sviluppo contrappuntistico e l’abilità formale sono a un livello più alto rispetto a tutti i suoi precedenti lavori”.
Al notevole passo avanti, compiuto da Čajkovskij nella direzione delle innovazioni tecnico-formali, si contrappone la scarsa vena melodica, imputata forse al fatto che il compositore non stava attraversando un periodo particolarmente felice sul piano dell’ispirazione, certamente messa, quest’ultima, in discussione anche dal giudizio poco lusinghiero espresso da Nikolaj Rubinstejn sul suo Primo concerto per pianoforte e orchestra la cui stesura risale ai primi mesi del 1875. Nella pace dei suoi abituali soggiorni estivi presso parenti e amici Čajkovskij, tuttavia, trovò quella serenità che gli consentì di lavorare all’opera, dedicata, non a caso, all’amico Vladimir Silovskij, dal quale fu ospitato per molto tempo durante quell’estate. Fu molto più facile, per Čajkovskij, orchestrare la sinfonia e in particolar modo, gli ultimi due movimenti ai quali diede la loro forma definitiva nel giro di dieci giorni durante un suo soggiorno a Nizy presso l’amico Kondratyev. Appare singolare che Rubinstejn, insoddisfatto della musica del Primo concerto per pianoforte e orchestra, si è espresso favorevolmente su questa sinfonia che diresse personalmente il 19 novembre 1875. L’anno successivo la sinfonia fu eseguita a San Pietroburgo suscitando l’entusiastico consenso del critico Laros. Il sottotitolo di Polacca fu dato alla sinfonia con riferimento al Tempo di polacca dell’ultimo movimento dal direttore d’orchestra Sir August Manns che diresse la prima esecuzione in Inghilterra.
La particolare struttura in cinque movimenti della sinfonia si richiama alla Terza sinfonia di Schumann, compositore particolarmente apprezzato da Čajkovskij, la cui influenza si percepisce soprattutto nello sviluppo contrappuntistico e nell’attenzione alla forma che, secondo alcuni critici, minarono in un certo qual modo la vena melodica e la spontaneità che contraddistinguono altri lavori del compositore russo.
Il primo movimento, Introduzione e Allegro, si apre con una cupa e dolorosa Marcia funebre (Moderato assai), di cui sono protagonisti i corni, che conduce all’Allegro brillante in forma-sonata, con il primo tema marziale, affidato a legni e archi, che si contrappone all’elegante secondo intonato dall’oboe solista. La vorticosa conclusione anticipa, dal punto di vista formale, il finale del primo movimento della Quarta sinfonia.
Il secondo movimento, Alla tedesca (Allegro moderato e semplice), è un elegantissimo valzer il cui tema è affidato inizialmente al flauto e al clarinetto, a cui si unisce in seguito il fagotto su un classico accompagnamento accordale degli archi. Molto bello è il Trio, caratterizzato da una leggera ed elegante figurazione di terzine che si snoda tra i legni e gli archi.
Un sentimento di forte nostalgia pervade il terzo movimento, Andante, giustamente considerato il cuore della sinfonia, mentre un ritmo danzante informa il quarto movimento, uno Scherzo, che si evidenzia per l’orchestrazione particolarmente curata e per il Trio che si snoda interamente su un pedale di re, tenuto dai corni, sostituito, nella parte conclusiva, da arpeggi di re maggiore affidati agli archi.
L’ultimo movimento, Finale (Allegro con fuoco) è un vivacissimo rondò, dove appare l’eroico tema di polacca che suggerì a Sir August Manns il titolo con cui è conosciuta l’intera sinfonia. Nella parte centrale del movimento si trova un episodio fugato giudicato arido dalla critica.