Milano, Teatro alla Scala: “Aida”

Milano, Teatro Alla Scala, Stagione Lirica 2017/18
“AIDA”
Opera in quattro atti. Libretto di Antonio Ghislanzoni.
Musica di Giuseppe Verdi
Aida  KRASSIMIRA STOYANOVA
Radamès FABIO SARTORI
Amneris VIOLETA URMANA
Amonasro GEORGE GAGNIDZE
Ramfis VITALIJ KOWALJOW
Il Re CARLO COLOMBARA
Una Sacerdotessa FRANCESCA MANZO
Un Messaggero RICCARDO DELLA SCIUCCA
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Franco Zeffirelli ripresa da Marco Gandini
Scene e costumi Lila De Nobili
Luci Marco Filibeck
Coreografia Vladimir Vasiliev ripresa da Lara Montanaro
Produzione Teatro alla Scala
Milano, 15 maggio 2018
È solo l’illustrazione della musica di Verdi che prende forma…Un atto d’amore per un’idea tradizionale della messinscena operistica”, parola di Franco Zeffirelli. Quale miglior modo per celebrare alla Scala il novantacinquesimo compleanno del Maestro fiorentino, se non riproponendo uno tra i suoi spettacoli più amati da lui stesso e dal pubblico. Torna così in scena la storica Aida del 1963 che tutti abbiamo ben scolpita in mente nelle grandiose scene e nei dettagliatissimi costumi di Lila De Nobili, in grado di rievocare tra prospettive estreme e tripudi di colori tutta la grandiosità faraonica di un Egitto dorato, imponente, immortale. Un allestimento ampiamente rodato ed acclamato per decenni in tutto il mondo, che ha “solo” bisogno di accompagnarsi alle giuste voci e alla giusta concertazione per rivivere splendente oggi come allora: aspettative altissime, ma nemmeno questa volta deluse. Un’Aida magnifica per l’occhio e nondimeno per l’orecchio, dunque, a cominciare dal ruolo eponimo interpretato magistralmente da Krassimira Stoyanova, di cui ormai ben conosciamo le potenzialità vocali e che si conferma di nuovo eccellente eroina verdiana dopo la sua recente Elisabetta di Valois scaligera. Il soprano bulgaro dipinge la principessa etiope con nobile dignità, modulando il fraseggio con estrema cura, sempre incisiva e pacata all’occorrenza, forte della sua ormai nota linea di canto elegante e omogenea tra acuti cristallini e pianissimi di rara delicatezza. Di gran gusto, su tutte, è la sua “O Patria mia”, che più di altre pagine ne valorizza la vocalità di soprano lirico in tutte le sue sfumature. Meno raffinata l’interpretazione di Fabio Sartori che, nonostante ciò, giocandosi l’intera performance su squillo e volume debordante ci fa ascoltare comunque un dignitosissimo Radamès. Il piglio eroico e l’ottima padronanza della tessitura acuta sono subito evidenti sin dall’entrata (“Se quel guerrier io fossi…Celeste Aida”) e instancabilmente portati avanti per tutta l’opera, in una prova nel suo complesso più che convincente. Quanto a potenza vocale Violeta Urmana non teme certo il confronto, caratterizzando così un’Amneris feroce che a tratti quasi ruggisce il suo amore per il condottiero egizio pur mantenendo un’aura di composta regalità. Soprattutto nella zona grave, il mezzosoprano lituano sfoggia preziose sonorità brunite e sempre consistenti, in grado di risuonare ampiamente anche nei concertati. Ottima anche la prova di George Gagnidze, un Amonasro sanguigno e appassionato, particolarmente toccante nel duetto con la figlia nel terzo atto (“Rivedrai le foreste imbalsamate”). Vitalij Kovaljow è un Ramfis tonante ed altero, al pari di Carlo Colombara che veste i panni dorati del Re. Buoni infine gli apporti dei comprimari Francesca Manzo (una Sacerdotessa) e Riccardo Della Sciucca (un Messaggero). Straordinario (anche più che in altre occasioni) il Coro diretto da Bruno Casoni, in grado di rendere anche sul piano vocale tutta la solennità delle grandi scene d’insieme. Daniel Oren – che finalmente debutta questo suo cavallo di battaglia verdiano anche al Piermarini – non delude le aspettative, con una concertazione così vigorosa, appassionata e ricca di colori da restituire splendidamente anche in buca tutta la magnificenza che ci fa brillare gli occhi dal palcoscenico. In questo senso si rischia a tratti che l’anima eroica – spinta con tutta questa potenza – vada ad oscurare l’anima intimistica dell’opera, ma la sensazione è che, anche se talvolta sul filo, non si rompa mai l’equilibrio tra l’una e l’altra. Al termine, uno scroscio di applausi finali in un teatro gremito in ogni ordine di posto ha confermato un successo annunciato, con il rispetto e l’entusiasmo di sempre che solo i capolavori senza tempo sanno infondere.