Venezia, Teatro Malibran, Lirica e balletto, Stagione 2017-2018
“ORLANDO FURIOSO”
Dramma per musica in tre att. Libretto Grazio Braccioli dall’Orlando furioso di Ludovico Ariosto. Musica Antonio Vivaldi
Orlando SONIA PRINA
Angelica FRANCESCA ASPROMONTE
Alcina LUCIA CIRILLO
Bradamante LORIANA CASTELLANO
Medoro RAFFAELE PE
Ruggiero CARLO VISTOLI
Astolfo RICCARDO NOVARO
Orchestra del Teatro La Fenice
Maestro al cembalo e direttore Diego Fasolis
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Regia Fabio Ceresa
Scene Massimo Checchetto
Costumi Giuseppe Palella
Light designer Fabio Barettin
Coreografo e assistente alla regia Riccardo Olivier
Compagnia di danza Fattoria Vittadini
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con Festival della Valle d’Itria di Martina Franca e con RSI Radio Svizzera Italiana
Venezia, 19 aprile 2018
Antonio Vivaldi, onore e vanto di Venezia, ma ovviamente patrimonio dell’umanità intera è uno dei capisaldi della musica occidentale, ammirato e trascritto dallo stesso Bach. Eppure si può affermare, per lui come per altri grandi, che la fama, di cui gode, corrisponde a una conoscenza molto parziale della sua produzione. Al di là delle Quattro stagioni, di qualche altro concerto per violino e – forse – del Gloria, molte altre opere importantissime del Prete Rosso sono ancor oggi assai poco note al pubblico. In particolare la sua produzione per il teatro solo da qualche decennio sta ritrovando il posto che le spetta nel catalogo vivaldiano. I melodrammi – che abbiamo recuperato in buona parte – ci consegnano un Vivaldi conservatore più che innovatore, comunque un grande operista esperto di vocalità – specialmente di quella femminile, grazie alla sua esperienza come maestro delle “putte” all’Ospedale della Pietà – capace di regalarci “meraviglie” barocche come le seduzioni del canto, dai mirabolanti virtuosismi, e dell’orchestra, che spesso riserva raffinatezze strumentali inattese. Di questa renaissance La Fenice non poteva non essere uno dei protagonisti: dopo le rappresentazioni, in anni abbastanza recenti, di Ercole sul Termodonte e Bajazet, il teatro veneziano proporne, in coproduzione con Festival della Valle d’Itria di Martina Franca e Radio Svizzera Italiana, l’Orlando furioso, nell’edizione critica di Federico Maria Sardelli, pur abbreviata – in gran parte attraverso il taglio di un’aria per ciascuno dei personaggi –, a rendere lo spettacolo – che nella versione originale dura circa quattro ore – compatibile con gli attuali, più stringati tempi teatrali. La messinscena ideata dal regista Fabio Ceresa per questa produzione, con il valido contributo di Massimo Checchetto per le scene, Giuseppe Palella per i costuni e Fabio Barettin per le luci, può essere considerata una rivisitazione del teatro barocco, fondata com’è sulla “meraviglia”, concetto-chiave dell’estetica seicentesca, come recitano – in riferimento alla poesia – i celebri versi del cavalier Marino. Tale allestimento si nutre di un efficace marchingegno, che permette cambi di scena a vista: un grande opaco globo lunare, dalla superficie accidentata, che ruotando su se stesso, mostra l’altra imprevedibile sua faccia, costituita da un’enorme conchiglia. Questa, con la sua concavità, delimita posteriormente lo spazio, dove in buona parte si sviluppa la vicenda, marcandone, grazie ad un sapiente uso di radenti luci colorate proiettate su di essa, i diversi momenti psicologici. Sul proscenio, due strutture simmetriche dal sinuoso profilo, ornate di bassorilievi, d’uno stilizzato naturalismo, costituiscono un suggestivo repoussoir. In tale spazio scenico Alcina, la maga dalla sessualità archetipica e sfrenata, tesse le sue trame, volte a soddisfare i suoi insaziabili appetiti sessuali. All’opposto, Orlando risulta quasi anaffettivo nel suo reprimere la passione. Ma, nel corso della storia, i due personaggi diventano sempre più simili tra loro, compiendo un vero percorso psicologico: Alcina, infiammata per la prima volta da un amore esclusivo per un uomo, Ruggiero, cerca di dividerlo da Bradamante, mentre il fedele paladino Orlando, vinto dal sentimento d’amore, tenta di separare Angelica dal suo adorato Medoro, e alla fine addirittura impazzisce per gelosia. Dunque, entrambi cedono in qualche modo alla debolezza, da cui si sentivano immuni. Al carattere baroccamente lussureggiante di questa messinscena contribuiscono non poco i fantasiosi costumi luccicanti di lustrini e alcune riuscite trovate come il chimerico Ippogrifo – che porta Astolfo sulla luna – dal muso di civetta, animato da due figuranti, e la smisurata armatura composta da diversi pezzi separati, che fluttuano nell’aria in corrispondenza del delirio di Orlando, ugualmente mossi da comparse. Sono tutti ingredienti di un barocco reinventato con fantasia e originalità, da cui nasce uno spettacolo, che seduce il pubblico dal primo all’ultimo minuto, anche grazie ai movimenti scenici, talora giustamente enfatici fino a rasentare l’autoironia, e le funzionali coreografie, in cui ha brillato la compagnia di danza Fattoria Vittadini. Quanto all’esecuzione musicale, Diego Fasolis – uno specialista nell’interpretazione della musica storicamente informata –, sorretto da un organico orchestrale di solisti e da voci di prim’ordine, punta a caratterizzare la varietà degli affetti, veicolati dalle singole arie, com’è tipico nel melodramma barocco, evidenziando, altresì, la coerenza della caratterizzazione psicologica dei due personaggi principali – Orlando e Alcina –, che fa di quest’opera un ponte verso la modernità. La sua lettura è dunque molto variegata nei ritmi e nei colori, ma sempre finalizzata alla credibilità della narrazione. Venendo ai cantanti, Sonia Prina ha assolutamente primeggiato nel ruolo del titolo, finalizzando l’efficace gesto e la bella voce contraltile a rendere l’evoluzione psicologica di Orlando: da “Sorge l’irato nembo”, con uno splendido accompagnamento orchestrale a “Nel profondo/cieco mondo”, dove si è imposta nelle colorature, fino ai lunghi stupendi recitativi, dove esplode la gelosia per Angelica (“Ah sleale, ah spergiura” e “No,no, ti dico, no”). Analogamente autorevole e coerente dal punto di vista drammaturgico è apparsa l’Alcina di Lucia Cirillo dalla vocalità prestante ed omogenea, che ha ben reso la complessità psicologica della maga: dalla libertina “Se avessi un solo amante” alla sconsolata “Infelice! Ove fuggo!”, la sua dichiarazione di sconfitta. Vocalmente sicura anche Francesca Aspromonte, che delinea un’Angelica piena di carattere: risentita in “Tu sei degli occhi miei”, subdola in “Chiara al pari di lucida stella”. Una particolare menzione merita la coppia di controtenori, per la rotondità del timbro, senza mai alcuna asprezza, la facilità nelle colorature e l’incisivo fraseggio. Carlo Vistoli è un Ruggiero dall’espressività estremamente duttile, capace di ogni raffinatezza, che ha incantato nell’aria dolcissima “Sol da te mio dolce amore”, in un dialogo di rara bellezza con il flauto traversiere obbligato, un momento di sublime ispirazione da parte di Vivaldi, che qui piega le indubbie difficoltà tecniche alle ragioni dell’arte. Vistoli ha poi anche saputo aderire perfettamente al carattere tempestoso di “Come l’onda/con voragine orrenda e profonda ”. Raffaele Pe ci consegna un Medoro analogamente ben delineato nel suo tenero sentimento d’amore: come è emerso in “Qual candido fiore” e “Sei mia gioia, sei mia pace”. Convincente l’Astolfo di Riccardo Novaro, che ha sfoggiato una voce ben timbrata, brillando nell’aria di vendetta “Benché asconda/la serpe in seno”, al pari della Bradamante di Loriana Castellano, particolarmente combattiva in “Asconderò il mio sdegno”.Impeccabili per suono armonioso e fraseggio gli interventi del Coro, istruito dato da Ulisse Trabacchin, in particolare nella scena delle nozze tra Angelica e Medoro. Successo calorosissimo per tutti. Foto Michele Crosera