Venezia, Festival Charles Gounod, mistico o sensuale? dal 7 aprile al 5 maggio 2018
“GOUNOD, IL CANTORE DELL’AMORE”
Soprano Ludivine Gombert
Pianoforte Damien Lehman
Mélodies di Charles Gounod e dei suoi contemporanei
Venezia, 14 aprile 2018
Ancora la mélodie francese è stata protagonista di un concerto al Palazetto Bru Zane nell’ambito del festiva dedicato a Charles Gounod nel centenario della nascita. La mélodie rappresenta indubbiamente per la Francia il genere più elevato tra quelli in repertorio nell’Ottocento e nel primo Novecento, anche perché presuppone una profonda sensibilità per la poesia – dai poeti della Pléiade ai romantici, ai simbolisti – con un’estrema attenzione al dettaglio. Ne consegue, in particolare, che l’interprete deve avere le doti di un fine dicitore, mentre al pianista spetta trovare un’ampia gamma di suoni e di colori. Questa raffinatezza spiega perché la mélodie – dove molto spesso l’espressione dei sentimenti è veicolata da un linguaggio denso di figure – sia apprezzata da un pubblico ancora abbastanza elitario. Accanto a Berlioz, anche Gounod fu uno dei primi grandi promotori di questo genere musicale. Il suo catalogo, costituito da oltre centosettanta mélodies pubblicate, appare particolarmente articolato anche dal punto di vista linguistico, affiancando titoli in francese ad altri in italiano e in inglese (oltre un terzo delle sue mélodies sono nella lingua di Shakespeare). Il tema dominante è quello dell’amore, sia esso terreno o divino.
Il concerto svoltosi al Palazzetto Bru Zane – che da anni si adopera per diffondere la mélodie francese tra un pubblico sempre più vasto – è stata l’occasione per cogliere l’evoluzione del genere melodico in Gounod, ma anche in altri autori francesi dell’Ottocento e del Primo Novecento, grazie anche alla sensibilità di due interpreti molto affiatati ed esperti in tale repertorio – quali il soprano Ludivine Gombert, dalla prestante vocalità screziata di bagliori metallici, e al pianista Damien Lehman, valido e partecipe sostegno del canto –, che hanno saputo affascinare la platea attraverso un articolato programma. Così Où voulez-vous aller (1839), su versi diThéophile Gautier – una delle mélodies giovanili di Gounod, ancora affini alla romanza o alla serenata e caratterizzate da luoghi tipici, quali il ritmo ternario o l’accompagnamento stilizzato di una chitarra – è stata offerta mettendone il valore la diffusa raffinatezza nell’espressione e la particolare sensibilità nella valorizzazione del testo poetico, pregi decisamente fuori dal comune in un compositore appena più che ventenne. Di particolare sensibilità si è confermato il pianista, assecondando il poetico fraseggiare della cantante, in alcune mélodies successive, dove l’armonia si fa più ricercata, più sensuale, arricchendo di sfumature l’espressione: da Le Soir (1840), su testo di Lamartine, prima tappa di un’evoluzione, che raggiungerà negli anni successivi al 1870 un livello straordinario, come si è colto in Mignon (versi di Louis Gallet, da Goethe), Clos ta paupière (da Jules Barbier), Ma belle arnie est morte (da Théophile Gautier), L’Absent (su testo del compositore stesso). Una fine, emozionata dizione e una partecipe tastiera si sono confermate anche nelle brevi mélodies di Gounod in lingua italiana o inglese come La rondinella pellegrina (da Tommaso Grossi), Oh! Dille tu (da Giuseppe Zaffira), Quanti mai (da Metastasio), If thou art sleeping maiden (da Henry Wadsworth Longfellow). Con analoga efficacia interpretativa i due solisti hanno affrontato le mélodies di altri autori, che seguendo l’esempio di Gounod si abbandonano a slanci lirici di stampo operistico con un prezioso accompagnamento del pianoforte: Chanson d’avril (da Louis Bouilhet), La chanson du fou (da Victor Hugo),Vous ne priez pas (da Casimir Delavigne) di Georges Bizet e i Couplets de Mariette (versi di Anonimo) di Emmanuel Chabrier. A queste si sono aggiunte alcune mélodies di una fase successiva – caratterizzate da una maggiore interiorità, pur senza perdere in intensità espressiva –, composte da Gabriel Fauré e Henri Duparc, ispirati da grandi poeti: rispettivamente Verlaine, cui si devono i versi di En sourdine e Mandoline, e Baudelaire, autore di L’invitation au voyage e La vie antérieure. La dolorosa malinconia di confidenze sussurrate all’orecchio si è colta in Les Heures, da una lirica di Camille Mauclair, intonata da Ernest Chausson, meditazione sulla caducità della vita umana, rappresentata, sullo sfondo di una notte di luna, da alcuni uomini, che vanno verso la morte insieme alle ore “dal pallido sorriso”. Successo caloroso.