Melodramma fantastico-giocoso in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave. Domenico Colaianni (Crispino), Stefania Bonfadelli (Annetta), Romina Boscolo (La Comare), Fabrizio Paesano (Il contino del Fiore), Mattia Olivieri (Fabrizio), Alessandro Spina (Mirabolano), Carmine Monaco (Asdrubale), Lucia Conte (Lisetta), Francesco Castoro (Bortolo). Alessandro Talevi (Regia), Ruth Sutcliffe (Scene), Manuel Pedretti (Costumi), Coro del Teatro Petruzzelli di Bari, Franco Sebastiani (maestro del coro), Orchestra internazionale d’Italia, Jader Bignamini (Direttore). Registrazione: XXXIX Festival della Valle d’Itria, Palazzo Ducale di Martina Franca, luglio 2013, T.Time: 136′. 1 DVD Dynamic 37675
L’opera buffa conosce già a partire dagli anni 30 dell’Ottocento una progressiva crisi che gli ultimi capolavori donizettiani non riesco totalmente a nascondere e che terminerà solo con la rinascita del genere – seppur in tutt’altre forme – rappresentata dal “Falstaff” e dai suoi epigoni. Nella lunga stagione che separa il “Don Pasquale” dall’ultima opera verdiana uno dei pochissimi titoli sfuggiti ad un totale oblio è “Crispino e la Comare” dei fratelli Luigi e Federici Ricci su libretto di Francesco Maria Piave andata in scena a Venezia nel 1850 e accolto da un sincero successo destinato a perdurare fino alla metà del Novecento per poi ecclissarsi senza però estinguersi del tutto.
In occasione dell’edizione 2013 del Festival della Valle d’Itria l’opera è stata allestita e ripresa in formato video e arriva ora la pubblicazione in DVD. Ascoltare “Crispino e la comare” non è certo tempo perso non fosse altro per il suo ruolo di testimonianza di un gusto dell’epoca che spesso si tende a sottostimare. L’opera pur non priva di una certa piacevolezza è infatti lungi dall’essere un capolavoro ma testimonia quella vita teatrale italiana dell’Ottocento fatta più di mestiere e artigianato musicale che di autentica ispirazione artistica che era la normalità nei teatri del tempo e il brodo di coltura anche dei più rari capolavori.
Specie considerando la data di composizione l’opera appare pesantemente datata. La musica risente ancora in modo significativo dei modelli di Rossini e Donizetti – con tanto di lunghi e ripetitivi recitativi – ormai trasformate in stilemi di maniera. Un prodotto di buon artigianato ma senza ispirazione o colpi d’ala, non epitome della grande tradizione dell’opera buffa né prodromo della futura operetta ma istantanea comunque preziosa sulla prassi quotidiana del fare musica in Italia al tempo.
A cercare di dar maggior vita al libretto non ispiratissimo di Piave a Martina Franca si è chiamato il giovane e talentuoso regista sud-africano Alessandro Talevi che però coglie nel segno solo in parte. L’idea di attualizzare la vicenda non è particolarmente stridente tanto più che i personaggi incarnano le eterne macchiette di una certa comicità all’italiana che nel Novecento il cinema ha ripreso e reinterpretato più volte ma spesso il regista tende a caricare troppo la mano. Il riferimento ad una contemporaneità televisiva e volgarotta fatta di selfie e ammiccamenti lo porta spesso a strafare, a scivolare verso una recitazione fin troppo televisiva non solo quando il gioco della citazione e dell’omaggio è esplicito a palese ma anche quando una maggior delicatezza di toni sarebbe stata più gradita. Appaiono così fin troppo invasivi la folla di turisti intorno alla “resurrezione” di Crispino o certi tratti eccessivamente caricaturali con cui viene connotato il personaggio di suo umanissimo di Annetta. Altri momenti sono sicuramente più felici come la scena “ospedaliera” della visita di Crispino a Lisetta o la divertentissima caratterizzazione della Comare, perfetta diva della Dolce Vita ormai fuori tempo massimo. Assolutamente essenziale l’impianto scenico di Ruth Sutcliffe che si limita a pochi arredi scenici – tavolini e sedie, insegne pubblicitarie – a integrare il colpo d’occhio naturale del Palazzo Ducale di Martina Franca, più abiti quotidiani che autentici costumi quelli di Manuel Pedretti.
A reggere la parte musicale troviamo Jader Bignamini che evita di cercare in questa musicale inutili raffinatezza preferendovi una lettura energica e vitale, piena di slancio e di brio, cercando al contempo di attutire certe soluzioni ridondanti cui la scrittura musicale si lascia andare. L’Orchestra internazionale d’Italia non è sempre precisa e pulita come si vorrebbe ma nell’insieme la prestazione risulta godibile, onesta la prova del coro del Teatro Petruzzelli.
Compagnia di canto nell’insieme funzionale con ottime prove per i protagonisti. Domenico Colaianni è un Crespino di fortissima personalità scenica e vocale. Voce non bella ma personalissima e molto caratterizzata, dizione nitidissima, perfetta caratterizzazione attoriale del personaggio. Il baritono barese coglie pienamente la particolarità del “basso parlante” ottocentesco e la ricrea con rigore e modernità. Al suo fianco fa piacere ascoltare una ritrovata Stefania Bonfadelli, precisa, elegante, musicalissima, sicura sugli acuti e nei passaggi di coloratura. Particolarmente penalizzata dalla scelta di accorpare primo e secondo atto e costretta ad affrontare senza soluzione di continuità il duetto con Crispino e l’aria di bravura “Io non son più l’Annetta” resa immortale dalla Sutherland la Bonfadelli esce ne con onore A poi il merito di evitare una caratterizzazione troppo vernacolare la “Canzone della frittola” mantenuta nell’ambito di un’eleganza belcantista.
Alla ruvidezza popolaresca di Crespino si contrappone il canto elegante di Mattia Olivieri come Fabrizio, bella voce sonora e luminosa e accento della giusta ironia per la svagata leggerezza di “Io sono un po’ filosofo”; completa ottimamente il trio dei medici il Mirabolano di Alessandro Spina. Scenicamente strepitosa ma vocalmente più alterna la Comare di Romina Boscolo voce scura e profonda ma emissione spesso ingolata e vibrato eccessivo. Modesto Fabrizio Paesano nel ruolo tenorile del Contino del Fiore, voce piccola, anonima, con non trascurabili problemi di emissione. Efficaci l’Asdrubale di Carmine Monaco e il Bortolo di Francesco Castoro mentre dal timbro fin troppo anonimo la Lisetta di Lucia Conte.