Bologna, Teatro Comunale – Stagione d’Opera 2017-18
“SIMON BOCCANEGRA”
Melodramma in un prologo e tre atti, libretto di Francesco Maria Piave.
Musica di Giuseppe Verdi
Simon Boccanegra DARIO SOLARI
Maria Boccanegra YOLANDA AUYANET
Jacopo Fiesco MICHELE PERTUSI
Gabriele Adorno STEFAN POP
Paolo Albiani SIMONE ALBERGHINI
Pietro LUCA GALLO
Un capitano dei balestrieri ROSOLINO CLAUDIO CARDILE
Un’ancella di Amelia ALOISA AISEMBERG
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Andriy Yurkevych
Maestro del Coro Andrea Faidutti
Regia Giorgio Gallione
Scene e Costumi Guido Fiorato
Luci Daniele Naldi
Allestimento del Teatro Comunale di Bologna con il Teatro Massimo di Palermo in collaborazione con la Scuola di Teatro di Bologna “Alessandra Galante Garrone”
Bologna, 15 aprile 2018
Non capita spesso di sentire un cosiddetto “primo cast” durante una replica domenicale. La fortuna è occorsa questa domenica al Comunale di Bologna: teatro di solidissima tradizione, con un’attenta direzione musicale del Maestro Michele Mariotti, ha in cartellone “Simon Boccanegra” di Verdi, la prima della “trilogia boitiana ” che conclude la carriera del celebre compositore. La vicenda della composizione è nota: nel 1857 il Cigno di Busseto la compone su libretto del solito Piave, l’insuccesso è chiaro, l’opera finisce nel dimenticatoio di tutti, meno che di Ricordi, che per dieci anni stuzzica Verdi affinché la riveda. L’incontro/scontro con Boito (orchestrato anch’esso da Ricordi) fa il resto: il giovane poeta scapigliato rimaneggia la pochezza piavesca, riempiendola di slanci patriottici e di un lessico da alta poesia decadente. Verdi, da parte sua, riconsidera la partitura, non ignorando la tanto amara lezione wagneriana, ma soprattutto accordandosi al nuovo momento culturale italiano cui lo spinge il nuovo librettista. È un’opera nuova, nel 1881, e vince la prova scaligera. Poi, inspiegabilmente, scompare di nuovo dal repertorio, finché Serafin al Met la impone negli anni Trenta e, finalmente, il trionfo è internazionale e imperituro. Ma torniamo al Comunale, e scopriamo che a ricoprire i quattro impegnativissimi ruoli maschili sono Dario Solari, Michele Pertusi, Stefan Pop e Simone Alberghini. Un poker non da poco, che non solo conferma le aspettative, ma le supera anche, soprattutto nel caso di Pop: è tanto bello ascoltare il suo Adorno, una voce grande, spessa, sicura, dalle molte espressioni (a volte per questo non precisissima, ma nulla che non si faccia perdonare), un timbro da vero tenore lirico spinto, perfetta per il repertorio verdiano. Si guadagna giustamente grandi riconoscimenti dal pubblico, in vero delirio dopo “Pietoso cielo, rendila”. Su Pertusi sembra quasi superfluo soffermarsi, un vero mito del nostro belcanto, che mantiene un invidiabile smalto e mordente, e ci regala un indimenticabile Fiesco; il Boccanegra di Solari è un vero personaggio teatrale, splendidamente interpretato, oltre che una parte musicale: se qualche incertezza attanaglia il baritono qua e là è proprio per desiderio interpretativo, e arriva a strapparci addirittura una lacrima sul finale, oltre che guadagnarsi il suo scroscio di applausi per la straordinaria partecipazione ai terzetti, duetti e quartetti degli ultimi due atti; forse Alberghini è quello più debole dei quattro, ma di poco: il suo Albiani parte un po’ monocorde, per acquisire personalità e spessore, anche vocali, nel secondo e soprattutto nel terzo atto (ottima la resa della Scena I). Di fronte a questi cavalli di razza scatenati, abilissimo auriga è il Maestro Andriy Yurkevych, che talvolta fatica a far mordere il freno alla sua pariglia vocale – l’orchestra, invece, la conduce con sapienza e slancio, come ci aspetteremmo da un professionista della sua esperienza. Non possono mancare le lodi anche al Maestro Andrea Faidutti, direttore di un coro potente e presente, che strappa emozioni. Degnissima cornice, e sospettiamo anche sprone attivo, di queste grandi interpretazioni sono la regia, le scene e le luci della premiata ditta genovese Gallione–Fiorato–Naldi, che abbiamo scoperto con la “Rondine” qualche settimana fa, e apprezzato già: la sensazione è che le tre realtà di cui questi professionisti si occupano (regia, scene, luci) siano un unicum, e sviluppino un’unica direzione secondo un’unica cifra stilistica. Siamo di fronte a un nuovo grande esempio di arte registica italiana? Non ci sbilanciamo subito: certo è che è così che si dovrebbe lavorare sempre, e forse sono le mancanze di altri “maestri” più chiassosi e inconcludenti a far apparire ancora più riuscito questo prodotto. Li aspettiamo al varco con la “Traviata” fra qualche settimana al Carlo Felice. Dispiace dovere esprimere, invece, qulache perplessita per la protagonista femminile di questo “Boccanegra” davvero strepitoso: l’Amelia/Maria di Yolanda Auyanet non convince, incerta nel “Come in quest’ora bruna”, si risolleva di molto nei duetti, ma è il timbro della soprano che sugli acuti suona teso, quasi stridulo; colpisce, invece, sui non pochi passaggi bassi, dove la sua voce si dimostra sostenuta ed espressiva. Sia ben chiaro: fa tutto ciò che deve, ma in una formazione tanto ben assortita la Auyanet resta esclusa, legata a un’impostazione vocale forse buona per il repertorio belcantistico e preromantico, che solitamente interpreta. A parte questa perplessità, si esce dal teatro, dopo tre ore spaccate, sorpresi, galvanizzati da tanta bellezza per le orecchie e per gli occhi, e non si vede l’ora di tornare a casa e riascoltare qualche altra grande incisione, magari live, di quest’opera magnifica, cupa e allo stesso tempo generosamente emozionante. E infine, si aspetta con impazienza la prossima opera che questo teatro ci mostrerà, sperando sia dello stesso livello se non superiore.