Pizzetti non fu soltanto compositore di opere teatrali, ma fu autore anche di un’importante produzione strumentale sia sinfonica che da camera.
Tra le composizioni sinfoniche si segnala il Concerto dell’estate che non può essere definito un brano di musica pura nonostante il titolo che si richiama a una forma della tradizione. Anche in questo lavoro non manca un contenuto programmatico che si inquadra perfettamente nell’estetica pizzettiana all’interno della quale non c’era posto per la musica pura, ma per una musica capace di esprimere dei contenuti che la trascendano. Ciò appare maggiormente evidente nella scansione interna del concerto diviso in tre movimenti, ai quali il compositore assegnò 3 titoli diversi. Il primo, Mattutino, si apre con un imperioso gesto iniziale degli archi, accompagnati da brillanti glissandi delle arpe che rappresentano perfettamente la freschezza e i rigogliosi colori di un’alba estiva, nella quale si inserisce perfettamente il canto degli uccelli, costituito dal breve frammento tematico in terzine dei legni, che viene sviluppato in seguito, come se gli uccelli, dopo essersi svegliati, partecipassero al fiorire della natura. Al risveglio della natura partecipano tutti gli strumenti e l’oboe, mai utilizzato in precedenza, dà il via, nella sezione centrale, ad un fugato estremamente raffinato dal punto di vista contrappuntistico con un soggetto languido e denso di sensuale lirismo.Dodici ”rintocchi” dei corni indicano che è mezzogiorno e la mattinata si conclude come il movimento che, grazie alla ripresa rielaborata dei vari elementi tematici, volge al termine. Il secondo movimento, Notturno, si segnala per la raffinata ricerca timbrica, evidente già nella breve introduzione nella quale i violini primi e secondi espongono il tema, e per la scrittura contrappuntistica. L’ultimo movimento, Gagliarda e finale, presenta una forma a rondò poco tradizionale nella quale emerge un forte contrasto tra il vitale e travolgente ritmo del tema principale (Es. 53)della danza barocca e le idee secondarie più liriche e meditabonde. Molto raffinata dal punto di vista contrappuntistico è la coda nella quale vengono sfruttate e rielaborate le idee tematiche precedentemente esposte.
Nei Canti della stagione alta, composti nell’estate del 1930 e, in particolar modo tra il 12 luglio e il 3 settembre, l’intento programmatico si esprime nella forma del concerto solistico rivisto e riletto in modo originale e moderno. Eseguito il 2 aprile 1933 al Teatro Augusteo in un concerto, che prevedeva nel suo programma anche la Partita del ventinovenne Goffredo Petrassi, con l’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Bernardino Molinari e con il pianista Carlo Vidusso in qualità di solista, questo lavoro è formalmente un concerto per pianoforte e orchestra, nel quale il pianoforte non si produce in un confronto-scontro sul piano virtuosistico con l’orchestra, come avveniva nei lavori classico-romantici, ma dà liberò sfogo a un canto spianato con l’orchestra che ora accompagna ora duetta con il solista in una scrittura che appare più teatrale che sinfonica. Il pianoforte appare trattato, infatti, alla stregua della voce umana in un’opera lirica, mentre già nel primo movimento, Mosso e fervente, ma largamente spaziato, pur in una forma-sonata riletta in modo originale e variata, è abolito ogni tipo di contrasto dialettico tra il primo e il secondo tema i quali, al massimo, differiscono per alcune scelte di scrittura. Al lirico primo tema del pianoforte, esposto su un accompagnamento uniforme degli archi, segue senza alcun marcato contrasto il secondo di carattere accordale, quasi nella forma del corale Il secondo movimento, Adagio, anch’esso dalla struttura tripartita (A-B-A1) come accade spesso nella produzione strumentale di Pizzetti, si basa su un tema, interamente affidato al pianoforte nella parte iniziale, che ricorda le melodie lunghe lunghe di Bellini o degli adagi dei concerti di Chopin. Nella sezione centrale, Più mosso, di carattere contrastante il pianoforte, dopo aver ceduto il testimone al fagotto e ai corni che intonano un tema di carattere accordale, si limita a riempire i momenti di pausa con eleganti florilegi. Nella sezione conclusiva il tema iniziale viene ripreso dagli archi, mentre il pianoforte varia con eleganti arpeggi il motivo dell’accompagnamento. Legato senza soluzione di continuità al movimento precedente, il Rondò conclusivo (Allegro) è una pagina brillante nella quale convivono momenti di alto virtuosismo pianistico con altri di carattere lirico, come la splendida romanza senza parola (Andante lento), affidata al pianoforte, che costituisce uno degli episodi, o la catartica e solenne coda, Largo, che conclude il concerto.
Una raffinata scrittura contrappuntistica contraddistingue, invece, il Quartetto in re, composto su commissione della pianista statunitense Elizabeth Sprague Coolidge. In questo Quartetto, completato a Milano il 3 dicembre 1932 ed eseguito per la prima volta il 25 aprile del 1933 a Washington, presso la Biblioteca del Congresso, dal Quartetto Busch, fondato nel 1918 dal violinista Adolf Busch e costituito da Gösta Andreasson (violino), Karl Doktor (viola), e Paul Grümmer (violoncello), il dramma si esprime nel ristretto ambiente cameristico di un quartetto d’archi sin dall’introduzione, Molto sostenuto, del primo movimento, dove i singoli strumenti sembrano comportarsi come delle voci che dialogano fra di loro. Questa conversazione, che si esprime anche attraverso una raffinata scrittura contrappuntistica, caratterizza l’intero primo movimento che si configura come uno scorrevole discorso musicale basato sul piacevole ed orecchiabile tema iniziale ora rielaborato ora variato. Questo primo movimento è tutto tema, come del resto anche il secondo, Adagio, dove troviamo delle melodie che si distendono in un canto spiegato e si intrecciano tra di loro contrappuntisticamente grazie agli archi che continuano il loro discorso che assume toni ora più sereni ora più drammatici. Nel terzo movimento Pizzetti recupera la forma classica dello Scherzo, dando vita a un brano nel quale non si possono non notare suggestioni beethoveniane, mentre il Finale, Molto concitato, nel quale ritornano elementi tematici del primo movimento, si conclude con un Largo, la cui scrittura richiama quella del corale.
Questa attenzione per il materiale tematico, mostrata da Pizzetti nei Canti della stagione alta, si riscontra anche nel Concerto per violoncello e orchestra, composto tra il 1933 e il 1934 ed eseguito per la prima volta al Teatro La Fenice di Venezia l’11 settembre 1934 sotto la direzione dell’autore e con Enrico Mainardi, in qualità di solista, in occasione del decimo Festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea. In questo concerto Pizzetti diede grande importanza all’individuazione del tema che viene declamato dagli archi all’unisono in contrasto con quello lirico dei legni. Bello è il secondo movimento tutto tramato di echi e con il violoncello che dà vita ad uno splendido canto spiegato di grande ampiezza melodica.
Autentico capolavoro è, però, la Sinfonia in la composta nell’estate del 1940 durante un soggiorno a Siena, dove il compositore si era ritirato mentre la Seconda Guerra Mondiale infiammava il mondo, ed eseguita per la prima volta in assoluto a Tokyo nello stesso anno e in Italia sotto la direzione di Victor de Sabata al Teatro alla Scala il 20 ottobre 1941. L’opera presenta una purezza formale, evidente già nel primo movimento, Andante non troppo sostenuto ma teso, in cui viene conservato il contrasto dialettico, tipico della forma-sonata, tra i due temi, dei quali il primo, esposto dal fagotto nella calda parte medio-acuta del suo registro, è calmo senza incrinature, mentre il secondo è nervoso. In tutto il primo movimento questi due atteggiamenti, la calma e lo stato di concitazione, si alternano e si scontrano costituendo un blocco che sembra esprimere le inquietudini della Seconda Guerra Mondiale in quella prima estate di conflitto per l’Italia. Momenti, sia pure brevi, di inquietudine e turbamento interiore si insinuano anche nel secondo movimento, Andante tranquillo, che si basa su un tema dolce e lirico, tipico della scrittura pizzettiana nei movimenti lenti. Il terzo movimento, Rapido, è uno scherzo basato su un tema di carattere anametrico, mentre il quarto movimento, Andante faticoso e pesante, è una sintesi dei tre movimenti precedenti. Il nucleo centrale del movimento è costituito da una marcia inarrestabile come il destino terrificante e incombente sull’uomo che cerca inutilmente la pace rappresentata dalla ripresa del primo tema.
Le stesse inquietudini che serpeggiano nella Sinfonia in la si riscontrano anche nella Sonata per pianoforte composta nel 1942; già nel primo movimento, Assai mosso e arioso, ma non molto vivace, la ricerca di serenità, evidente nel primo tema, è percorsa da uno stato ansioso, certamente indotto anche dalla grave contingenza storica della guerra, che coinvolge anche il secondo tema dalla complessa e instabile struttura armonica nonostante il pedale di mi bemolle. Una struttura tripartita tipicamente pizzettiana presenta il secondo movimento, Adagio, con una prima parte che sviluppa un tema di carattere lirico, quasi una supplichevole preghiera, e una seconda contrastante nella quale non mancano, in una forma rielaborata, echi del tema principale. Il terzo movimento, Turbinoso, inizialmente sembra uno scherzo di ascendenza beethoveniana, mentre, in realtà, è una splendida sintesi dei movimenti precedenti e soprattutto del primo i cui temi vengono riproposti e rielaborati.
Il presente articolo è tratto dalla mia monografia, Ildebrando Pizzetti “Il mio amore per il teatro”, Monza, Casa Musicale Eco, 2013.