L’11 marzo del 2018 si è celebrato il bicentenario della nascita di un genio della danza, Marius Ivanovič Petipa, nato a Marsiglia l’11 marzo del 1818. Proveniente da una famiglia francese di artisti – il padre ballerino e maȋtre de ballet, la madre attrice – iniziò a prendere le prime lezioni di danza alla giovane età di sette anni, nonostante non provasse grande attrazione per quest’arte. La sua prima esibizione risale a quando aveva appena nove anni, in una coreografia realizzata dal padre, La Dansomanie, mentre all’età di sedici anni risale il suo primo lavoro a Nantes, nel ruolo di ballerino e maȋtre de ballet. Perfezionò la sua tecnica con il maestro Vestris e subito si affermò come primo ballerino, riscontrando consensi positivi dal pubblico; partì alla volta dell’America e poi della Spagna presso il Teatro Reale di Madrid, dove ebbe modo di comporre i suoi primi balletti e arricchirsi di nuove esperienze. Dopo una breve pausa in Francia, ricevette l’invito da parte del vecchio maȋtre de ballet di Russia, Titus, per ricoprire la carica di primo ballerino presso i Teatri Imperiali e, nel 1869, quella di premier maȋtre de ballet al Teatro Marijnskij. Il 17 maggio del 1847 partì per San Pietroburgo, dove rimase fino alla morte, avvenuta il 1° luglio del 1910, dopo aver prestato cinquantasette anni di servizio e aver servito quattro imperatori.
Con l’arrivo di Petipa in Russia si era aperto, per la corte degli zar, un florido periodo che sarebbe durato fino agli inizi del 1905, facendo di San Pietroburgo un punto di passaggio obbligato attirando grandi ballerine, scenografi, eccellenti maestri e strappando il primato alla Francia con l’investimento di ingenti risorse nelle grandi creazioni del balletto romantico.
La stagione di Petipa, in qualità di maȋtre de ballet, ebbe inizio con la partenza di Arthur Saint-Léon. Egli mise in campo la propria genialità, frutto di attento studio e passione nella ricerca di libretti, e diede vita a petits ballets, divertissements, danze per opere e, soprattutto, realizzò balletti spettacolari, suscitando l’ammirazione del pubblico. La Figlia del Faraone (1862) fu uno dei suoi primi successi, seguito da alcuni tra i più importanti capolavori come La Bella del Libano (1863), Don Chisciotte (1869), Sogno di una notte di mezza estate (1876), La Bayadère (1877), La Bella addormentata (1890), Lo Schiaccianoci (1892), Cenerentola (1893), Il Lago dei Cigni (1895), Raymonda (1898), Arlequinade (1900). Tra le opere più conosciute che furono rimontate dal grande maestro ricordiamo Paquita (1881), Coppélia (1884), Esmeralda (1886), Giselle (1887), ai quali conferì la forma che ancora oggi in parte conosciamo.
Lavorò con ballerine di altri paesi, tra cui molte italiane come Pierina Legnani, Virginia Zucchi, Carlotta Brianza, Carolina Rosati, alle quali limitò l’eccesso di virtuosismo, definito ‘circense’, mettendo in prima linea non solo la buona tecnica, ma soprattutto l’armonia in relazione alla musica, l’immedesimazione nel ruolo, l’espressività dei movimenti, dei volti. Realizzò inoltre un corpo di ballo in cui i ballerini avevano una collocazione gerarchica; seppe coniare un linguaggio che nasceva dalla fusione di una tecnica atletica italiana e un gusto raffinato francese, dotato di sobrietà nello stile nell’esaltazione della bellezza e della raffinatezza muliebre. Mostrava la parte migliore di ciascun ballerino, le variazioni femminili furono il suo forte, a differenza di quelle maschili, dando la giusta importanza nel passo a due alla donna, fulcro dell’azione scenica, ed evidenziandone la grazia e l’armonia delle linee e delle pose, sì da far risaltare con eleganza e maestria il passo. La dedizione al proprio lavoro è testimoniata dal fatto che preparava le coreografie in casa, servendosi di figurine in cartapesta che rappresentavano i ballerini, mossi a mo’ di scacchi, per allestire corali, parti solistiche, pas de deux. Si interessava in prima persona della scelta dei ballerini, dei costumi, della composizione musicale, redatta dai più famosi compositori russi, quali P. Čajkovskij e A. Glazunov.
In particolare Petipa fu molto legato a Čajkovskij e la loro collaborazione si rilevò perfetta: il musicista seguì le direttive impartite dal maȋtre de ballet, che prescriveva i tempi e le misure necessarie ai movimenti dei ballerini, per esplicare nel modo migliore l’azione emotiva. Aveva creato un nuovo stile, imponendo una ferrea disciplina e lasciando un’importante eredità di grand ballet. In età avanzata gli ultimi lavori furono Lo specchio magico (1903), che fu un fallimento, e il Romanzo di un bocciolo di rosa e di una farfalla (1904), mai messo in scena a causa della guerra russo-nipponica.
Ormai inabile a causa dei problemi di salute, dovette lasciare spazio alle nuove generazioni che si facevano strada nel secolo appena incominciato e che avrebbero dato vita a nuove esperienze e visioni nell’arte della danza.