Verona, Teatro Filarmonico: “Otello”

Teatro Filarmonico di Verona, Stagione lirica 2017-18
OTELLO”
Dramma lirico in quattro atti, Libretto di Arrigo Boito.
Musica di Giuseppe Verdi
Otello KRISTIAN BENEDIKT
Jago VLADIMIR STOYANOV
Cassio MERT SÜNGÜ
Roderigo FRANCESCO PITTARI
Lodovico ROMANO DAL ZOVO
Montano NICOLÒ CERIANI
Un araldo GIOVANNI BELLAVIA
Desdemona MONICA ZANETTIN
Emilia ALESSIA NADIN
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Coro di Voci bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani
Direttore Antonino Fogliani
Maestro del Coro Vito Lombardi
Regia Francesco Micheli
Scene Edoardo Sanchi
Lighting designer Fabio Barettin
Costumi Silvia Aymonino
Allestimento del Teatro La Fenice di Venezia
Verona, 4 Febbraio 2018
“Io odio il Moro”. Queste le prime parole del terribile monologo di Jago, le stesse che colpiscono immediatamente lo spettatore al momento dell’ingresso in sala. Il pubblico ha tutto il tempo di interiorizzare le parole di Shakespeare, scritte a caratteri cubitali su uno dei due enormi velari sovrapposti davanti alla scena, prima che quello stesso velario cada, a pochi minuti dall’inizio dell’opera. La potenza di quell’ I hate the Moor attraversa i secoli e lascia addosso una colpevole sensazione di ribrezzo per Jago, uomo da sua stessa definizione velenoso. Rimane a quel punto solo il velo che reca in bianco e blu gli splendidi disegni medievali delle costellazioni, al centro delle quali la regia pone acutamente quelle del Leone e dello Scorpione, individuati nel dualismo che permea l’intera opera: la forza bruta e incontrollata del re della savana aizzata dal veleno dell’insetto, che per sua stessa natura non può che contaminare e guastare la regalità propria del leone come del Moro all’inizio dell’opera. Si parte con la tempesta, resa efficacemente dai gesti del coro vestito di grigio che richiama con le mani e con dei modellini di velieri variamente colorati il movimento delle onde, evidenziando così un altro dei punti focali dell’opera, ovvero gli altalenanti stati d’animo che Otello attraversa nel corso del dramma. Ma queste non sono che alcune delle simbologie portate in scena da questo interessante allestimento della Fenice di Venezia, con la regia di Francesco Micheli e le scene di Edoardo Sanchi, ripreso per il Filarmonico di Verona da Giorgia Guerra. A dominare le umane passioni troviamo le costellazioni ma anche Venere e l’idra di Lerna; la precarietà dell’esistenza e dei sentimenti ben si riflette nel galleggiamento del I atto, mentre Venezia non viene richiamata che dalla bandiera col leone, nella quale Jago avvolge come in un sudario Otello alla fine del terzo atto. Al centro della scena un grande cubo girevole che viene portato avanti e indietro in base alle esigenze sceniche diventa camera da letto decorata all’orientale, salone, stanza di Jago. La costante rimane comunque sempre lui, lo scorpione, il perfido alfiere che ovunque Otello si trovi vede e sente ogni cosa, nascosto dietro un angolo del cubo. I costumi, curati da Silvia Aymonino, non definiscono nettamente l’ambientazione, rimanendo generalmente attribuibili a un tardo ottocento. Anche l’ingresso di Desdemona in scena è abilmente curato dalla regia di Micheli: una madonna da processione mariana è l’immediato riflesso di una Desdemona che per tutta la rappresentazione rimane algida, pura e impalpabile; quando in scena troviamo quella stessa madonna riversa in terra sappiamo, insieme con la nobile sposa di Otello, che sta arrivando la resa dei conti. Un momento reso con particolare efficacia è quello della rissa tra Roderigo e Cassio, ambientata in una caserma con letti bianchi, quasi da ricovero ospedaliero: i militari salgono sui letti e manifestano la loro ubriachezza molesta ondeggiando sguaiatamente e prendendosi a cuscinate. Una caduta di stile sono sembrati invece i mimi conciati da non meglio definibili ombre infernali che circondano Otello e lo opprimono schiacciandolo nei suoi peggiori incubi di tradimento e infedeltà, come anche la passeggiata finale del Moro e Desdemona che, liberati dalle mortali spoglie, si avviano mano nella mano verso la luce dell’aldilà: il cliché kitschottello era nascosto dietro l’angolo a far compagnia a Jago, un Vladimir Stoyanov vocalmente all’altezza del ruolo, ma, almeno in questa Prima, ancora non abbastanza velenoso. Il timbro è caldo e il fraseggio misurato, come anche l’uso delle dinamiche. Tuttavia nell’interpretazione di Stoyanov è più forte la maschera dell’alfiere fedele che il tratto orripilante del mostro nascosto al di sotto di quella. In buona sostanza, il suo Credo è ben fatto ma non particolarmente toccante. Otello era Kristian Benedikt, cui pure avrebbe giovato un approfondimento delle sfumature psicologiche del personaggio ma che tuttavia porta a casa un’ottima prova vocale, inficiata solo a tratti da problemi emissivi e da una dizione non esattamente intelligibile. Il fraseggio non mostra particolari sciccherie ma nel complesso, conoscendo la difficoltà del ruolo, Benedikt fa davvero un bel lavoro, mostrando grande talento e stupendo per la facilità in ogni registro. Reginetta della serata resta senza dubbio la Desdemona di Monica Zanettin, assolutamente perfetta per il ruolo e in ottima forma vocale: ben diretta scenicamente, la Zanettin dà il meglio nel quarto atto: la canzone del salice e l’Ave Maria sono commoventi e chiamano ineluttabilmente applausi e ovazioni a scena aperta. L’emissione è sicura, il fraseggio curatissimo e, cosa che non diamo affatto per scontata, i pianissimi sono veramente pianissimi. L’innegabile physique du rôle contribuisce a rendere la sua interpretazione sentita e credibile. Chapeau. Molto bene anche il fresco e baldanzoso Cassio di Mert Süngü, molto efficace scenicamente e dal colore interessante; bene anche l’Emilia di Alessia Nadin, credibile nelle vesti della moglie di Jago, oltre che vocalmente sicura. Tra i comprimari spicca il Lodovico del bravo Romano Dal Zovo, ma se la cavano bene anche Francesco Pittari nei panni di Roderigo, Nicolò Ceriani (Montano) e Giovanni Bellavia (Un araldo). La concertazione era affidata ad Antonino Fogliani, che mostra particolare accortezza nell’assecondare le voci, seguendo una direzione filologica e rispettosa dei tempi e delle dinamiche verdiane. Qualche scollamento tra buca e palco nel primo atto non inficia troppo pesantemente uno spettacolo nel complesso riuscitissimo. Molto bene il Coro, preparato come sempre da Vito Lombardi, ma ottima anche la prova del Coro di voci bianche A.Li.Ve., diretto da Paolo Facincani. Lo spettacolo viene salutato da calorosi applausi per tutti gli artisti coinvolti, particolarmente per Monica Zanettin. Foto Ennevi per Fondazione Arena