Il penultimo lavoro di Umberto Giordano è un’operetta, Giove a Pompei, scritta in collaborazione con Alberto Franchetti su libretto di Luigi Illica completato da Ettore Romagnoli in quanto la composizione, iniziata nel 1899, si protrasse per oltre vent’anni e Illica non riuscì a completare il libretto essendo morto prima. Rappresentata per la prima volta al Teatro La Pariola di Roma il 5 luglio 1921, con Riccardo Masucci (Parvolo Patacca), Francesco Greggio (Aribobolo), Francesco Fortezza (Marcus Pipa) e Luigi Merazzi (Giove) e con la direzione di Ezio Virgili, ebbe un successo strepitoso che andò via via crescendo fino al punto da essere applaudito ogni pezzo. Il pubblico apprezzò non solo la finezza e l’originalità della musica ma anche la sfarzosità della messa in scena. Caduta in oblio dopo tanto successo, l’operetta ritornò sulla scena nel mese di maggio 2017 a novantasei anni dalla sua prima rappresentazione, al Teatro Umberto Giordano in occasione della commemorazione del 150° anniversario dalla sua nascita ed è stata riproposta nel mese di luglio dello stesso anno nello scenario degli scavi archeologici di Pompei presso il Teatro Grande con Sergio Vitale (Giove), Daniela Bruera (Lalage), Matteo D’Apolito (Parvolo Patacca), Francesco Pittari (Marcus Pipa), Angela Bonfitto (Calpurnia), Italo Proferisce (Aricia), Graziano De Pace (Macrone Massimo), Orazio Taglialatela Scafati (Ganimede), sotto la direzione di Gianna Fratta.
Atto primo. Pompei 79 d. C. È l’ora terza ante lux e sono in corso i preparativi per accogliere l’imperatore egizio Faraone XIII. Per questa occasione i Pompeiani, guidati da Parvolo Patacca, secondo la loro abitudine di fingere il ritrovamento di nuovi reperti archeologici da mostrare ai visitatori, organizzano una nuova scoperta di antichi cimeli. Mentre sono in corso i nuovi scavi, Patacca scopre di non avere più cimeli da mostrare al Faraone per cui, insieme ai Pompeniani, decide di seppellire negli scavi tutte le statue degli dei, suscitando l’ira del Gran Sacerdote Aricia il quale, apprendendo che lo stesso trattamento sarebbe stato riservato alla statua di Giove, il sommo padre degli dei, va via gettando la chiave del tempio tra le rovine non senza aver prima dichiarato la morte della religione. Mentre procedono i lavori controllati da Patacca e fatti eseguire dal capo dei pompieri, Marcus Pipa, giunge la contadina Lalage la quale chiede dove saranno alloggiati i soldati di ritorno dalla campagna d’Africa tra i quali vi è il suo fidanzato, lo spavaldo e fanfarone Aribobolo; riceve, però, informazioni volutamente erronee dal parrucchiere Macrone. Durante lo svolgimento dei lavori, un gruppo di Pompeiani si distrae corteggiando alcune bellissime serve pompeiane e a loro si unisce Pipa che amoreggia con Calpurnia, serva del Gran Sacerdote; in quel momento si sparge la notizia che il Gran Sacerdote ha avuto una visione dopo aver visto i fumi sacrificali dirigersi verso il basso e non verso l’alto. Intanto fanno ritorno in patria i soldati guidati da Aribobolo il quale, alla ricerca di Lalage, riceve anche lui indicazioni sbagliate dallo stesso malvagio parrucchiere Macrone. Poco dopo fa il suo ingresso anche il Faraone con il suo seguito, accolto dalle matrone pompeiane guidate da Calpurnia, alle quali si associano tutti i cittadini cantando inni in onore del sovrano egizio.
Atto secondo. Patacca sta mostrando a Faraone III e a sua moglie i nuovi reperti trovati durante gli scavi tra cui il biberon usato per allattare Romolo e Remo, mettendo in discussione la leggenda della lupa, quando un gruppo di Pompeiani terrorizzati riferiscono, balbettando per la paura, che Aricia, in una visione, ha visto la distruzione di Pompei e poco dopo viene portato sulla scena lo stesso Gran Sacerdote il quale annuncia che Giove, adirato per il sacrilegio commesso, ha deciso di scendere sulla terra per punire i Pompeiani. Patacca, tuttavia, astutamente trova il rimedio per placare Giove, sfruttando la predilezione del dio per le donne; egli, infatti, chiede alle matrone di concedersi al dio per salvare la patria. Le donne, alle quali si unisce anche la moglie del sovrano egizio, accettano e sfilano in corteo inneggiando all’amore. All’improvviso rimbomba un tuono e dal cielo scende, accompagnato da Ganimede, Giove ormai vecchio e stanco, alla cui vista i Pompeiani perdono ogni speranza di salvezza, ma il dio, fischiettando, invoca l’aiuto di Venere (Aria: Vien Venere, vien!). In quel momento giunge la sconsolata Lalage la cui bellezza suscita l’immediato interesse di Giove, ma la giovane, scambiandolo per uno scrivano ed essendo analfabeta, gli chiede di leggerle un papiro mandatole da Aribobolo. Giove, quando scopre che trattasi di una lettera d’amore, indignato, va via dopo aver gettato il papiro nella casa del Gran Sacerdote che, leggendo il contenuto della lettera, grida al miracolo, ritenendola di provenienza divina dal momento che odorava di ambrosia. Nella lettera Aribobolo aveva scritto di attendere l’innamorata all’Albergo della Stella dove si precipita Lalage. Giove, vedendo da lontano Lalage con Arcibobolo, si dispera e, restando insensibile alle attenzioni riservategli dalle altre donne, persiste nella sua volontà di distruggere Pompei. Anche l’astuto Patacca non demorde e, approfittando del fatto che Arcibobolo è tenuto in ostaggio all’Albergo per non aver pagato il conto del lauto pranzo consumato, offre a Lalage cinquecento dracme in cambio della sua collaborazione per l’attuazione di un piano da lui progettato; chiede a Lalage di entrare nelle Terme e di uscirne ad un suo cenno. Lalage accetta e si reca nel luogo stabilito, ma Patacca, sapendo che la ragazza non avrebbe tradito Arcibobolo, con l’aiuto di Macrone decide di fare entrare nella camera di Giove, al buio, Calpurnia, in modo da darle l’illusione di trovarsi con Lalage. Giove, rimasto solo sulla scena, dopo un momento di autocompassione per la sua vecchiaia che fa apparire ridicolo il suo innamoramento, assapora la felicità che avrebbe provato con Lalage tanto da decidere di restare per sempre sulla terra e rinunciare alla sua divinità (Innamorato alla mia tarda età … Ma se a Lalage penso). In quel momento giunge Patacca il quale, dopo essersi fatto promettere da Giove che avrebbe risparmiato Pompei, gli dice che Lalage lo sta aspettando nelle Terme nel camerino di cui fornisce il numero. Il piano di Patacca, però, fallisce perché Ganimede avvisa Aribobolo di ciò che sta accadendo alle Terme per cui il furioso soldato si precipita nel camerino e trascina fuori alla luce Calpurnia da lui scambiata per Lalage. Giove, infuriato, decreta la distruzione di Pompei.
Atto terzo. All’improvviso si scatena una furiosa tempesta e il Vesuvio si fa minaccioso; a questo punto Patacca chiede a Lalage di sacrificarsi per la salvezza della città. La giovane accetta (O dolci giorni del mio puro april) e implora Giove a sospendere la sua vendetta dicendosi pronta a concedergli i suoi favori, ma ormai l’ordine è stato dato e il dio può solo dilazionare l’evento per non più di venti minuti concessi ai Pompeiani per mettersi in salvo. Intanto Ganimede, preoccupato per la reazione di Giunone e degli altri dei, mentre Giove è andato a liberare Arcibobolo, consegna a Lalage una coppa di cecubo da offrire a Giove. Bevendo questo filtro, il dio rinsavisce e, dopo aver benedetto i due fidanzati, risale con Ganimede verso l’Olimpo salutato appassionatamente dalle matrone che restano a guardare affascinate l’eruzione del Vesuvio.