Torino, Teatro Regio, Stagione d’opera 2017-18
“SALOME”
Dramma in un atto dall’omonimo poema di Oscar Wilde nella traduzione tedesca di Hedwig Lachmann
Musica di Richard Strauss
Salone ERIKA SUNNEGÅRDH
Herodes GERHARD SIEGEL
Herodias DORIS SOFFEL
Jochanaan TOMMI HAKALA
Narraboth ENRICO CESARI
Un paggio di Erodiade MICHAELA KAPUSTOVÁ
Primo giudeo GREGORY BONFATTI
Secondo giudeo MATTHIAS STIER
Terzo giudeo SAVERIO PUGLIESE
Quarto giudeo YAROSLAV ABAIMOV
Primo nazareno ROBERTO ABBONDANZA
Secondo nazareno JOSHUA SANDERS
Primo soldato ANDREA COMELLI
Secondo soldato FEDERICO BENETTI
Un uomo di Cappadocia DESARET LIKA
Un uomo di Cappadocia DESARET LIKA
Uno schiavo DANIELA VALDENASSI
Orchestra del Teatro Regio di Torino
Direttore Gianandrea Noseda
Versione in forma semiscenica di Laurie Feldman
Costumi a cura di Laura Viglione
Luci Andrea Anfossi
Torino, 18 febbraio 2018.
L’inizio del progettato ciclo dedicato agli allestimenti straussiani di Robert Carsen – da alternare alle regie dedicate dal canadese alle opere di Janacek – ha dovuto scontrarsi con gli accidenti del caso. L’incidente scenografico avvenuto in occasione della precedente produzione di “Turandot” e i successivi accertamenti giudiziari hanno reso impossibile riproporre l’allestimento di “Salome” creato da Carsen nel 2008 e hanno costretto il teatro a ripiegare su una versione semiscenica firmata da Laura Feldman chiamata in origine a riprendere la regia originale di Carsen. Il risultato è stato però sopra anche le più rosee aspettative. Rispetto allo spettacolo originale fin troppo sovraccarico di elementi l’essenzialità dell’esecuzione proposta – scena nera, alcune sedie come unico arredo, costumi neutri, raffinatissimo gioco di luci – riusciva a concentrare con ancor maggior efficacia i gangli drammaturgici della vicenda. E se alcuni elementi risultavano forse fin troppo astratti – le morti di Narraboth e Salome semplicemente non esistevano al di fuori della musica – in altri lo spettacolo raggiungeva ammirevoli vette espressive che toccavano il loro apice nella poeticissima esecuzione della danza dei sette veli risolta nella totale immobilità dei tre protagonisti sapientemente illuminati mentre intorno a loro domina con la sua forza evocativa la musica di Strauss; immobilità che viene rotta solo nelle fasi finali quando l’intera corte si muove con fare minaccioso verso la principessa sola e immobile, immagine fortissima di quel senso di angosciosa oppressione che dilania l’anima di Salome e di cui l’infatuazione per il Battista rappresenta l’ultimo disperato tentativo di evasione che – a differenza dell’originario spettacolo di Carsen – qui rimane affogato nel nero spazio senza vie di fuga della scena.
In questo contesto la parte musicale acquisiva una centralità assoluta e fortunatamente i complessi del Teatro Regio hanno dato una prova semplicemente maiuscola. Già in altre occasioni si è notata la predisposizione del maestro Gianandrea Noseda per il repertorio tedesco ma quella offerta in quest’occasione è forse la sua miglior prova torinese. Quella del direttore è una lettura magmatica e vorticosa, fatta di ritmi tesi fino al parossismo, di esplosioni sinfoniche deflagranti che si succedono come ondate di un oceano tumultuoso che al momento opportuno si sciolgono come spuma in trasparenze cameristiche per poi riacquisire la loro turbinante potenza. Noseda riesce a coniugare con assoluto rigore chiarezza di articolazione e caleidoscopica ricchezza di timbri e colori con una potenza sonora titanica ma controllatissima. Una prova emozionante possibile anche grazie all’orchestra del Regio capace di esaltarsi nella perfetta intesa con il direttore e di fornire una prestazione complessiva perfettamente allineata alla qualità della direzione.
Se proprio si vuole trovare un difetto alla direzione di Noseda, questo sta nella sua prevalenza su un cast non sempre in grado di seguirlo. Problemi che risultavano particolarmente evidenti nella protagonista, una Erika Sunnegårdh spesso decisamente impari alle richieste del ruolo. Voce educata e corretta anche se non particolarmente suggestiva sul piano timbrico, con un settore acuto di buona presenza ma troppo povera di suono e volume nei centri e nei gravi che troppo spesso tendono a essere totalmente sommersi dal mare orchestrale e anche sul piano interpretativo incapace di andare oltre una generica professionalità con un fraseggio decisamente troppo povero per rendere lo scavato abisso della scena finale. A Doris Soffel (Herodias) non si può chiedere oggi il ricco velluto degli anni migliori. La voce risulta più secca, più aspra, spesso tendente al parlato o al grido ma il personaggio concede qualche cosa al riguardo specie se a contraccambio ci sono l’ancor notevolissima presenza scenica, il temperamento da autentica leonessa e la qualità dell’interprete doti che alla Soffel non difettano minimamente. Tommi Hakala si mostra molto più a suo agio come Jochanaan che nel Mastro Ford affrontato negli scorsi mesi. La voce è notevole per robustezza ed emissione e l’interprete misurato e molto musicale. Il baritono finlandese esalta l’asprezza morale del profeta, duro come le rocce del suo deserto nella scena con Salome. Subentrato in extremis all’indisposto Robert Brubaker, Gerhard Siegel è stato forse il vero trionfatore della serata. Un Erode di fortissimo impatto, ottimamente cantato con una voce non bellissima – come giusto che sia vista la natura del ruolo – ma tecnicamente inappuntabile e ottimamente proiettata capace di svettare anche sulle più intese sonorità orchestrali. Sul piano espressivo Siegel ha saputo cogliere tutte le sfumature del personaggio, tutte le fragilità e le ossessioni costruendo una figura perfettamente riuscita sia sul piano vocale che su quello teatrale. Con il suo timbro schietto e solare Enrico Casari è un Narraboth pienamente riuscito; robusta ed efficacie Michaela Kapustová come Paggio di Erodiade e valido nel complesso il corposo lotto delle parti di fianco (si rimanda alla locandina per i nominativi dei singoli interpreti).Buona presenza di pubblico e successo convinto per tutti gli interpreti.