Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2017/2018
“DIE FLEDERMAUS” (Il pipistrello)
Operetta in tre atti di Carl Haffner e Richard Genée, da Le Reveillon di Henri Meilhac e Ludovic Halévy.
Musica di Johann Strauss
Eisenstein PETER SONN
Rosalinde EVA MEI
Dr. Falke MARKUS WERBA
Frank MICHAEL KRAUS
Adele MARIA NAZAROVA
Princesse Orlofskaya ELENA MAXIMOVA
Alfred GIORGIO BERRUGI
Dr. Blind KRESIMIR SPICER
Ida ANNA DORIS CAPITELLI
Frosch PAOLO ROSSI
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro alla Scala
Direttore Cornelius Meister
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Cornelius Obonya
Co-regista Carolin Pienkos
Scene e costumi Heike Scheele
Luci Friedrich Rom
Coreografia Heinz Spoerli
Video Alexander Scherpink
Nuova produzione Teatro alla Scala
Milano, 31 gennaio 2018
Spezzando un ingiustificato oblio, il Pipistrello vola dal Danubio ai Navigli debuttando per la prima volta alla Scala. Il Piermarini riapre finalmente le porte all’operetta con Die Fledermaus, capolavoro di sua maestà il Re dei Valzer Johann Strauss II, nel nuovo allestimento affidato a Cornelius Obonya coadiuvato da Carolin Pienkos. Ci saremmo forse aspettati per questo titolo un debutto scaligero più classico, intriso del dorato sfarzo dei salotti viennesi, ma ci ritroviamo invece immersi in una località sciistica – Kitzbüel, tra Salisbugo e Innsbruck – meta oggi in voga tra miliardari annoiati provenienti da tutto il mondo. Nulla a che vedere con l’elegante atmosfera dell’Austria Felix, ma piuttosto una trasposizione attuale che ambienta la vicenda nel contesto contemporaneo di una società globalizzata (da qui la scelta di introdurre nello spettacolo dialoghi in più lingue: italiano, tedesco francese), stereotipata nella rappresentazione di un covo di ricchi snob ossessionati da status, denaro, alcool e qualsiasi esclusivo bene di consumo. Tutto questo è molto ben rappresentato da costumi e scene di Heike Scheele con luci di Friedrich Rom. Il primo atto si apre su un lussuoso loft che lascia intravedere suggestivi monti innevati (elemento sempre presente sul fondo) da ampie vetrate, con interni ricercati all’insegna di arte e design, con una tra le più celebri sculture di Alberto Giacometti e una simbolica Ghost Chair firmata Philippe Starck. Imponente e volutamente eccessivo è pure il salone che accoglie la festa di gala nell’atto secondo, con grandi scalinate circondate da una moltitudine di trofei di caccia allusivi alla vena adulterina che scuote l’intera vicenda, tanto quanto il grande cervo argentato nel centro della scena. Tutt’altro che angusto infine il carcere del terzo atto, più vicino a una nobile camera con vista che a una cella. Una messinscena, in sintesi, che può senz’altro dividere per estetica e libertà d’interpretazione (ri)scatenando l’eterna guerra tra melomani conservatori e non, ma lo spettacolo è godibile, coinvolge quanto basta e scorre fluido dall’inizio alla fine. Per il resto, “à chacun son gout”. La concertazione di Cornelius Meister – che subentra a un indisposto Zubin Mehta – è nel suo insieme corretta e convincente, godendo di un buon equilibrio tra l’enfasi travolgente del valzer che muove l’intera operetta e quegli squarci di malinconia che di frequente la innervano di struggente lirismo. Sotto la bacchetta del direttore tedesco, l’Orchestra del Teatro Alla Scala riesce a restituire – fin dall’esplosivo pot-pourri dell’Ouverture – tutto quel brio scintillante che trasuda dalla raffinata partitura straussiana.
Anche il cast regala soddisfazioni, tanto dal punto di vista attoriale quanto sul fronte vocale.Eva Mei è una Rosalinde elegante ed incisiva, spiritosa nel fraseggio e a suo agio nei dialoghi in tedesco. L’esperienza e la padronanza tecnica cui il soprano marchigiano ci ha abituati, garantiscono un legato eccellente ed emissione sempre cristallina tanto negli acuti quanto nella tessitura centrale. Eccellente in particolare nella Csárdás – tributata da applausi a scena a aperta – e nel Terzetto del primo atto “So muss allein ich bleiben”, dalla simulata tragicità dell’addio all’ironica e spumeggiante parentesi di polka “O je, o je wie rührt mich dies” (Oh, oh, che dolore!). Il ruolo virtuosistico della cameriera Adele è ben ricoperto dal soprano Maria Nazarova, più esile vocalmente ma perfettamente in parte, disinvolta in scena, maliziosa e insolente al punto giusto. Il timbro è morbido e fresche le agilità e i picchiettati nella celebre “Mein Herr Marquis”, approdando senza problemi anche alla serie di couplets di “Spiel’ ich die Unschuld com Lande” nel terzo atto. Elena Maximova rivela invece qualche limite in più a livello di intonazione, unito a una dizione perfettibile e un’intenzione scenica piuttosto monocorde. In questo allestimento il mezzosoprano veste i bianchi panni femminili di Orlovskaya, trasfigurando l’originaria figura en travesti del principe in una stereotipata miliardaria russa. Tra le voci maschili svetta incontrastata la brillante prova di Markus Werba, deus ex machina della vicenda nel mefistofelico ruolo eponimo del Doktor Fledermaus, alias Falke. Talvolta sopra le righe ma assoluto padrone della scena, il baritono austriaco convince sia dal punto di vista attoriale – gustosissimi i suoi interventi nei dialoghi italo-tedeschi – sia per spessore vocale, forte di un fraseggio variegato e bel timbro brunito, dando sempre un buon contributo nei numerosi duetti e terzetti e seducendo il pubblico nell’introduzione al grande concertato del secondo atto “Brüderlin und Schwersterlein”. Peter Sonn è un Eisenstein corretto e preciso nonostante una pasta vocale di non particolare appeal, ma lucente e omogenea. Il tenore austriaco convince maggiormente nel primo atto negli scambi con la moglie e nel brioso duetto con Frank (“Komm’ mit mir zum Souper”), mentre appare meno a fuoco nei tratti più drammatici come lo sfogo di rabbia finale nel terzetto “Ein seltsam Abenteuer” che evade dai ritmi ballabili generalmente associati al personaggio. Alfred ha l’esile voce e le imponenti sembianze di Giorgio Berrugi, adattissimo nel ricoprire il ruolo-caricatura del tipico tenore italiano, gigione e narciso. A lui si affidano numerose arie prese in prestito dal repertorio operistico nostrano (da Verdi, Puccini, Rossini, Giordano e altri), tutte eseguite con ironica disinvoltura. Buone infine le prove del direttore del carcere Frank (Michael Kraus), l’avvocato Blind (Kresimir Spicer, ormai un habitué del palco scaligero) e la Ida di Anna Doris Capitelli. Simpatico l’intervento di Frosch impersonato da Paolo Rossi (in sostituzione di Nino Frassica, scritturato in origine) nella sua parentesi di cabaret del terzo atto, con un monologo satirico impregnato di luoghi comuni italiani che nonostante qualche battuta tra l’ovvio e lo scontato diverte e strappa più di un sorriso alla platea. Sempre eccellente l’apporto del Coro preparato da Bruno Casoni e del corpo di ballo guidato dal coreografo Heinz Spoerli. Al calare del sipario si registrano più applausi di cortesia che un vero e proprio trionfo, per un debutto che divide ma che, tra luci e ombre, possiamo considerare ben riuscito. Le recite si chiudono con l’ultima replica pomeridiana del prossimo 11 febbraio. Foto Brescia & Amisano