Opera in un prologo, quattro atti e un epilogo su libretto di Arrigo Boito. René Pape (Mefistofele), Joseph Calleja (Faust), Kristīne Opolais (Margherita), Karine Babajanyan (Elena), Hieke Grötzinger (Marta), Andrea Borghini (Wagner), Rachel Wilson (Pantalis), Joshua Owen Mills (Nereo). Bayerisches Staatsorchester, Omar Meier Wellber (direttore), Roland Schwab (regia), Pietro Vinciguerra (scene), Renée Listerdal (costumi), Michael Bauer (luci), Stefano Giannetti (coreografie). Registrazione: Monaco, Bayerisches Staatsoper, 6 novembre 2016 T.Time: 140′. 1 DVD Unitel LC15762.
Di questa produzione di “Mefistofele” andata in scena nel 2016 alla Bayerisches Staatsoper di Monaco a colpire è soprattutto la parte visiva. Nel bene o nel male lo spettacolo di Roland Schwab è fra quelli che si imprimono nella memoria dello spettatore. A parere dello scrivente più in chiave negativa che positiva ma questo è un ambito dove le sensibilità personali risultano dominanti.
Fin dal prologo Schwab immerge lo spettatore in un mondo cupo e degradato, privo di ogni speranza. L’impianto scenico sostanzialmente essenziale di Pietro Vinciguerra consta di una struttura tubolare metallica, una sorta di galleria in costruzione, che definisce lo spazio arredato poi da pochi ed essenziali elementi. Il prologo in cielo è una discarica – soprattutto di strumenti musicali – popolata da prostitute e diseredati che formano una corte dei miracoli intorno a Mefistofele; il cielo non esiste, i cori degli angeli vengono da un vecchio grammofono attivato da diavolo, le visioni celesti sono le proiezioni di uno schermo da drive in (alcune chiare come le teorie angeliche o l’interno di cupole chiesastiche altre apparentemente scisse dal contento: aerei in volo, grattacieli di New York, il primo piano di John Lennon). La recitazione è da subito molto caricata – Faust umiliato dagli sgherri di Mefistofele durante il “Salve Regina” – e il segno estetico fissato una volta per tutte. Più normale la kermesse del I atto con la struttura base che si trasforma in un padiglione dell’Oktoberfest immancabile complemento dell’immaginario bavarese; molto efficacie la cavalcata celeste di Faust e Mefistofele, qui una folle corsa in motocicletta su visioni urbane da cinema espressionista. Con un taglio di questo tipo fin troppo pacato il sabba romantico dove le trovate sono più che altro fini a se stesse – il cuore bovino che sostituisce il mondo nelle mani del demonio – mentre l’unico elemento forte è quello in quel contesto più disturbante per la sua illogicità drammaturgica, lo stupro di Margherita da parte di Faust nel pieno del sabba che annulla l’effetto dell’apparizione magica della fanciulla (senza insistere sull’ossessione patologica di troppi registi per lo stupro come unica forma di rapporto fra i sessi). Molto efficacie nella sua scabrezza espressionista la scena del carcere mentre a parere dello scrivente totalmente mancato il sabba classico che è sogno di un’ideale per quanto posticcio e artificioso (come coglieva alla perfezione Robert Carsen ambientandolo in quel paradiso di carta pesta della borghesia ottocentesca che fu il palcoscenico del teatro d’opera) e qui trasposto nella triste desolazione di una casa di riposo per anziani. Lo stesso ambiente serve da scenario per l’epilogo dove – con una delle migliori idee dello spettacolo – la luce divina fa capolino in questo mondo di tenebre con i cori angelici che continuano a risuonare nonostante il vecchio disco dell’inizio venga tolto e spezzato da Mefistofele. Spettacolo per molti versi estremo ma sicuramente da conoscere.
La parte musicale trova il suo apice nella vorticosa direzione di Omar Meier Wellber. Il giovane maestro israeliano sfrutta ogni possibilità della splendida orchestra a disposizione per offrire una delle migliori letture musicali ascoltate di quest’opera. Sonorità imponenti, grandiose, ma sempre pulitissime, ritmiche trascinanti. Il coro si mostra all’altezza di orchestra e direttore contribuendo in modo efficacie alla piena realizzazione musicale.
Il cast pur non perfetto è comunque nell’insieme più che godibile. René Pape è un grande Mefistofele. Certo la voce non ha il velluto di certi storici interpreti del ruolo e anzi risulta spesso chiara e un po’ secca ma la qualità del canto è notevole, i registri sono omogenei, il controllo sul fiato sicuro, la tessitura pienamente dominata. Ma se notevole è il cantante strepitoso è l’interprete, fraseggiatore accurato e attore fenomenale realizza un diavolo cinico e ironico, divertito e feroce, sempre accentratore di ogni attenzione e di ogni sguardo.
Di grande interesse nell’originalità dell’approccio la Margherita di Kristīne Opolais che del ruolo fornisce una lettura austera e asciutta, con un fraseggio in bianco e nero quasi espressionista che trova il suo punto culminante in una delle più suggestive letture che si siano ascoltate di “L’altra notte in fondo al mare”. Privata di ogni abbandono sentimentale l’aria diventa un allucinato, spettrale sonnambulismo – la mente corre inevitabilmente a Lady Macbeth – decisamente inquietante.
Meno compiuto il Faust di Joseph Calleja che canta con gusto e proprietà e un bell’afflato lirico ma il timbro è abbastanza anonimo e manca sia della sublime retorica del sabba classico sia dello slancio epicheggiante di “Giunto sul passo estremo”. Vocalmente valida – anche se molto penalizzata dalla regia (ma anche dal taglio dell’intero concertato “Amore! mistero! Celeste, profondo!) – l’Elena di Karine Babajanyan e pienamente funzionali le parti di fianco.