Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2017-2018
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Daniele Rustioni
Violino Francesca Dego
Ermanno Wolf-Ferrari: Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 26
Franz Schubert: Sinfonia n. 8 in do maggiore D 944 “La grande”
Venezia, 13 gennaio 2018
Una coppia di giovani musicisti – una violinista di straordinario talento e uno fra i più affermati direttori d’orchestra a livello internazionale, da qualche anno convolati a giuste nozze, coronando il loro rapporto d’amore e insieme il loro sodalizio artistico –; due artisti, che la passione per la musica unisce, ma anche divide (a causa dei rispettivi impegni in diverse parti del mondo), hanno avuto – grazie all’ingaggio da parte della Fenice – una delle poche occasioni di esibirsi insieme, sul palcoscenico del teatro veneziano, nel corso di una soirée, che aveva come primo titolo in programma quel Concerto in re minore per violino e orchestra di Ermanno Wolf-Ferrari, che la stessa coppia di esecutori ha contribuito a recuperare dall’ingiusto oblio, come testimonia, tra l’altro, un’incisione su CD, uscita abbastanza di recente.
La passione per la musica, intrecciata a quella amorosa – nutrita dall’attempato compositore per la giovane e affascinante solista, cui è dedicato – è sottesa al lavoro di Wolf-Ferrari, che a settant’anni suonati, fu colto – a quanto pare – da qualche turbamento per la ventisettenne violinista americana Guila Bustabo, per il cui straordinario talento concepì, appunto, il concerto, che venne eseguito per la prima volta, dalla stessa dedicataria, presso la Tonhalle di Monaco di Baviera, il 17 gennaio 1944, sotto la direzione di Oswald Kabasta. Un tale rapporto, così profondo, tra autore ed esecutrice – la quale, tra l’altro, contribuì alla composizione soprattutto per quanto concerne le cadenze – è forse alla base delle peculiarità di questo concerto, che si segnala, innanzi tutto, per la sua inusuale articolazione in quattro movimenti, mentre il suo impianto saldamente tonale, lo avvicina alla tradizione del concerto romantico. Ma la diffusa brillantezza dell’orchestrazione e una diffusa “teatralità”, insita nella raffinata partitura, costituiscono la cifra distintiva di un autore dalla vocazione “operistica”, famoso soprattutto per le sue rivisitazioni goldoniane. Magistrale l’esecuzione da parte di Francesca Dego. Amorevolmente accompagnata dall’orchestra precisa e partecipe, complice il marito Daniele, l’interprete ha saputo esprimere – senza enfasi, ma con prefetto aplomb sul piano stilistico e tecnico, distillando un suono sempre tendenzialmente morbido e rotondo, anche nei passaggi “virtuosistici” – il lirismo, che percorre questo lavoro, nel cui primo movimento, Fantasia, domina un intenso pathos degno di un Brahms, a partire dal grande tema a note ribattute, composto “per lei e solo per lei”. Più disteso è risultato il gesto della solista nel rendere quel nostalgico vagheggiamento del Settecento, che si coglie nella successiva Romanza, percorsa da una grazia mozartiana, per quanto interrotta da lacerti di struggente espressività, che rimandano, ancora, ad una sensibilità di derivazione romantica. La quale si è colta, analogamente, sia nel terzo movimento, Improvviso, sia nel Rondò finale, in cui ritorna il citato tema del primo movimento, fino alla cadenza-stretta, che conclude uno dei più riusciti concerti del Novecento storico, nato da un testimone della tradizione, che ha il merito di non non scadere mai nella maniera. Applauditissima, la giovane “virtuosa” ha concesso ben due bis, nei quali è emerso ancora una volta tutto il suo talento: il Capriccio n. 24 di Paganini e la Sarabanda, dalla Partita n. 2 in re minore, BWV 1004 di Bach.
Nella seconda parte della serata è pienamente emerso il magistero direttoriale di Daniele Rusconi, che ha affrontato da par suo la monumentale partitura di Schubert. La Sinfonia in do maggiore “La grande” – composta, com’è ormai accertato, tra il 1825 e il 1826, vale a dire dopo l’Incompiuta, coincidendo con la misteriosa sinfonia “di Gastein”, invano cercata per anni – può essere considerata il risultato dello sforzo del compositore viennese, teso alla conquista di un proprio linguaggio sinfonico, in alternativa all’intimismo predominante in molta della sua precedente produzione, per adeguarsi alle nuove tendenze, in base alle quali – sull’esempio della Nona di Beethoven, eseguita per la prima volta presso il Theater an der Wien, il 7 maggio 1824 – la sinfonia aveva assunto i caratteri di un’opera concepita per un organico imponente e rivolta a sempre più vaste platee. Improntata ad una concezione “eroica”, coniugata alla proficua ricerca di sonorità diffusamente poderose e brillanti, è apparsa la lettura del maestro milanese, finalizzata a cogliere appieno anche altri aspetti, in buona parte innovativi, di questa partitura, la quale – anche per il superamento del criterio beethoveniano del contrasto e dello sviluppo drammatico, cui si sostituisce la ripetizione ricorrente del materiale tematico – precorre il sinfonismo tardo romantico (si pensi a Bruckner). Assolutamente all’altezza è risultata l’orchestra del Teatro La Fenice, di fronte a un lavoro – che Schumann ebbe a definire, con felice espressione, di “divina lunghezza” –, basato su un motivo elementare, che appare nel poderoso Andante introduttivo, intonato da due corni, e riappare ciclicamente, sotto diverse forme, conferendo unità alla partitura. Lo si è sentito risuonare, nel successivo Allegro ma non troppo, con la possente esclamazione dei tromboni; come nell’Andante con moto, dove imperiose affermazioni dei fiati si alternavano ad episodi teneramente imploranti (il dialogo fra oboe e violoncello, nella parte centrale, e altrove il richiamo “incantato”del corno). Una marcata energia ritmica ha animato lo Scherzo (Allegro vivace), che ha preparato lo slancio incontenibile del Finale, movimento di articolazione estremamente ampia, in cui la forma-sonata è portata ai limiti più estremi con il tema iniziale, che viene più volte ripreso e dilatato, fino al tripudio di suoni, che conclude la sinfonia, reso in tutta la sua prorompente bellezza dall’orchestra, come sempre in perfetta sintonia con l’energico gesto direttoriale. E il tripudio sonoro, che ha suggellato questa superba esecuzione, si è tradotto subito dopo in uno scrosciare di applausi festoso, appassionato, riconoscente.