Il 20 gennaio 1900 al Teatro San Ferdinando di Napoli andò in scena il dramma O Mese Mariano di Salvatore Di Giacomo tratto dalla novella Senza vederlo. Questo dramma ebbe una vasta popolarità tanto da essere rappresentata in varie città italiane. Ad una sua rappresentazione a Milano assistette Umberto Giordano che restò profondamente toccato dalla vicenda tanto da chiedere a Di Giacomo il consenso ad adattarla ad un’opera. Lo scrittore napoletano accettò volentieri e iniziò il lavoro di adattamento del dramma ad un libretto d’opera attuando parecchi cambiamenti pur nel rispetto del lavoro originale. Così la scena di apertura fu cambiata in un cortile soleggiato dell’orfanotrofio dal quale si vedeva in lontananza il paesaggio napoletano per permettere a Giordano di introdurre un coro di bambini; fu data, inoltre, maggiore importanza alle suore per cui l’opera assunse una caratterizzazione femminile. Mese mariano fu rappresentato per la prima volta il 17 marzo 1910 al Teatro Massimo di Palermo sotto la direzione di Leopoldo Mugnone con Livia Berlendi (Carmela), Maria De Loris (Madre superiora), Rosa Garavaglia (Suor Pazienza), Vittoria D’Ornelli (La Contessa), Maria Slacer (Suor Cristina), Gennaro Curci (Don Fabiano) e Arturo Romboli (Pietro). L’accoglienza entusiasta del pubblico palermitato si ripeté qualche mese più tardi al Costanzi di Roma dove fu rappresentata insieme a Cavalleria Rusticana sotto la direzione di Pietro Mascagni, mentre nel ruolo di Carmela cantò Emma Carelli. In seguito l’opera varcò l’oceano per giungere a Buenos Aires e a Montevideo per ritornare in Europa a Vienna e soprattutto alla Scala di Milano dove fu rappresentata il 15 novembre 1913 in una versione modificata da Giordano con l’eliminazione del personaggio di Pietro il pescatore. L’opera che non aveva riscosso il favore della critica quando era stata rappresentata il 10 aprile 1911 al Teatro San Carlo, non raggiunse mai la fama né del dramma di Di Giacomo né di altre opere di Giordano non riuscendo ad entrare stabilmente nel repertorio.
La vicenda è ambientata nel XIX sec. in un orfanotrofio di Napoli.
Nel cortile del giardino d’infanza nell’Albergo dei Poveri, alcuni bambini giocano allegramente in attesa che arrivi una benefattrice dell’orfanotrofio, la Contessa al cui arrivo le cantano una serenata mentre lei distribuisce loro dei doni. Valentina, poi, legge in suo onore un sonetto scritto da Don Fabiano. Alla fine la Contessa si avvia verso la chiesa e i bambini sono condotti nelle loro camere. Entra allora nel cortile Carmela con un dolce appena fatto e chiede a Suor Pazienza di poter vedere il suo bambino Nino. All’improvviso la Suora nella donna riconosce una sua amica d’infanzia della quale conosce bene la triste storia che racconta alla Superiora; la donna era sta sedotta e abbandinata quand’era giovane rimanendo sola con un figlio da crescere. Si era poi sposata con un operaio il quale, però, come si apprende dal quanto affermato dalla stessa Carmela che prosegue il racconto della sua triste storia, si era rifiutato di tenere quel bambino e l’aveva costretta ad affidarlo prima ad una conoscente e poi all’orfanotrofio. Finito il racconto, si ritira nella cappella a pregare e in quel momento alcune suore comunicano alla Madre Superiora che durante la notte è morto il figlio di Carmela. La Madre Superiora decide allora di non dirle la verità spiegandole che non può vedere il bambino perché impegnato con il coro nelle esercitazioni per le celebrazioni del Mese Mariano. La donna allora lascia l’orfanotrofio piangendo.
Musicalmente inferiore alla produzione precedente di Giordano, l’opera, che riflette la crisi che stava attraversando il melodramma verista in quel particolare periodo storico, non è priva di spunti di interessanti come il breve Interludio di intenso lirismo. Finemente connotata per quanto attiene alla scrittura vocale è la parte di Carmela che vive un dramma intimo del quale la donna non conosce direttamente il finale tragico.